Rassegna settimanale 15 – 21 gennaio: Sud est asiatico

Rassegna settimanale 15 – 21 gennaio: Sud est asiatico

15 gennaio, Sud-est asiatico – Molestie sessuali: la vita delle giornaliste in Asia

Due anni fa, mentre stava lavorando ad un articolo su Jakarta, April* ha inviato un messaggio ad un ufficiale del governo indonesiano per chiedere il suo parere. L’uomo replicò chiedendo come mai una giornalista donna di 34 anni fosse ancora single e se avesse un partner. Quando le rispose che si stava frequentando con qualcuno, il politico gli domandò quanto fosse grande il pene del suo partner.

L’anno scorso April ha ricontattato l’uomo per chiedere la sua opinione su un altro tema. Ancora una volta però, gli chiese quanto fosse grande il pene del suo partner. La giornalista, in attività a Jakarta da oltre nove anni è ancora in contatto con lo stesso uomo, “non ho altra scelta” ha dichiarato.

Nel 2014, un politico malese appartenente al partito di maggioranza ha mandato ad Ally*, una giovane giornalista per un sito giornalistico locale, alcuni messaggi dichiarando esplicitamente di sognare di andare a letto con lei. Una volta, durante un’intervista nel suo ufficio, gli mise una mano sulla coscia quando il suo assistente uscì brevemente dall’aula.

Ally e April fanno parte della lunga lista delle donne, in qualsiasi ambito lavorativo, che hanno deciso di condividere le storie delle loro molestie sessuali e di come uomini potenti usino la propria posizione e autorità. Il mondo del giornalismo ne fa parte.

Parlando con vari giornali, le giornaliste in Malesia, Indonesia e Filippine hanno parlato della stessa cultura di avance sessuali non consenzienti da parte di vari uomini politici che intervistano. I racconti vanno dai sottointesi durante una conversazione faccia a faccia o telefonica, a questioni più gravi come palpeggiamenti e baci forzati.

Tutte le giornaliste hanno parlato delle proprie esperienze di molestie subite da parte di politici eletti e ancora in ufficio. Inoltre tutte hanno dichiarato essere testimoni o essere a conoscenza di casi simili subiti dalle colleghe.

Un numero crescente di loro colleghe americane si sono fatte avanti per denunciare le violenze subite e nominando i loro potenti assalitori, forzando così membri del congresso, democratici e repubblicani, a doversi dimettere o ritirarsi. In Inghilterra, il ministro della difesa Michael Fallon è stato forzato a dimettersi dopo aver toccato il ginocchio di una giornalista nel 2002.

A differenza di queste donne, però, le giornaliste nel sud-est asiatico devono fare i conti con una cultura totalmente diversa, dove questi comportamenti sono considerati più normali. Non vengono sanzionati dai grandi nomi dell’informazioni asiatica, dove spesso gli editori chiudono un occhio, e in alcuni casi incoraggiano questi comportamenti.

Come per il caso di Harvey Weinstein, le giovane giornaliste si trovano alla mercé di una bilancia di potere sproporzionatamente a loro disfavore e di uomini in controllo del corpo legislativo del loro paese. Come Weinstein, gli uomini politici sono incoraggiati da strutture di potere che rendono difficile e a volte impossibile per le vittime di denunciare l’accaduto e i criminali.

All’apice della sua carriera Weinstein era uno degli uomini più potenti del mondo dello spettacolo e poteva fare o disfare il futuro di una giovane attrice – molti hanno profittato del sistema o sono rimasti in silenzio fino a quando il tutto non è scoppiato.

Le giovani giornaliste si trovano nella stessa posizioni delle vittimi di Weinstein. Per i politici, la sessualità di queste donne è spesso percepita come la loro unica “merce di scambio” in cambio di informazioni.

Rifiutare o resistere alle avance vuol dire perdere l’esclusività dell’informazione o dell’intervista che le erano state promesse. Le donne si trovano quindi forzate a dover rigettare questi commenti con una risata oppure a non denunciare questi comportamenti. Alcuni si danno addirittura la colpa per le violenze subite. Inoltre, questi incidenti vengono raramente riportati persino agli editori.

“È una cultura che non è soltanto tollerata ma in un certo senso incoraggiata” ha dichiarato Natashya Gutierrez, una giornalista in attività nella regione. Gutierrez è una delle poche giornaliste intervistate che hanno accettato di usare il proprio vero nome.

Dai commenti sul suo fisico a contatti fisici non consensuali, Gutierrez ha una triste e lunga esperienze di molestie provenienti da uomini potenti. Qualche tempo fa, mentre intervistava un membro del governo indonesiano per un articolo riguardante il terrorismo nella regione, l’uomo gli ha fatto numerosi complimenti sul suo fisico. Ha spazzato i commenti con tatto e delicatezza. Verso la fine, tranne per i commenti non voluti sulla sua apparenza, Gutierrez si era pure detta che le cose non fossero andate così male.

“Ma quando mi ha accompagnato verso la porta, ha messo la sua mano sul mio fondoschiena e l’ha lasciata lì. Mi sono scansata, ovviamente a disagio. Sono poi seguiti diversi sms per vederci di nuovo, anche se non ci fosse tempo sulle nostre rispettive agende. Ho rifiutato tutti gli altri inviti” ha spiegato Gutierrez.

Un’altra reporter, Diyana Ibrahim (ha accettato di usare il proprio nome) ha raccontato di ricevere continuamente messaggi, in tarda serata o molto presto la mattina, da parte di un membro del parlamento malese che le chiedeva dettagli sulla sua vita privata. Come se avesse un ragazzo o uscisse con qualcuno. Diyana si sentiva già a disagio quando la loro comunicazione ha iniziato a passare da argomenti professionali a privati. Sapeva anche che l’uomo era sposato, anche se circolavano numerosi voci sulla sua infedeltà e avventure extraconiugali.

Le sue intenzioni hanno iniziato a diventare chiare quando le chiese se fosse libera per cena. Lei rispose di no, ma scelse di non fargli notare il suo comportamento o di denunciarlo.

“Per poter continuare il nostro lavoro e ricevere commenti da parte di queste persone siamo costrette a mantenere un buon rapporto con uomini con ruoli importanti, alcuni di loro hanno finito per abusare di questi loro poteri” ha dichiarato Diyana.

“È deludente il fatto che la nostra esperienza lavorativa abbia preso questa piega. Ha un impatto sul nostro lavoro, ci disturba e ci fa sentire profondamente a disagio”.

Le giornaliste hanno parlato di comportamenti così normalizzati che sia gli autori che le vittime non si rendono conto che i sottointesi sessuali e le avance non gradite siano molestie, al contrario li vedono solo come comportamenti da aspettarsi da parte di un capo verso i suoi subordinati.

“La cultura dominante dove la molestia è qualcosa di ‘normale finché non è uno stupro’ è veramente una gran rottura di palle” ha spiegato la giornalista indonesiana Arzia T Wargadiredjia.

L’attivista Ivy Josiah che lavora per l’Asia Pacific Forum sul tema delle donne, leggi e sviluppo ha dichiarato che gli elementi che definiscono la molestia sessuale sono i comportamenti “indesiderati” e “persistenti”.

“Quando puoi sapere che si tratta di molestia sessuale? A partire dal momento in cui ti senti a disagio, dal momento che ricevi attenzioni indesiderate” ha spiegato Josiah. La cosa va oltre alla penetrazione fisica, e varia dal semplice fischio per strada a chiedere se la giornalista ha un ragazzo, come nel caso di Diyana.

“È solo un altro modo per chiedere ‘come va la tua vita sessuale?’” e secondo Diyana c’è sempre stato questo comportamento in maniera ripetuta e continua. I sondaggi supportano questa tesi.

In Malesia una donna su tre sarebbe stata vittima di molestia sessuale, in Indonesia circa il 58 percento e nelle Filippine il 60 percento. E il fenomeno è diffuso anche nel mondo del lavoro; un sondaggio online dell’anno scorso ha rivelato che circa il 60 percento delle donne malesi sono state molestata da un loro superiore. I numeri non sono tanto diversi per quanto riguarda l’Indonesia e le Filippine.

Parte del problema proviene da altri dati, quelli della rappresentanza femminile all’interno degli organi legislativi. Secondo i numeri forniti dalla Inter-Parliamentary Union e United Nations Women, solo il 29.5 percento dei membri della camera bassa delle Filippine sono donne. Queste statistiche sono ancora più basse per la Malesia (10.4 percento) e l’Indonesia (19.8 percento).

Sia in Malesia che in Indonesia non ci sono leggi specifiche sull’argomento. E’ un ambiente che aumenta le possibilità di molestia sessuale ha scritto il parlamentare Ong Kian Ming in un articolo che spiegava come alcune donne ospite, provenienti da altri paesi, siano state molestate da un vice primo ministro durante una visita al parlamento.

Secondo Gutierrez, le azioni del presidente filippino Rodrigo Duterte sono un incoraggiamento a trattare le giornaliste in maniera irrispettosa. Nel mese di maggio, durante una conferenza stampa trasmessa in tutto il paese ha fischiato e cantato una serenata ad una giornalista che gli stava facendo delle domande.

“La carica più alta del nostro stato ha fatto battute sullo stupro e commenti inappropriati nei confronti delle donne che lo hanno criticato. Questo fa sì che venga accettato e anche permesso agli altri uomini di fare altrettanto”.

Le imprese mediatiche sono al corrente di tutto ciò e alcuni sfruttano la situazione. E’ abbastanza comune che le donne vengano assunte per via del loro aspetto – ha dichiarato una giornalista – così che possano procurare alla stampa informazioni interessanti.

Vari attivisti, tra i quali Josiah, considera gli editori o chiunque non ascolti le lamentele come un “irresponsabile” e un “complice di un atto criminale”.

Anche se i capi di Ally sapevano che riceveva messaggi poco adatti da parte di un ministro, le hanno detto di capitalizzare su questo fatto per ottenere uno scoop. Una volta, su richiesta del suo editore, è stata mandata ad intervistare il ministro in un bar dopo gli orari lavorativi.

Con il pretesto che il suo autista non fosse di servizio quella sera, Ally ha dovuto accompagnare il ministro al bar dove dovevano incontrarsi.

“Quando siamo arrivati al bar sembrava a disagio per quanta gente ci fosse, per questo si è scolato il suo drink e ha fatto l’intervista molto velocemente e mi ha chiesto di riaccompagnarlo a casa. Nel momento in cui ci siamo fermo le sue mani erano ovunque. Ho dovuto respingerlo con tutte le mie forze ripetutamente e dirgli che non fossi quel tipo di ragazza” ha spiegato Ally.

Le sue esperienze negative non si sono limitate a questi due incidenti. Anche altri politici, di qualsiasi partito, durante le feste “esclusive” alle quali Ally era stata invitata, l’hanno molestata. “Ogni tanto andavo in una di queste feste e mi davano il benvenuto afferrandomi e abbracciandomi e poi mi ficcavano la lingua in gola”.

Rifiutare questi inviti non era sempre possibile. Alcuni le dicevano che si sarebbero procurati il suo indirizzo e che sarebbero andati a prenderla sotto casa. Altri le ficcavano soldi nella borsa, o provavano addirittura a tornare a casa con lei.

Ally, all’epoca, non aveva mai pensato di essere vittima di molestie sessuali, credeva che quello fosse il mondo del giornalismo. Oggi si considera fortunata per non aver mai lasciato le cose andare fuori controllo. Non vorrebbe però più vivere le stesse esperienze, e non consiglierebbe alle giovani giornaliste di accettare tali comportamenti.

Circa sette anni fa, Waffa, all’epoca venticiquenne, era l’unica donna giornalista durante una seduta legislativa di una città indonesiana. Quando successivamente cercò di avere un commento da parte del sindaco, questo le afferrò il sedere di fronte a tutti gli altri giornalisti maschi.

Furiosa, reagì rimproverando il sindaco davanti a tutta la platea. Il sindaco si scusò e non ripeté mai più un tale gesto nei suoi confronti. Quando raccontò l’accaduto nel suo ufficio non ricevette nessun supporto. Gli editori pensarono anche che fosse divertente il fatto che avesse pubblicamente sgridato il sindaco.

“Speravo che avrebbero potuto fare qualcosa perché era qualcosa che non mi era mai successa prima”. “(Avrebbero potuto provare) qualsiasi cosa, come mandare una lettera all’ufficio del sindaco dicendo che erano dispiaciuti per il suo gesto (nei miei confronti)” ha dichiarato Waffa.

Ma come succede spesso in questa parte del mondo, non hanno fatto nulla. Waffa e il resto delle giornaliste menzionate sono coloro che cercano di portare alla luce i torti subiti dalle donne.

Parlare sarà difficile ma è il primo di numerosi altri passi da fare. La solidarietà tra le giornaliste e il supporto da parte dei colleghi maschi e delle persone con un certo potere sono importanti.

Secondo Gutierrez “Le piccole cose aiutano. Non ridete quando commenti misogini vengono fatti. Parlate delle molestie. Chiamate le persone a prendere le proprie responsabilità. Parlate dell’argomento mentre sono in campagna elettorale”.

“Non rimanete in silenzio, sennò nulla cambierà”.

* nomi modificati

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/01/journalists-sexual-harassment-asean/#bL92wm76RKixUIQP.97

16 gennaio, Indonesia – Le autorità aprono un’investigazione per l’incidente alla borsa di Jakarta

Le autorità indonesiane hanno immediatamente avviato la procedura per un’inchiesta dopo il crollo di una balconata all’interno della borsa di Jakarta. La struttura costituita di metallo, cemento e vetro è crollata improvvisamente durante la visita di un gruppo di studenti. Sarebbero più di 70 i feriti e per il momento nessun morto. Dalle telecamere di sicurezza è stato possibile accertare che non è stata un’esplosione a causare il crollo.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/jakarta-orders-probe-after-walkway-collapses

17 gennaio, Sud-est asiatico – La democrazia in crisi secondo Freedom House

Il 2017 segna il punto più basso per quanto riguarda le libertà e i diritti civili dopo oltre un decennio di calo. Secondo l’organismo americano, l’anno è stato marcato dalle democrazie sempre più in crisi, autocrati sempre più potenti e le crescenti difficoltà a far valere i propri diritti. Questo fenomeno è stato accentuato dal ritiro degli Stati Uniti dal ruolo di leader mondiale e promotore della democrazia.

Secondo il report, nella regione asia pacifico la Corea del Nord, Cuna, Vietnam, Laos, Cambogia, Tailandia sono state considerati “non liberi” mentre Malesia, Birmania, Indonesia, Hong Kong e le Filippine “parzialmente liberi”.

  • Cambogia

La Cambogia è stata al centro delle attenzioni di Freedom House visto la repressione messa in atto dal premier Hun Sen. Il governo ha infatti sciolto l’unico credibile partito di opposizione e imprigionato il suo capo. Inoltre, le autorità hanno chiuso numerosi giornali e radio critici dell’operato del governo.

  • Birmania

La pulizia etnica portata avanti dall’esercito birmano nei confronti della popolazione Rohingya “dimostra gravi problemi nel sistema politico ibrido del paese”. Le operazioni di sicurezza dell’esercito nello stato di Rakhine hanno spinto oltre 650.000 Rohingya a rifugiarsi in Bangladesh. Numerosi commentatori hanno definito un genocidio ciò che sta succedendo nel paese.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/01/democracy-crisis-rise-antidemocratic-forces-asia-pacific/#2mTZee0pD2qc3g6F.97

18 gennaio, Filippine – Duterte lancia l’allarme su un imminente attaccato terroristico

Il presidente filippino ha avvertito la popolazione del rischio di un nuovo attacco terroristico e che gli obbiettivi più probabili sono gli aeroporti, porti, e altri luoghi pubblici. Duterte ha lanciato l’allarme durante una cerimonia di inaugurazione di nuovi impianti per la sorveglianza del traffico aereo, dichiarando che avrebbe richiesto una riunione d’emergenza per discutere la vicenda.

Il presidente, noto per i suoi discorsi diretti e poco diplomatici ha dichiarato “Il mio appello alle forze di sicurezza, le forze armate filippine e la polizia nazionale filippina, è che per quanto riguarda queste questioni di sicurezza contro il terrorismo, non vi è chiesta nessuna pietà, e nessuna pietà verrà concessa.”

Attraverso il paese sono numerosi quelli preoccupati per una possibile estensione della legge marziale a tutto l’arcipelago filippino. Il presidente ha infatti recentemente vantato il successo che la legge marziale ha avuto nel sud del paese per riportare la situazione ad uno stato normale. Nel dicembre del 2017, il congresso ha approvato la sua richiesta di estendere la legge marziale per un altro anno e così “totalmente eradicare” le minacce causate dai gruppi ribelli che hanno giurato fedeltà allo stato islamico.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/duterte-warns-airport-port-or-other-public-places-in-the-philippines-could-be-targeted

19 gennaio, Filippine – Preoccupazione per la libertà di stampa

In una lettera indirizzata al presidente filippino, la World Association of Newspapers and New Publishers (WAN-IFRA) e la World Editors Forum hanno chiesto a Duterte di annullare la sua decisione di chiudere il sito di informazione Rappler. La decisione è stata presa l’undici gennaio perché il sito non avrebbe rispettato le leggi sulla proprietà da parti di persone straniere. Tuttavia, numerosi commentatori, così come la WAN-IFRA ci hanno visto una manovra politica.

“Mentre riconosciamo il diritto del vostro paese nel definire quali limiti porre alla proprietà da parte di stranieri dei mezzi di informazione, la chiusura di Rappler sembra essere una manovra politica e manda un agghiacciante messaggio a tutti i giornalisti del paese” ha scritto Michael Golden, presidente del WAN-IFRA e David Callaway, presidente del World Editors Forum.

Il presidente si è sempre difeso da tali accuse e ha chiamato il sito un “fabbricatore di fake news” che pubblicava storie “cariche di sottointesi e piene di falsità”. Il sito, estremamente popolare nel paese, è noto per essere critico della politica del presidente, soprattutto per tutto ciò che riguarda la sanguinosa guerra alla droga in corso nel paese.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/worlds-newspapers-lodge-concern-with-president-duterte-on-rappler-closure

20 gennaio, Cambogia – Il leader dell’opposizione non riconosce il nuovo movimento

Kem Sokha, leader del defunto partito di opposizione Cambodia National Rescue Party (CNRP), ha dichiarato tramite il suo avvocato di non voler far parte del nuovo movimento: il Cambodia National Rescue Movement (CNRM). La formazione del nuovo movimento è stata annunciata il 13 dal fondatore del CNRP, Sam Raisny.

La dichiarazione è avvenuta tramite l’avvocato di Kem Sokha: “(il mio cliente) ha dichiarato che non sostiene e non si allea con qualsiasi movimento e che fa sempre parte del CNRP, per il quale più di tre milioni di persone hanno votato durante le precedenti elezioni.”

Il CNRP era stato sciolto dopo la richiesta del primo ministro cambogiano Hun Sen, dopo aver accusato il partito ed il suo leader di collaborare insieme agli Stati Uniti per rovesciare il regime. Il principale partito di opposizione era stato fondato nel 2012 per unire i partiti di Sam Raisny e Kem Sokha e poter così aver maggior peso a livello nazionale. Entrambi i leader sono stati impossibilitati a svolgere le loro funzioni politiche, Kem Sokha è stato imprigionato e Sam Raisny è in esilio in Francia.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/cambodias-detained-opposition-leader-rejects-new-opposition-movement

21 gennaio, Bangladesh – Aumentano le tensioni sulla questione del rimpatrio Rohingya

Aumenta la tensione all’interno dei campi dei rifugiati Rohingya a causa del progetto di rimpatrio in Birmania. Oltre 655.000 Rohingya si sono rifugiati in Bangladesh dopo una campagna di repressione militare definita dalle Nazioni Unite una pulizia etnica. Secondo l’accordo tra i due paesi, le autorità birmane dovrebbero temporaneamente accogliere i rifugiati in due centri vicini alla frontiera.

L’esercito bengalese avrebbe chiesto ai capi Rohingya di preparare delle liste per indicare quali saranno le prime famiglie ad essere rimpatriate. I vari leader si sono rifiutati di eseguire gli ordini e i soldati avrebbero minacciato di ritirare le carte che permettono ai rifugiati di ricevere le proprie razioni di cibo. Il portavoce dell’esercito ha dichiarato di non essere al corrente di queste minacce.

I Rohingya si rifiutano di tornare in Birmania senza ricevere alcune garanzie da parte dello stato. Inoltre, chiedono di poter ricevere la cittadinanza birmana ed essere riconosciuti come minoranza etnica. Infine, hanno chiesto che le loro case, moschee e scuole distrutte dall’esercito siano ricostruite.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/tensions-mount-in-rohingya-camps-ahead-of-planned-relocation-to-myanmar