Food security nella regione Asia-Pacifico: una sfida alla stabilità della zona

Food security nella regione Asia-Pacifico: una sfida alla stabilità della zona

-Sonia Del Torto-
-Arianna Miorandi-

 

La sicurezza alimentare, o Food Security, è una situazione in cui “tutte le persone in ogni momento hanno accesso fisico, sociale ed economico ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente per soddisfare le loro esigenze dietetiche e le preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana” (FAO-World Food Summit Roma 1996).

La soddisfazione del fabbisogno alimentare della popolazione è un elemento chiave per riuscire ad assicurare stabilità sociale: la sicurezza alimentare determina la potenza di un Paese; al contrario, l’insicurezza alimentare aumenta il rischio di conflitti, insurrezioni e rivolte (tensioni sociali legate all’accesso e al controllo delle risorse agricole, fenomeni migratori legati alle pessime condizioni di vita come malnutrizione e carenza d’acqua, situazioni di instabilità politico-sociale e di misgovernment in relazione alla risposta ai crescenti bisogni delle popolazioni etc.).

Durante il World Food Summit del 1996 è stato approvato un ambizioso piano d’azione che doveva essere lo strumento attraverso il quale creare le condizioni per portare al dimezzamento della popolazione affamata nel mondo alla scadenza del 2015. La situazione è parzialmente migliorata e oggi nel mondo 216 milioni di persone in meno soffrono la fame.  Tuttavia, i progressi sono stati lenti e diversi a seconda delle regioni (alcune parti del mondo hanno dimezzato o quasi il numero di persone malnutrite mentre altre hanno fatto pochi progressi) e per raggiungere l’obiettivo del 1996 sono necessari sforzi ulteriori.

Ancor oggi 795 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e, se si guarda più attentamente ai Paesi in via di sviluppo, la Regione con il più alto numero di persone malnutrite è l’Asia – Pacifico. Secondo i dati della FAO (FAO, Regional Overview of Food Insecurity: Asia and the Pacific, 2015) nella regione Asia-Pacifico vi sono ben 490 milioni di persone colpite da questo fenomeno, pari a più del doppio di quelle che vivono in Africa (217 milioni di persone) e pari a più del 60% delle persone malnutrite del mondo. Oltre alla insufficienza di assunzione di calorie, il problema della malnutrizione si manifesta in numerosi casi di arresto della crescita in bambini al di sotto dei 5 anni e nella carenza di micronutrienti in tutte le fasce di età. Allo stesso tempo il numero di persone che sono sovrappeso o obese sta aumentando velocemente nella regione, soprattutto nelle Isole del Sud-Ovest del Pacifico e nei Paesi Asiatici a medio reddito.
La regione nei prossimi anni dovrà concentrarsi su quel restante 12% della popolazione malnutrito che soffre ancora la fame e che è stato lasciato indietro e non può godere dei benefici della crescita economica. Si tratta dei gruppi più poveri e vulnerabili della società. Per questo la sfida in questa regione è sia quella di produrre più cibo dalle risorse naturali, sempre più limitate, sia quella di assicurare un accesso più equo al cibo affrontando varie minacce come il cambiamento climatico.
L’Asia-Pacifico è la regione al mondo con le contraddizioni maggiori: si tratta dell’economia più dinamica e in crescita al mondo, ma anche quella dove è più diffusa la povertà. E’ il continente che ha visto uscire dalla condizione di malnutrizione cronica oltre 209 milioni di persone ma anche quello dove si concentrano i due-terzi (65,3%) di tutta la popolazione sottonutrita al mondo (Zupi 2014, 9). Permangono, infatti, ancora molte differenze e disparità all’interno della regione: l’Asia Orientale e Sud-orientale hanno diminuito il numero di persone affamate, mentre l’Asia Meridionale ha fatto pochi progressi e continua a essere la subregione con il più alto numero di persone che soffrono la fame (Figura 1). Il numero di persone affamate sembra essere aumentato anche in Oceania ma i dati su questa subregione sono molto limitati.

Figura 1: Numero di persone malnutrite in Asia Pacifico, suddivise per regioni, 1990-92, 2014-16

Senza titolo

(Fonte: FAO 2015, 11)

Queste “due facce dell’Asia” rendono il raggiungimento della sicurezza alimentare più complesso e sfidante che in altre parti del mondo.

Secondo l’Asian Development Bank (ADB), la regione Asia-Pacifico nei prossimi anni dovrà affrontare diverse sfide per riuscire a mantenere l’equilibrio nella zona: dovrà assicurare la produzione di cibo necessaria a una popolazione in costante aumento; dovrà cercare di regolare la volatilità dei prezzi del cibo per evitare che la popolazione (sia quella rurale sia quella urbana) spenda metà del proprio reddito in cibo; dovrà far fronte all’inurbamento (si prevede che nel 2026 il 50% della popolazione vivrà nelle zone urbane) e si troverà quindi ad affrontare la sfida di fornire alle città in crescita una quantità di cibo adeguata e abbordabile. Infine, i Paesi in via di sviluppo in Asia Pacifico dovranno prestare più attenzione alla sostenibilità, dato che soffriranno la maggiore riduzione al mondo del potenziale produttivo agricolo dovuto al cambio climatico.

La complessità della questione alimentare in Asia-Pacifico risulta evidente se si analizzano tre case studies: Sud Est Asiatico, Cina e Giappone.

1. Sud Est Asiatico

Il Sud Est Asiatico negli ultimi decenni ha avuto una crescita vivace e rapida. Gli Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN) formano l’ottava economia al mondo con una crescita del PIL della regione del 5% annuo. La regione comprende economie sviluppate come quella di Singapore e del Brunei, Paesi di medio reddito come Indonesia, Malesia, Filippine, Vietnam e Thailandia e economie emergenti come Cambogia, Laos e Birmania.
Dal rapporto del 2015 della FAO Regional Overview of Food Insecurity Asia and the Pacific emerge che nel Sud Est Asiatico a beneficiare della crescita economica è stata solo una parte della popolazione. Poiché essa non ha portato alla creazione di opportunità lavorative più produttive e remunerative, è aumentato il divario tra ricchi e poveri.

Nel 2015 l’ASEAN ha avviato un nuovo progetto denominato ASEAN Economic Community (AEC) con un piano strategico di cinque anni per migliorare la sicurezza alimentare nella regione.
La regione ha ecosistemi unici come il delta del Mekong e le foreste tropicali di Sumatra, Kalimantan e del Borneo. Tuttavia, molti di questi ecosistemi sono minacciati dalle pressioni della popolazione, dall’inquinamento e dalla domanda crescente di risorse. Il cambiamento climatico, inoltre, ha causato numerosi disastri naturali nella regione come tifoni, tsunami, cicloni e siccità- i quali hanno devastato la produzione e le comunità agricole.
I piccoli proprietari terrieri sono numerosi (più di 100 milioni) e dominano l’agricoltura della zona. Coltivare meno di due ettari di terra, alla mercé dei cambiamenti climatici e del cambio dei prezzi, con uno scarso accesso alla tecnologia, alle informazioni e ai mercati – queste sono le condizioni degli agricoltori del Sud Est Asiatico, costretti spesso a vivere in povertà e precarietà.
Nel loro tentativo di sopravvivenza sfruttano eccessivamente la terra e le risorse idriche, estendono le loro coltivazioni a discapito delle foreste, utilizzano mezzi e tecnologie di basso livello- e tutto questo ha un impatto negativo sulla sicurezza alimentare della regione.

Nel Sud Est Asiatico il problema principale è proprio quello dell’accesso al cibo in termini fisici ed economici: mancanza di infrastrutture, di tecnologia, di potere di acquisto e di strutture di protezione sociale. In questa zona, infatti, in termini teorici l’offerta alimentare è più che sufficiente a soddisfare ovunque le necessità umane.
In futuro per raggiungere la sicurezza alimentare bisognerà garantire un continuo accesso a un cibo diversificato e il suo utilizzo da parte di tutta la popolazione, attraverso la combinazione di interventi innovativi mirati, strategie nazionali e forme di cooperazione sovranazionale.

Un esempio in questo senso è il Vietnam che sta cercando di risolvere l’intrusione delle acque salmastre nel Delta del Mekong, dovuto al crescente aumento del livello dei mari a causa dei cambiamenti climatici. L’accresciuta salinità nelle acque del fiume, minaccia seriamente la fertile piana del Delta e la sopravvivenza del Vietnam come uno dei più grandi esportatori di riso. Gli esperti dell’Istituto di ricerca Internazionale del Riso (IRRI) uniti ai coltivatori e alla FAO, stanno cercando di sviluppare una varietà di riso che possa resistere sott’acqua per oltre due settimane e che sia resistente alla salinità. Una varietà tollerante alle alluvioni denominata “Riso subacqueo” già offre una soluzione parziale.

Un altro esempio è rappresentato dalle Filippine dove il governo ha deciso di investire nel raggiungimento dell’autosufficienza alimentare del riso. Il governo nel 2015 ha stanziato 86,1 bilione di pesos filippini (circa 1,7 bilioni €) per il Programma di Sviluppo Agricolo. I fondi sono usati per aumentare la produzione di riso e migliorare l’irrigazione e le aree di drenaggio nelle 33 province risicole. Il programma, inoltre, rafforza i servizi di credito, migliora la ricerca e lo sviluppo e finanzia la costruzione di strade che collegano le varie aziende agricole.

2. Cina

La Repubblica Popolare Cinese, con il suo miliardo e 380 milioni di abitanti, rappresenta il 21% della popolazione mondiale, ma possiede solo il 6-9% dei terreni coltivabili e delle risorse idriche del mondo (dati FAO 2016).
Risulta, quindi, piuttosto semplice capire perché, in questo Paese, i problemi legati alla sicurezza alimentare siano così rilevanti.
La RPC ha fatto della food security una sua priorità fin dagli inizi della politica di riforma e apertura, alla fine degli anni ’70. La food security rappresenta infatti una sfida importante per questo Paese, in particolare di fronte alla rapida urbanizzazione che lo interessa.
Pur se diminuita drasticamente negli ultimi anni (nel 2005 si attestava ancora attorno al 15%), nel triennio 2013-2015 la popolazione denutrita era ancora il 9,3% del totale.
La Cina deve affrontare il problema della insufficienza idrica, della diminuzione delle terre coltivabili, e dell’aumento dei costi e dell’età media dei lavoratori del settore. Per far fronte a questi problemi, servono tecnologie avanzate, competitività di mercato e sostenibilità ecologica.
Per questo motivo, a partire dal 2007 il governo ha notevolmente aumentato gli investimenti nel settore agricolo (+27% nel 2007, +38% nel 2008, e così via), e i suoi sforzi sono stati globalmente riconosciuti.

In Cina al problema della food security si lega in modo particolare quello della food safety. La food safety è l’opposto del rischio alimentare ovvero la probabilità di non contrarre una malattia consumando un certo cibo.
A livello globale, ogni anno milioni di persone si ammalano e muoiono per aver consumato cibo non sicuro e contaminato, anche chimicamente. Quella della food safety è una responsabilità condivisa a tutti i livelli di “manipolazione” del cibo, dalla produzione nei campi al consumo sulle tavole di case e ristoranti.
In Cina, la food safety rappresenta un problema molto serio e complesso, con ripercussioni sulla salute pubblica, l’economia e la società. Attualmente, è una delle questioni che più preoccupano la popolazione cinese, come rivelato da diversi studi condotti a partire dal 2008, in particolare dopo i diversi scandali alimentari degli ultimi anni (finto riso ricavato da pellet di plastica, finte uova fatte di gelatina, carne congelata vecchia di decenni, per non parlare del caso, risalente al 2008, del latte in polvere per neonati contaminato con melanina, che causò il malfunzionamento renale di molti neonati, uccidendone sei e portando al ricovero di trecentomila).
Il governo continua a rafforzare i sistemi di controllo sul cibo a base nazionale, per proteggere la salute pubblica, prevenire le frodi, evitare l’adulterazione del cibo e facilitare l’accesso a cibo sicuro. Tuttavia, può essere molto difficile trovare coltivatori disposti a utilizzare metodi di produzione organici, più costosi e meno redditizi, e anche trovare tra la parte più indigente della popolazione consumatori disposti a pagare di più per avere cibo “pulito”.
Per questi motivi, a partire dal 2001 è stata messa in atto una serie di riforme per rafforzare la gestione della food safety, fino ad arrivare all’adozione della nuova e moderna Food Safety Law nel 2009: ora, la Cina è in possesso di una legislazione moderna, nonché di un corpo di esperti per la supervisione e il coordinamento delle questioni relative alla sicurezza alimentare. Ha proibito l’utilizzo di pesticidi altamente tossici, regolamentato l’etichettatura dei prodotti, inasprito le sanzioni per chi viola la legge. Per il quinquennio 2011-2015, la food safety è persino stata inserita nel 12simo Piano Quinquennale per lo Sviluppo Sociale ed Economico del Partito Comunista Cinese: sono state attivate politiche a livello nazionale, sistemi di ispezione, programmi per lo sviluppo dell’industria alimentare e della educazione alimentare.
La strada da percorrere resta però ancora lunga: la Cina è un Paese enorme, difficile da controllare. La terra non può essere privatizzata, quindi è raro che le aziende agricole possiedano grossi appezzamenti di terreno; la maggior parte dei produttori lavora su piccola scala, e per il Governo risulta più complicato controllare una realtà così piccola e frammentata.

3. Giappone

Il Giappone rappresenta un case study interessante in quanto è il Paese sviluppato che ha la minor autosufficienza alimentare al mondo e che deve importare più del 60% del cibo necessario per sfamare la sua popolazione. Il Giappone, infatti, è caratterizzato da una forte diminuzione della produzione alimentare interna che è diminuita dal 73% del 1965 al 40% di oggi (dati del Food Balance Sheet del Ministero giapponese dell’Agricoltura, Selvicoltura e Pesca). I motivi di questo declino sono in primo luogo il cambiamento della dieta dei giovani giapponesi che consumano sempre meno riso, pesce, soia e verdure locali e sempre più carne e prodotti animali che la produzione locale da sola non può fornire a sufficienza.
In secondo luogo il fatto che l’agricoltura sia un settore in declino, caratterizzato da coltivazioni di piccola scala e da lavoratori anziani (nel 2010 l’età media era di 70 anni). Il ruolo dell’agricoltura nell’economia, inoltre, è diminuito fino al punto di rappresentare solo una piccola percentuale del totale e la sua crescita è caduta dietro quella di altri settori. Oggi il Giappone, con zone rurali sempre meno popolate e la maggior parte dei campi abbandonati alle erbacce, è perennemente dipendente dalle importazioni di cibo.
La somma di questi due fattori fa sì che il Giappone sia sovrappopolato e estremamente lontano dall’autosufficienza alimentare. Il Paese oggi riesce a fornire circa 2.000 Kcal giornaliere per ciascun cittadino, poco più di quello che riusciva a fornire prima e dopo la guerra (dati da Jussaume, Hisano e Taniguchi 2008). Questo dato diventa molto grave se si pensa che a livello globale la situazione offerta-domanda alimentare sta cambiando, con alcuni Paesi in via di sviluppo che hanno iniziato a limitare le esportazioni di cibo per soddisfare la domanda domestica. I prezzi internazionali di mais, soia e grano (gli alimenti che il Giappone importa di più) sono, inoltre, in costante aumento e l’instabilità della loro produzione continua a crescere a causa del surriscaldamento globale.            
Il Giappone, quindi, sta tentando di stabilizzare il suo livello di autosufficienza alimentare per non incappare in futuro in una emergenza alimentare.
Il governo ha lanciato una serie di iniziative per cambiare le abitudini alimentari della popolazione: da un lato vuole promuovere una dieta più sana e equilibrata e dall’altro lato vuole aumentare l’autosufficienza alimentare promuovendo i prodotti nazionali. Un esempio è il movimento Food Action Nippon attraverso il quale il Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca (MAFF) vuole incentivare la popolazione a comprare cibo locale e sviluppare una maggior coscienza della cultura alimentare nipponica come parte integrante dell’identità giapponese.
Seguendo il motto Eat Japanese il Food Action Nippon dal 2008 promuove l’idea che il cibo prodotto localmente sia più sicuro e più sano di quello importato e mette in contatto i cittadini con i produttori locali. Un ritorno al cibo giapponese eliminerebbe i problemi di salute e di peso, riporterebbe in vita la cultura alimentare giapponese e, soprattutto, permetterebbe al Giappone di recuperare l’autosufficienza alimentare.

Dai case studies qui presentati si evince come la regione Asia-Pacifico abbia, al suo interno, realtà molto diverse, ma come la sicurezza alimentare rappresenti per tutti i Paesi una fonte di preoccupazione. Buoni progressi nella riduzione della malnutrizione sono stati fatti negli ultimi venti anni soprattutto in Sud Est Asiatico e in Asia Orientale (in Asia Meridionale i progressi sono stati solo moderati) ma la malnutrizione resta ancora alta. Come afferma Josette Sheeran, ex direttrice del World Food Program: “un mondo affamato è un mondo pericoloso. Senza cibo le persone hanno solo tre scelte: ribellarsi, emigrare o morire. Nessuna di questa tre è un’opzione accettabile”.

Nei prossimi anni le sfide di sicurezza alimentare che la regione dovrà affrontare saranno numerose (dalla carenza di terre e acqua alla volatilità dei prezzi del cibo, dai cambiamenti climatici ai disastri naturali) e, quindi, la regione Asia Pacifico dovrà capire a quali misure e strumenti affidarsi per far fronte a tutte queste sfide.
La crisi dei prezzi agricoli del 2008 ha dimostrato il fallimento dei meccanismi di mercato. Il rialzo improvviso dei prezzi dei prodotti agroalimentari, infatti, allarmò i mercati e provocò un’ampia perdita del potere d’acquisto dei Paesi più poveri (Barilla 2011, 43).
Per eliminare l’insicurezza alimentare alcuni studiosi suggeriscono un modello di welfare state. Questo significa che occorre intervenire sulla struttura dei prezzi relativi, ma anche sui principali modi e metodi di produzione, distribuzione, consumo e spreco.

Un altro strumento su cui la regione può puntare è l’educazione alimentare, per contenere gli sprechi e per rendere la popolazione più cosciente e informata sui valori nutritivi dei prodotti e su cosa significhi una dieta equilibrata (ADB 2013, 79-80).
Per risolvere la riduzione nel potenziale produttivo agricolo dovuto al cambio climatico, inoltre, l’impegno a sostegno dell’agricoltura sostenibile, degli agricoltori di piccola scala, della qualità alimentare e di un’attenzione costante alle fasce vulnerabili della popolazione più esposte ai rischi di malnutrizione, deve trovare attuazione concreta nelle misure di policy (Zupi 2014, 25).

Un elemento chiave per affrontare tutte queste sfide sarà, comunque, la collaborazione tra i vari Paesi (Eco-business, 2015). I governi giocheranno un ruolo fondamentale; dovranno collaborare tra loro e, allo stesso tempo, dovranno cercare di instaurare un dialogo e una cooperazione con le aziende, la società civile e i diversi attori della catena alimentare per identificare i problemi e trovare soluzioni concrete per superarli (da Eco-business, 2015).

Bibliografia:

Asian Development Bank – ADB, Food Security in Asia and the Pacific, 2013.

Assman S., Food Action Nippon and Slow Food Japan: the role of two citizen movements in the rediscovery of local foodways, in Farrer J. (edito da), Globalization, Food and Social Identities in the Asia Pacific Region, Tokyo: Sophia University Institute of Comparative Culture,2010. http://icc.fla.sophia.ac.jp/global%20food%20papers/pdf/2_2_ASSMANN.pdf.

Barilla Center for food and nutrition, Le sfide della Food Security, 2012. https://www.barillacfn.com/m/publications/pp-sfide-food-security.pdf.

Eco-business, Collaboration crucial to food security in Southeast Asia, 9 Luglio 2015.

FAO, Regional Overview of Food Insecurity Asia and the Pacific, Bangkok, 2015.

Hatton C., Will China’s new food safety rules work?, BBC, 30 Settembre 2015.

Jussaume R., Hisano S. e Taniguchi Y., Food Safety in Modern Japan, 2008. https://www.dijtokyo.org/doc/dij-jb_12-jussaume.pdf.

Zupi M., La sicurezza alimentare in 13 paesi asiatici in via di sviluppo dell’ASEM, CeSPI, 2014.

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