Rassegna settimanale 5-11 marzo 2018: Sud est asiatico

Rassegna settimanale 5-11 marzo 2018: Sud est asiatico

5 marzo, Cambogia – Hun Sen si rifiuta di vedere il capo dell’opposizione

Il primo ministro cambogiano Hun Sen si è rifiutato di incontrare il capo dell’opposizione Sam Raisny dopo che quest’ultimo avesse proposto di discutere direttamente per risolvere la crisi politica in corso. “Vorrei potere discutere di politica, ma dev’essere chiaro che le persone coinvolte in vicende giudiziarie non hanno il diritto di parlare con Hun Sen” ha dichiarato il primo ministro parlando di sé stesso alla terza persona.

Sam Raisny era a capo del movimento Cambodia National Rescue Party (CNRP), sciolto dalla corte suprema dopo le accuse di collusione con l’ambasciata statunitense, accuse smentite da entrambi. Il leader politico attualmente in esilio in Francia per via di una serie di accuse politicamente motivate aveva infatti lanciato un appello al premier “Sono sempre disponibile ad incontrare il governo di Hun Sen per trovare una soluzione pacifica a questa crisi senza precedenti, una soluzione che sia accettabile per tutti con delle garanzie internazionali”.

Sam Raisny fu il ministro delle finanze in una coalizione di governo fondata in un periodo molto complicato del paese, quando nel 1993 Hun Sen perse le elezioni organizzate dalle Nazioni Unite e rifiutò di lasciare il potere. Inoltre, è stato presidente del CNRP fino al 2017, quando diede le dimissioni a favore di Kem Sokha, attualmente in prigione. Raisny rimane uno dei pochi politici credibili per opporsi ad Hun Sen.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/cambodian-prime-minister-turns-down-offer-of-talks-from-former-opposition-leader

6 marzo, Birmania – L’ONU denuncia il proseguimento della “pulizia entica”

Sei mesi dopo l’inizio della crisi che ha visto centinaia di migliaia di Rohingya rifugiarsi in Bangladesh, le Nazioni Unite hanno deciso di alzare la voce. “La pulizia etnica dei Rohingya in Birmania va avanti” ha affermato in un comunicato Andrew Gilmour, sotto segretario generale per i diritti umani.

Una campagna militare dell’esercito birmano, considerata “pulizia etnica” dalle Nazioni Unite, ha spinto in esilio circa 700.000 musulmani Rohingya dal mese di agosto. Centinaia di persone continuano ad attraversare la frontiera con il Bangladesh ogni settimana per via di una campagna del “terrore e della fame organizzata”.

“Il governo birmano non fa altro che ripetere al mondo che è pronto per il ritorno dei Rohingya, ma nello stesso momento le forze di sicurezza li fanno scappare in Bangladesh” ha dichiarato Gilmour denunciando così il ruolo dell’esercito.

L’esercito insiste sul fatto che le operazioni di sicurezza sono iniziate dopo la fine del mese di agosto 2017, dopo l’attacco di un gruppo di ribelle Rohingya definiti come terroristi.

La premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, a capo del governo civile fin organizzato nel 2016 dopo decenni di dittatura militare è accusata di passività e di usare la propria notorietà per coprire i fatti.

Influenzati da un forte nazionalismo buddista, la maggior parte dei birmani considerano i Rohingya come degli stranieri che minacciano la maggioranza buddista del paese.

Il vicecapo dell’esercito birmano, il generale Soe Win, ha ricevuto questo lunedì nella capitale il rappresentante speciale dell’Unione Europea per i diritti umani, Stavros Lambrinidis.

Il generale “ha ripetuto che il governo birmano è pronto ad accogliere” dei rifugiati, ma riconosce che “nessuno sia ancora tornato, che sia in gruppo o individualmente” ha dichiarato l’esercito martedì, pubblicando su Facebook le foto dell’incontro.

L’accesso alla zona di conflitto, attorno alla città di Maungdaw, nel nord dello stato di Rakhine, rimani impossibile per i giornalisti e diplomatici se non in visite lampo di una giornata organizzate dall’esercito. Solo la croce rossa ha libero accesso all’area.

In queste condizioni è difficile verificare in maniera indipendente le accuse che hanno riportato i rifugiati Rohingya una volta arrivati in Bangladesh, parlano infatti di stupri, omicidi, torture, decapitazioni. I nuovi arrivati vengono ormai da zone più remote e lontane da Maungdaw, epicentro delle violenze e svuotata dalla sua popolazione Rohingya.

Andrew Gilmour si preoccupa delle sorti di centinaia di migliaia di Rohingya, ammassati nei campi di fortuna con l’arrivo del monsone. “Avendo già sofferto per via del disastro inflitto dall’uomo in Birmania, abbiamo paura che si aggiunga una catastrofe naturale legata alle forti piogge”.

L’ONU si è detta preoccupata anche dalle epidemie di colera in questi campi giganteschi, dove le condizioni sanitarie si dovrebbero deteriorare con l’arrivo delle piogge.

Fonte: Le Monde
Link: http://lemonde.fr/asie-pacifique/article/2018/03/06/birmanie-l-onu-denonce-la-poursuite-du-nettoyage-ethnique-des-rohingya_5266222_3216.html

7 marzo, Tailandia – Un mandato di arresto è stato emesso contro Thaksin Shinawatra

La corte suprema tailandese ha rilasciato un nuovo mandato di arresto contro Thalsin Shinawatra, un ex primo ministro. L’uomo si è auto esiliato dal paese dov’è in corso il suo giudizio malgrado la sua assenza. Shinawatra è accusato di aver usato la sua posizione per favore la sua compagnia al momento della compra-vendita dell’agenzia di telecom, generando così un profitto di oltre 2 miliardi di dollari.

La decisione della corte suprema è arrivata solo due giorno dopo che l’uomo sia stato avvistato ad Hong Kong e Singapore con membri importanti del partito Pheu Thai. Sono infatti previste per febbraio 2019 le prossime elezioni tailandesi dopo che l’ultimo governo sia stato deposto nel 2014. Shinawatra è già stato condannato a 5 anni di prigione dopo uno scandalo riguardanti delle sovvenzioni per l’acquisto di riso.

Fonte: The Straits Times
Link: http://context.reverso.net/traduzione/inglese-italiano/subsidy

8 marzo, Malesia – Le iniziative popolari per aiutare i rifugiati in Malesia

La vita di un rifugiato non è facile in qualsiasi parte del mondo. Lasciare il proprio paese per via delle persecuzioni, viaggiare in circostanza incerte e pericolose e non sapere quello che ti aspetta quando arrivi a destinazione.

In Malesia però, dove la vita dei rifugiati è stata definita un “inferno”, le sfide per sopravvivere sono innumerevoli. Nel paese ci sono circa 150.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati presso l’UNHCR, eppure quasi nessun sostegno viene offerto dal governo e vi sono numerosi ostacoli per una vita auto-sufficiente.

Non avendo ratificato la convenzione sui rifugiati del 1951, e in assenza di qualsiasi legge nazionale o quadro politico che gli conferisca uno status, i rifugiati sono una categoria vulnerabile lasciata in un limbo giuridico. La mancanza di qualsiasi status giuridico gli impedisce l’accesso al mondo del lavoro, ad un’educazione e alle cure mediche.

In città come Kuala Lumpur, sono le piccole iniziative popolari che offrono un porto sicuro di cui questa comunità ha gran bisogno. Mahi Ramakrishnan, un’attivista impegnata a sostenere i rifugiati, ha dichiarato che queste organizzazioni “sono condotte da persone che hanno un’ottima comunicazione con la comunità dei rifugiati. Questa è una grande differenza con il governo”. Secondo la donna, questa vicinanza gli permette di capire quali sono le frustrazioni e permette di “adattare progetti sostenibili per soddisfare i loro bisogni”.

Questo è il caso del Picha Project, un progetto fondato da tre donne volenterose. Senza nessun tipo di esperienza in ambito, le tre donne, Kim Lim, Swee Lin e Suzanne Ling hanno deciso di combattere contro la sorte per metter su una struttura che offre un servizio che consegna a domicilio di cibo e catering.

“Serviamo da piattaforma e abbiamo deciso di responsabilizzare i rifugiati che sanno cucinare” ha spiegato Lim. “(Loro) preparano ricette autentiche del proprio paese e che vengono poi comprare da malesi, gli permettiamo di diventare autosufficienti”.

Ciò che è iniziato come una volontà di aiutare una sola famiglia è rapidamente diventato una rete di supporto e indipendenza per numerosi rifugiati intrappolati nel limbo di una vita senza lavoro. Metà dei ricavi è diretta verso i rifugiati che lavorano nella struttura, l’altra metà è re-investita nell’attività per permettere così di aiutare altri rifugiati. La rete si è espansa al punto di aiutare una dozzina di famiglie.

Numerose altre iniziative come questa sono però necessarie per venire in aiuto al grande numero di rifugiati ed aiutarli a prendere il controllo della propria vita. Sono questi i progetti che renderanno la vita dei rifugiati meno pesanti e auto-sufficienti come vorrebbe l’UNHCR.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/03/with-no-government-support-grassroots-projects-are-sustaining-malaysias-refugees/#7OCUri2yToB78Sx5.97

9 marzo, Birmania – Lo stato Birmano vorrebbe vedere “chiare prove” di genocidio

Thaung Tun, consigliere birmano per la sicurezza nazionale, ha dichiarato durante una conferenza a Ginevra che il suo paese aspetta ancora una chiara prova di genocidio. “La maggior parte della comunità musulmana vive ancora nello stato di Rakhine” ha commentato Thaung, “se un genocidio fosse in corso sarebbero tutti fuggiti”. Lo stato di Rakhine è l’epicentro delle violenze da dove sono fuggiti circa 700.000 Rohingya per rifugiarsi in Bangladesh.

L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, aveva precedentemente dichiarato che fossero presenti dei sospetti di “atti di genocidio”. Zeid ha riportato davanti al consiglio per i diritti umani i risultati di vari report che parlano di distruzione su vasta scala e di numerosi fosse comuni dove “tentativi deliberati di distruggere le prove di potenziali crimini internazionali, tra i quali crimini contro l’umanità”

La Birmania non ha accettato che gli investigatori delle Nazioni Unite portino avanti le proprie investigazioni per confermare o smentire le accuse. Un rapporto ONU dovrebbe però essere pubblicato a breve, basato sulle interviste dei rifugiati arrivati in Bangladesh. La Birmania si è però dichiarata pronta ad accogliere nuovamente i Rohingya che vorrebbero tornare insieme e disponibile a concedergli la cittadinanza.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/myanmar-says-it-would-like-to-see-clear-evidence-of-genocide

10 marzo, Tailandia – Aumentano le proteste pro-democrazia

Centinaia di manifestanti pro-democrazia si sono radunati nei pressi di Bangkok per protestare contro la giunta militare ed il suo operato nel paese. I militari hanno tenuto uno stretto controllo su tutto il paese sin dal 2014, vietando i raduni di più di 500 persone. “Quest’anno le persone sono più coraggiose, specialmente dopo che la giunta abbia fallito nel rispettare le proprie promesse per quanto riguarda le elezioni” ha spiegato un organizzatore dell’evento.

La folla ha deciso di riunirsi per tenere dei discorsi e gridare slogan in sfida al potere militare. Le prossime elezioni si terranno nel mese di febbraio del 2019, ma l’impazienza si fa sentire in tutto il paese dopo il continuo rinvio della data elettorale. Inoltre, ci sono numerosi sospetti su una possibile candidatura dell’attuale primo ministro e di un radicamento del controllo militare nella vita politica del paese

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/hundreds-join-anti-junta-rally-in-thailand-as-calls-for-democracy-grow

11 marzo, Filippine – L’esercito filippino uccide 44 ribelli nel sud del paese

Continua l’offensiva del governo filippino contro i ribelli nelle aree meridionali del paese. Negli ultimi scontri che hanno opposto militari e ribelli del Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (BIFF) sono stati uccisi 44 oppositori dello stato e altri 26 feriti. Gerry Besana, portavoce dell’esercito ha dichiarato però che queste informazioni provengono da fonti di intelligence e non dal recupero dei corpi.

Secondo le stesse fonti, le forze BIFF potevano contare su circa 300 uomini prima dell’offensiva dello stato filippino. Nel corso degli ultimi mesi sarebbero morti un centinaio di uomini. Il BIFF è un gruppo armato proveniente dal Moro Islamic Liberation Front, il quale aveva firmato un accordo di cessate il fuoco col governo. Inoltre, il BIFF ha giurato fedeltà allo Stato Islamico qualche anno fa.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/philippine-troops-kill-44-militants-in-ongoing-clashes-in-the-south

Set Feture Image: Pixabay