
Donne migranti in Giappone
– Chiara Galvani –
Introduzione
Il Giappone è un Paese che sta invecchiando velocemente. La sua società spesso definita “super-aged” è, infatti, la più vecchia al mondo. Secondo un briefing pubblicato dal Parlamento Europeo nel 2020[1], il 28,7% della popolazione supera i 65 anni di età e si stima che entro il 2036 le persone over 65 rappresenteranno un terzo dell’intera popolazione. Dal 2011, inoltre, si è registrato un calo demografico con una riduzione della popolazione che si prevede che passerà da 127 milioni nel 2015 a 88 milioni nel 2065.
Questa tendenza è rappresentata nella piramide demografica (Figura 1) da cui emerge che nei prossimi cento anni si prevede che la popolazione sarà costituita principalmente da anziani.
Figura 1

(Fonte: European Parliament, Japan’s ageing society, 2020)
Questa situazione rappresenta una vera e propria sfida a livello demografico, con conseguenze anche sul piano sociale ed economico cui il governo giapponese ha provato e sta provando a trovare soluzioni.
Il governo di Shinzo Abe, ad esempio, nella riforma politica strutturale avviata a partire dal 2013 aveva avvertito l’urgenza di prendere in considerazione l’aumento della mobilità del lavoro che comprendeva anche le questioni dell’immigrazione e dell’occupazione femminile, sia nazionale che estera (Paillard-Borg S. e Holmgren J. 2016, 1).
Sotto Abe, infatti, vennero discussi a livello governativo temi come l’aumento del tasso di occupazione femminile e una legge sull’immigrazione più liberale che facilitasse l’arrivo di lavoratrici domestiche straniere (ibidem, 2).
Le lavoratrici domestiche straniere potrebbero potenzialmente alleviare la tensione sulle famiglie giapponesi, in particolare aiutare le donne su cui gravano le responsabilità domestiche e la cura dei bambini e degli anziani (Straubhaar, 2000; Yamanaka, 2008).
Questa soluzione aumenterebbe quindi le possibilità di sviluppo professionale delle donne giapponesi (Itoh, 2014; “Japanese Women and Work,” 2014) con ricadute positive sull’economia del Paese. Le donne potrebbero partecipare più attivamente al mondo del lavoro ricoprendo ruoli a tempo pieno, aumentando di 8 milioni la forza lavoro attualmente in costante diminuzione e accrescendo i redditi imponibili.
Il governo sta considerando di ridurre e persino abolire il sussidio fiscale per il coniuge implementato nel 1961 (Kodera, 2014 in Paillard-Borg S. e Holmgren J. 2016, 1). Con l’attuale sistema fiscale, il capofamiglia, solitamente il marito, può ottenere una detrazione fiscale sul reddito del coniuge se la moglie guadagna meno di 1,41 milioni di ¥ all’anno. Inoltre, la moglie non è tenuta a pagare un premio per diventare idonea al piano pensionistico nazionale se guadagna meno di 1,3 milioni di ¥ all’anno (ibidem). Di conseguenza, molte donne non sono incoraggiate a cercare un impiego a tempo pieno.
Inoltre, secondo Goldman Sachs, una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro potrebbe aumentare il PIL del Paese di circa il 15% (“Japanese Women and Work,” 2014).
Le donne migranti sembrano giocare un ruolo chiave soprattutto per il destino delle donne giapponesi.
La loro storia inizia negli anni ’80 e arriva fino ai giorni nostri. I profili di queste lavoratrici sono cambiati nel tempo, le difficoltà che devono affrontare non sono diminuite. Diverse sono le ONG attive per la loro tutela ma c’è ancora tanto da fare sotto il profilo legale.
Migrazione in dati
L’arrivo di migranti in Giappone è in costante aumento dagli anni ’90 (Figura 2).
Figura 2

(Fonte: IOM UN Migration)
A metà 2020 i migranti hanno raggiunto quota 2.770.996 portando il Giappone ad essere l’ottavo Paese di destinazione della regione Asia-Pacifico. Tuttavia, i migranti rappresentano solo il 2% del totale della popolazione.
I Paesi di provenienza sono principalmente asiatici (Figura 3), con la Cina al primo posto.
Figura 3

(Fonte: IOM UN Migration)
Per quanto riguarda genere ed età, la quota di migranti maschi (48,6%) e femmine (51,4%) in Giappone a metà del 2020 era pressoché equilibrata. I migranti di età compresa tra 20 e 64 anni costituivano l’83,5%, mentre i migranti di età pari o inferiore a 19 anni rappresentavano l’11,1% del totale (Figura 4).
Figura 4

(Fonte: IOM UN Migration)
Le donne, quindi, rappresentano una fetta importante dei migranti presenti in territorio giapponese, diversamente dalla tendenza mondiale che vede un numero di migranti maschi più elevato e in crescita rispetto alla controparte femminile (IOM 2024).
Il profilo delle donne migranti: evoluzione
Il Giappone è sempre stato un Paese chiuso e riluttante all’immigrazione. Ancora oggi, infatti, la società giapponese può essere considerata relativamente omogenea.
Nel dopoguerra il governo attuò rigide politiche sull’immigrazione attraverso l’Immigration Control and Refugee Act del 1952, che consentiva l’immigrazione solo con visti di lavoro o visti rilasciati a persone di origine giapponese o con familiari residenti in Giappone (Faber B. 2024).
Negli anni ’80 il Giappone divenne una destinazione più attraente per gli immigrati grazie alla sua rapida urbanizzazione e al suo sviluppo economico.
In quegli anni le categorie di donne migranti presenti nel Paese erano diverse (come definito dallo studio di Tokyo English Life Line 2003, 7-12):
– Diplomatiche, imprenditrici e professioniste
Queste comunità si trovavano soprattutto nei maggiori centri metropolitani.
In questa categoria rientrano anche le mogli di uomini arrivati in Giappone per lavorare nel mondo degli affari e/o in ambito diplomatico e sono chiamate “mogli al seguito”.
– JET (The Japan Exchange and Teaching)
Dagli anni ’80 un gruppo estremamente eterogeneo di giovani, più della metà dei quali donne (56,5% nel 1991), provenienti da molti paesi, è entrato in Giappone in numero crescente tramite il programma JET The Japan Exchange and Teaching, progettato dal governo, con lo scopo di insegnare la lingua inglese agli studenti giapponesi nelle scuole medie e superiori e per lavorare negli uffici governativi locali in tutto il paese.
– Lavoratori migranti stranieri
Dagli anni ’80, il gruppo più numeroso di stranieri in arrivo è composto prevalentemente da lavoratori migranti a breve termine impiegati nei settori manifatturiero, edilizio, dei servizi e dell’intrattenimento. Questa forza lavoro è segmentata per nazionalità e per genere, con gli uomini che lavorano nei settori delle costruzioni e dei servizi e le donne nei settori manifatturiero, dei servizi e dell’intrattenimento.
– Intrattenitrici (artiste, modelle, ballerine, etc)
Uno studio sulle categorie di visti rilasciati alle donne rivela che l’intrattenimento era l’ambito lavorativo maggiormente disponibile per le donne straniere.
– Migranti latinoamericani rimpatriati
Nel 1990, il governo tentò di creare una politica per affrontare la crescente carenza di manodopera non qualificata, concedendo visti di lavoro ai migranti di origine giapponese provenienti dal Sud America, soprattutto dal Brasile.
– Spose straniere
Il calo del tasso di natalità nel Paese e la difficoltà degli agricoltori a trovare mogli giapponesi che condividessero con loro la vita in campagna ha favorito l’arrivo di donne straniere che entravano nel Paese tramite mediatori a scopo di matrimonio.
Negli ultimi anni il governo ha intensificato gli sforzi per attrarre lavoratori e lavoratrici stranieri e incentivarli a rimanere nel Paese in settori chiave come l’assistenza sanitaria e l’edilizia. Tra queste iniziative rientrano il rilascio di un numero maggiore di visti di breve durata (in sostituzione del Japan’s Technical Intern Training Program, spesso criticato per le severe violazioni dei diritti umani), l’aumento del periodo massimo di residenza da tre a cinque anni e il trasferimento del sistema di registrazione degli immigrati dal governo locale a quello nazionale, per eliminare l’obbligo di permessi di rientro (Faber B. 2024).
Il governo ha inoltre avviato altri due programmi per il reclutamento di lavoratori che colmino specifiche carenze di manodopera nell’economia giapponese: Specified Skilled Worker (SSW) e High Skilled Foreign Professionals (HSFP).
Il programma SSW, creato nel 2019, offre uno status di visto fino a cinque anni che cerca di attrarre lavoratori di media qualificazione in settori quali edilizia, agricoltura, assistenza infermieristica e ristorazione. Il supporto per i lavoratori SSW include alloggio, un programma di orientamento, reti di comunicazione e stipendi paragonabili a quelli dei lavoratori giapponesi. Tuttavia, per accedere a questo programma, i lavoratori devono superare un test di conoscenza della lingua giapponese, che è spesso difficile per gli stranieri (ibidem).
Secondo un’analisi del The Japan Times del 2024 i primi cinque Paesi di provenienza dei lavoratori di questa categoria sono Vietnam, Indonesia, Filippine, Myanmar e Cina. Il settore dove i detentori di questa tipologia di visto sono maggiormente impiegati è quello della produzione alimentare (27,9%) seguito da produzione di macchinari e telecomunicazioni (17,5%), assistenza (14,6%), costruzioni (12,7%) e agricoltura (11%).
Questo programma è fortemente pubblicizzato sia sul sito internet del
Ministero degli Affari Esteri (https://www.mofa.go.jp/mofaj/ca/fna/ssw/us/) che tramite una campagna di comunicazione in lingua inglese composta da video pubblicati sul canale Youtube del Ministero nella playlist “特定技能 / Specified Skilled Worker System” (https://www.youtube.com/playlist?list=PLz2FHGxPcAlih3brAMcPHK7gjqhG4f4gU).
Il programma HSFP, istituito nel 2012, è rivolto a scienziati, ricercatori, imprenditori e ingegneri attraverso un sistema di idoneità e benefit basato su una valutazione a punti e consente di portare con sé in Giappone anche familiari e domestici. Il sistema richiede 70 punti in tre categorie: ricerca accademica avanzata, attività tecniche specializzate avanzate o attività di gestione aziendale avanzata. L’assegnazione dei punti in ciascuna categoria si basa su attributi personali, come background accademico, carriera professionale, età e risultati di ricerca (ibidem).
Uno degli ambiti in cui sono maggiormente impiegate le donne migranti è quello dell’assistenza sanitaria domestica. Questo settore è stato aperto solo recentemente ai lavoratori stranieri e vede coinvolte soprattutto donne provenienti da Paesi del Sudest asiatico.
Dal 2014, sotto il premier Shinzo Abe, il Giappone ha aperto le porte all’arrivo di caregiver che comunque tuttora vengono accolte timidamente. Attualmente costituiscono solo il 3,3% della forza lavoro migrante totale (ERIA Study team 2022, 8).
La riluttanza a assumere caregiver migranti non riflette solo un sentimento sociale di xenofobia ma indica anche un’idea di cultura della cura che privilegia professionalità istituzionale e familiarità culturale. Secondo la nuova politica del Giappone, le lavoratrici domestiche migranti potrebbero anche vivere in un’abitazione diversa da quella del nucleo familiare presso cui prestano servizio; sono assunte e supervisionate da agenzie dedicate e non dal datore di lavoro; la fornitura del servizio di pulizia è chiaramente definita (sono escluse le cure infermieristiche); l’importo della retribuzione non deve essere inferiore a quello delle lavoratrici domestiche autoctone. Le collaboratrici domestiche migranti sono identificate come professioniste una volta completato il corso intensivo di formazione per acquisire le competenze linguistiche e le conoscenze della cultura giapponese (Lan P. 2018, 1030).
I canali di arrivo di questa tipologia di migranti sono quattro: EPA, TITP, studenti nel settore dell’assistenza alla persona e SSW. Differiscono in termini di obiettivi dei programmi, qualifiche dei candidati, livelli di conoscenza della lingua giapponese, termini e condizioni dello status di visto, costi delle infrastrutture e governance della migrazione (ERIA Study team 2022, 9). Tutte le differenze sono riassunte nella figura 5.
Figura 5

(Fonte: ERIA Study team 2022, 9-10)
Le lavoratrici migranti arrivate in tempi più recenti possono essere suddivise in tre gruppi: lavoratrici professionali e altamente qualificate, lavoratrici manifatturiere con contratti a breve termine e lavoratrici domestiche o del settore dell’intrattenimento (Matsuda 2002, 1).
Problemi che devono affrontare le donne migranti
Le categorie di donne migranti in Giappone sono diverse, come già accennato in precedenza. Tutte sono accomunate da una serie di problemi che hanno dovuto affrontare, problemi di integrazione e inserimento all’interno della società e veri e propri abusi dei diritti umani subiti soprattutto dalla categoria delle “intrattenitrici” e delle donne entrate nel Paese col programma Japan’s Technical Intern Training.
Secondo un sondaggio condotto nel 2022 dal Ministero della giustizia giapponese tra i residenti stranieri, quelli soddisfatti della loro vita in Giappone costituiscono la maggior parte anche se leggermente in calo rispetto all’anno precedente.
Il principale motivo di insoddisfazione è la discriminazione nei loro confronti (Figura 6).
Figura 6

(Fonte: Ministry of Justice, Basic Survey on Foreign Residents in FY2022—Survey Overview—)
Il problema della discriminazione è presente anche in ambito lavorativo, al secondo posto dei problemi legati al lavoro, dopo i salari bassi compare infatti “I am treated less favorably than Japanese in terms of my form of employment, assignment and promotion” (Figura 7).
Figura 7

(Fonte: Ministry of Justice, Basic Survey on Foreign Residents in FY2022—Survey Overview—)
Il luogo di lavoro, inoltre, risulta uno dei luoghi dove maggiormente gli stranieri si sentono discriminati (Figura 8).
Figura 8

(Fonte: Ministry of Justice, Basic Survey on Foreign Residents in FY2022—Survey Overview—)
Legato al problema della discriminazione e dell’inserimento all’interno della società c’è anche quello della lingua che spesso costituisce una barriera nella vita quotidiana.
Problemi in ambito lavorativo, discriminazione e la barriera linguistica sono quindi i maggiori ostacoli da affrontare (Figura 9).
Figura 9

(Fonte: Ministry of Justice, Basic Survey on Foreign Residents in FY2023—Survey Overview—)
Queste problematiche portano gli stranieri a sentirsi sempre più soli (Figura 10).
Figura 10

(Fonte: Ministry of Justice, Basic Survey on Foreign Residents in FY2023—Survey Overview—)
Alcune donne, inoltre, hanno problemi di discriminazione e violenza anche all’interno del contesto famigliare. I visti di molte donne straniere dipendono dal loro matrimonio con cittadini giapponesi. Molte donne, soprattutto asiatiche, si trovano di fronte alla scelta molto difficile tra il divorzio con il conseguente obbligo di lasciare il Paese o continuare a vivere con un partner violento. La loro scelta è ancora più complessa in presenza di figli. Il sistema legale giapponese è infatti estremamente lento nel dirimere questo tipo di questioni, è molto costoso e tende a favorire il partner giapponese nei casi di affidamento dei figli, il che aumenta e moltiplica le potenziali violazioni dei diritti umani (TELL 2003,15).
Oltre a questi problemi della vita quotidiana ci sono gruppi di donne che si trovano ad affrontare veri e propri abusi dei diritti umani.
Le categorie più soggette a tali abusi sono quelle delle intrattenitrici e delle migranti che restano nel Paese dopo la scadenza del visto e spesso queste due categorie si sovrappongono.
Le donne originarie delle Filippine sono le più numerose tra le lavoratrici migranti che arrivano con un visto da “intrattenitrice”. Dovrebbero lavorare come cantanti o ballerine. In molti casi, tuttavia, sono costrette a intrattenere i clienti e spesso anche a prostituirsi (Matsuda 2002, 3). Il problema con il visto per intrattenitrici è che la titolare non è classificata come lavoratrice ai sensi del diritto del lavoro giapponese.
In molti casi, queste lavoratrici vivono numerose in piccoli spazi, sorvegliate e limitate nelle loro attività anche per difficoltà nella lingua giapponese. Anche se hanno un impiego, si trovano ad affrontare varie violazioni dei diritti umani e pratiche svantaggiose come: (a) essere private del passaporto o del biglietto di ritorno, (b) non essere pagate mensilmente, o essere pagate in un’unica soluzione una volta rientrate nel Paese di provenienza, (c) subire sanzioni per vari motivi, (d) subire violenza, (e) essere costrette a fare straordinari, lavori fuori contratto e (f) indibitarsi per il mancato pagamento dello stipendio (ibidem).
Il ruolo delle ONG
A differenza dell’Europa o del Nord America, dove sono soprattutto le comunità di migranti a fornire informazioni, servizi e assistenza ai nuovi arrivati, in Giappone un ruolo chiave a supporto dei migranti, in particolare delle donne, è svolto dalle ONG. Questo deriva dalla differenza dei sistemi migratori e dalle dimensioni relativamente piccole della popolazione migrante in Giappone (Inaba, Highuchi 2001, 4).
Le ONG che si occupano di migranti sono classificate nelle tre categorie seguenti: (a) sindacati, (b) organizzazioni religiose, o (c) organizzazioni civiche e professionali (incluse organizzazioni per i diritti umani, antidiscriminazione e di donne, avvocati e personale medico) (ibidem, 5) (Figura 11).
Figura 11

(Fonte: Inaba, Highuchi 2001, 6)
Le ONG forniscono diversi servizi, come riassunto nella tabella sottostante (Figura 12).
Figura 12

(Fonte: Inaba, Highuchi 2001, 8)
Queste attività sono molto utili e hanno effetti positivi sull’empowerment dei gruppi migranti.
Per quanto riguarda le donne sono diversi gli esempi di progetti virtuosi.
Ad esempio nella città di Kawasaki, nella prefettura di Kanagawa, esiste il gruppo “Kalakasan”, che significa “forza” in tagalog che fornisce supporto alle donne filippine
Dalla sua fondazione 22 anni fa, fornisce consulenza su tutti i tipi di problemi, dai problemi con i mariti giapponesi al lavoro, alle malattie e alle difficoltà economiche.
Un altro esempio virtuoso è l’All Japan Women’s Shelter Network. Questo network di rifugi per donne e bambini vittime di violenza domestica offre una serie di servizi come “Purple dial”, una hotline di consulenza professionale aperta 24 ore su 24, che non solo fornisce servizio in lingua giapponese, ma anche in altre sei lingue straniere: tagalog, tailandese, coreano, cinese, inglese e spagnolo o “Purple Radio” una piattaforma internet che condivide informazioni rilevanti per l’emancipazione delle donne, con seminari, campagne, condivisione di casi, questioni relative alle minoranze sessuali, questioni legate al lavoro delle donne, all’assistenza legale, ecc.
I casi di violenza domestica denunciati dalle donne migranti sono, infatti, cinque volte superiori rispetto a quelli che vedono coinvolte donne giapponesi.
Il problema delle ONG di sostegno ai migranti, come alcuni studiosi come Gabriele Vogt e Philipp Lersch hanno spiegato, è che sono molto attive nella fornitura di servizi e invece molto passive nella difesa politica. La maggior parte delle organizzazioni di sostegno ai migranti si preoccupa infatti di migliorare le condizioni di vita e di lavoro piuttosto che rivedere la politica di immigrazione e/o il quadro giuridico della migrazione in Giappone. Inoltre, la stragrande maggioranza delle organizzazioni affonda le sue radici nell’attivismo locale; quasi nessuna di loro – nemmeno quelle più grandi – allarga il proprio raggio d’azione a livello nazionale o transnazionale (Vogt G., Lersch P., 265).
Svolgono comunque un ruolo chiave in settori come l’insegnamento della lingua e cultura giapponesi, condivisione di informazioni utili e supporto su pratiche specifiche. Queste attività sono chiave per l’assimilazione positiva della comunità migrante e per una maggiore integrazione.
Conclusioni
La condizione delle donne immigrate in Giappone è complessa.
Negli ultimi dieci anni stanno acquisendo un ruolo sempre più chiave all’interno della società. Il destino delle donne giapponesi e la loro maggior partecipazione al mondo del lavoro sembrano infatti profondamente legati a quello delle donne migranti, che potrebbero fornire un supporto decisivo per quanto riguarda il lavoro di cura domestica.
È quindi nell’interesse del governo incentivare gli arrivi e migliorare la condizione delle lavoratrici straniere.
Per quanto riguarda l’integrazione le attività svolte dalle numerose ONG non sono sufficienti. Le politiche del Paese forniscono, infatti, un supporto inadeguato ai nuovi arrivati per integrarsi nell’economia e nella società giapponese. Le politiche giapponesi offrono agli immigrati l’accesso all’assistenza sanitaria e allo status di residente permanente, benefici preziosi, soprattutto se confrontati con le politiche precedenti il calo demografico. Tuttavia, gli immigrati ricevono anche un supporto linguistico minimo, scarso accesso all’istruzione, alla formazione sulla preparazione alle calamità naturali e alle risorse che aiutano alla comprensione della cultura e delle usanze giapponesi. Il Giappone è anche l’unica democrazia sviluppata che non ha una legge antidiscriminazione o un organo giudiziario preposto, il che significa che gli immigrati che affrontano discriminazioni non possono cercare giustizia (Faber B. 2024).
Un altro ambito da migliorare è l’acquisizione dello status di cittadino naturalizzato, attualmente molto difficile da ottenere.
Nel 2024, inoltre, il governo giapponese ha approvato un emendamento all’Immigration Control and Refugee Recognition Act del 1990, con l’obiettivo principale di sostituire il controverso Technical Intern Training Program con un nuovo programma per lavoratori stranieri. Ma la legge aggiornata include anche controlli più severi sui residenti permanenti, consentendo alle autorità di revocare lo status di residente permanente a individui che ripetutamente trascurano i pagamenti delle tasse o dell’assicurazione sociale o che sono condannati per determinati reati (Higuchi N., Inaba N., Takaya S. 2024).
Il governo ha, inoltre, istituito un processo di selezione meritocratica in tre fasi per l’ottenimento della residenza permanente: i lavoratori migranti devono superare un primo esame nell’ambito del Training Work Program triennale, superare un secondo esame durante un programma quinquennale come Specified Skilled Workers 1 e possono quindi presentare domanda di residenza permanente dopo cinque anni di lavoro come Specified Skilled Workers 2.
Questo, unito ai problemi di integrazione e agli stipendi più bassi rispetto ai colleghi giapponesi disincentiva l’arrivo di lavoratori dall’estero.
Se il Giappone vuole attrarre più lavoratori stranieri dovrà quindi sia operare a livello legislativo che migliorare le condizioni di vita dei migranti favorendo una maggiore integrazione.
[1] https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2020)659419
Bibliografia
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Vogt G., Lersch P., Migrant Support Organizations in Japan – A Mixed-Method Approach, Dijtokyo.org 265-285
(Featured image source: Canva)
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