Africa-Malawi

IL MALAWI E LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO: INTERVISTA A MICHELE ANGHILERI

Irene Ferri

 

Il Malawi, che occupa la 172esima posizione su 189 nell’Indice di Sviluppo Umano (ISU) del 2019, è un Paese dell’Africa sud-orientale povero di risorse naturali che, a differenza di altri Stati del continente, raramente attira l’attenzione mediatica internazionale.

Per capire meglio le dinamiche politiche, economiche e sociali di questo Paese, da molti definito “il cuore caldo dell’Africa”, abbiamo intervistato Michele Anghileri, 23 anni e un amore sconfinato per l’Africa e per il Malawi, che ormai da anni vi si reca per contribuire alla realizzazione di diversi progetti umanitari.

Dopo che le elezioni che si sono tenute nel 2019 sono state annullate per brogli elettorali, nel mese di giugno 2020, in piena pandemia, sono state indette nuove elezioni che hanno determinato la vittoria di Lazarus Chakwera. Quale è l’attuale situazione politica del Malawi? Ci sono state svolte dopo le nuove elezioni?

Le rivolte che ci sono state dopo la notizia dei brogli elettorali mi hanno parecchio stupito. In Malawi c’è un detto che, parafrasando, dice: “Se tu pesti un piede a un malawiano sarà lui a chiederti scusa” e ciò dà molto l’idea che tipo di persone siano, umanamente parlando. Il fatto che in molti, per far sentire la loro voce, abbiano preso parte alle manifestazioni, secondo me può essere considerato già di per sé una sorta di rivoluzione. Qualcosa sembra muoversi, anche se solo nella mentalità delle persone. Anche nei villaggi, in termini di partecipazione, sia le manifestazioni contro i brogli elettorali che le nuove elezioni sono state molto sentite. Spinta dalla voglia di dare una svolta, la popolazione ha eletto il leader dell’opposizione e sembra soddisfatta dell’elezione di Chakwera come nuovo presidente, forse più per aver completamente stravolto le cose e perché percepisce la sua elezione come un “riscatto”, che per l’effettiva fiducia nelle politiche del nuovo presidente.

A livello economico ci sono speranze per un effettivo sviluppo del Paese? Come ha influito l’avvento del Covid-19?

Il Malawi è uno dei Paesi più poveri del mondo (occupa il 172esimo posto su 189 nell’indice di sviluppo umano (ISU). È un Paese estremamente povero e scarso di risorse naturali, per questo motivo non è soggetto a conflitti per accaparrarsi le risorse ed è quindi relativamente tranquillo dal punto di vista della sicurezza, ma non è nemmeno il luogo ideale per attirare grandi investimenti. Io stesso se fossi un imprenditore non sceglierei mai il Malawi dove, quando va bene, ci sono tre ore di elettricità al giorno. La situazione di lavoro sarebbe ingestibile. C’è proprio un problema in partenza. Se ci fosse anche solo una maggiore sicurezza dal punto di vista delle risorse e delle infrastrutture, forse si potrebbe fare la differenza.

Per quanto riguarda il Covid, non sono state prese grandi misure per evitare la diffusione del virus. Sono state chiuse le scuole, ma forse questa decisione ha avuto più conseguenze negative che positive, in quanto circa l’80% dei bambini in Malawi fa un pasto al giorno, ossia quello che gli viene dato a scuola. Chiudendo le scuole anche quell’unico pasto è venuto a mancare.

Quanto sono ampie le disuguaglianze economiche e sociali in Malawi tra città e zone rurali?

Il divario è estremamente ampio. Molte famiglie nelle grandi città possono permettersi automobili, possono garantire istruzione anche a livello universitario ai loro figli, hanno un collegamento a internet e altri generi di “comfort”. Non potrei mai paragonarlo alla vita in Europa, ma ci sono sicuramente maggiori possibilità rispetto ai villaggi, dove si vive invece in situazioni di estrema difficoltà, in particolare dal punto di vista dell’accesso all’istruzione. In Malawi la maggior parte degli asili è gestita da organizzazioni religiose, soprattutto italiane, oppure da organizzazioni di volontari, mentre le scuole elementari sono per lo più a gestione governativa. Tuttavia, non tutti i bambini dei villaggi hanno la possibilità di andarci poiché spesso le distanze da percorrere a piedi sono troppo ampie, soprattutto durante la stagione delle piogge. In città, oltre ad avere maggiori possibilità economiche, ci sono anche maggiori possibilità di “riscatto”: i lavori sono paragonabili ai nostri (medici, infermieri, operai in fabbrica) e permettono agli abitanti di mantenere uno stile di vita quanto meno dignitoso.

Gli aiuti allo sviluppo delle grandi potenze occidentali e l’operato delle ONG come si collocano in questo contesto?

L’idea che la maggior parte delle organizzazioni mi ha dato, purtroppo, mi ha fatto pensare che esse si orientano più verso un autosostentamento economico che verso l’effettivo desiderio di aiutare la popolazione. Gran parte delle organizzazioni, soprattutto quelle medio grandi, investono molto nella costruzione di infrastrutture e mezzi di trasporto per i loro dipendenti, mentre quanto effettivamente arriva alla popolazione è davvero poco. Capisco che i dipendenti di grandi organizzazioni non possano vivere nelle stesse condizioni della popolazione locale, poiché ciò non sarebbe assolutamente d’aiuto, ma per quanto concerne la mia esperienza, mi sembra sia più concreto l’aiuto che la popolazione riceve nel momento in cui sono organizzazioni di piccole dimensioni a gestire i progetti. Tuttavia, a loro volta, esse studiano a tavolino i progetti da realizzare, senza ascoltare effettivamente le necessità dei locali. I soldi raccolti vengono sì utilizzati esclusivamente per portare a compimento il progetto, ma bisogna davvero assicurarsi che sia esattamente ciò di cui la popolazione necessita. Inoltre, ritengo che dovrebbe esserci maggiore collaborazione tra le organizzazioni più piccole e che solo in questo modo si potrebbe giungere a risultati migliori e soprattutto in tempistiche più ridotte e spesso le tempistiche possono davvero fare la differenza.

La popolazione locale come percepisce l’aiuto esterno?

Varia molto da zona a zona. Nelle città e nei villaggi più grandi e più sviluppati l’idea dell’uomo bianco non è più percepita come qualcosa di estraneo e distante, ma viene associata all’idea di ricchezza. Questo messaggio ora fatica ad essere interpretato in altra maniera. Il problema è che le organizzazioni tendono a sostituirsi alla popolazione locale e a realizzare progetti da donare, da “regalare”. Secondo me, invece, dovrebbero aggiungersi e integrare laddove il governo locale non arriva. C’è una linea sottile tra l’aiutare e il sostituirsi e credo che ci dovrebbe essere una maggiore cooperazione tra organizzazioni e popolazione locale e si dovrebbero valorizzare di più le possibilità che loro hanno. Se i progetti vengono sempre realizzati dall’inizio alla fine dalle organizzazioni, si fa in modo che la popolazione si abitui a questa situazione e non faccia più nessun passo verso un suo effettivo sviluppo in autonomia. L’unica soluzione che io vedo per modificare la realtà di Paesi come il Malawi sta nel responsabilizzare la popolazione locale, valorizzare le sue capacità e possibilità e mettere in moto un reale processo di sviluppo a lungo termine.

È anche, a parere mio, molto importante evitare di esportare e imporre le nostre abitudini occidentali alle popolazioni locali, soprattutto nei villaggi. L’unica cosa che noi possiamo fare è concentraci sul garantire sempre loro sanità, istruzione, cibo e acqua, elementi necessari alla sopravvivenza. Non si devono sostituire le nostre abitudini alle loro. Se loro sono abituati a dormire nelle capanne, chi siamo noi per andare lì e pretendere di costruire grattacieli o imporre elementi completamente estranei alla loro cultura di cui non sentono la necessità?

Come è cambiata la tua percezione del Malawi dopo le tue esperienze?

La mia percezione è cambiata totalmente. L’Africa, vista dall’esterno, mi sembrava il posto più felice sulla Terra, dove le persone sono sempre felici nonostante le mille difficoltà. Sicuramente in parte è vero, ma questa idea può dare un’impressione completamente sbagliata della realtà.

Quando sono partito la prima volta, io credevo davvero di poter cambiare il mondo. In realtà, ho poi capito che da soli non siamo in grado di cambiare proprio nulla, se non cercare di modificare la percezione che le persone hanno del mondo in cui vivono, trasmettergli l’idea che ci possa essere anche altro, che ci possa essere davvero la possibilità di avere cibo e acqua tutti i giorni. La cosa più bella che possiamo augurarci è che le persone siano in grado di muoversi con le loro gambe, che possano in modo autonomo procurarsi ciò di cui necessitano ogni volta che ne hanno bisogno. Io mi auguro davvero che ci sia una possibilità di cambiamento, anche se la strada è ancora davvero lunga e in salita.

La mia idea si è completamente modificata: mi sono reso conto che l’aiuto del singolo conta gran poco, così come l’aiuto dell’associazione. Puoi forse cambiare la vita solo alle poche persone che stanno intorno alla tua realtà e al tuo progetto, ma per lo sviluppo dell’intero Malawi le prospettive non sono assolutamente positive. Si può fare sì qualcosa di buono, ma non su larga scala.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sarei dovuto partire per tre anni alla volta del Malawi per lavorare con l’organizzazione Pang’ono Pang’ono, ma per via del Covid-19 credo che fino a metà dell’anno prossimo non ci sarà la possibilità di partire. Come organizzazione hanno appena avviato un progetto agricolo molto interessante. La svolta di mentalità di questa organizzazione, che è poi il motivo per cui mi sono legato a loro, è il fatto che loro vendono i prodotti che ottengono dai progetti a un prezzo davvero irrisorio e pagano gli operai con i soldi che vi ricavano. Bisogna far capire alla popolazione locale che nulla è dovuto e che per potersi davvero muovere in una direzione di sviluppo ci si deve guadagnare quello che si ha, anche banalmente donando qualcosa di piccolo in cambio. L’idea alla base dei progetti di Pang’ono Pang’ono è molto più complessa del “prendere i fondi, comprare il mais e regalarlo ai locali”, ma fa un passaggio in più e questo passaggio è necessario per arrivare ad una soluzione di responsabilizzazione della popolazione locale.

 

(Featured Image Source: Flickr – U.S. Army Southern European Task Force)