Alberto Fujimori: un nikkei alla presidenza del Perù

Alberto Fujimori: un nikkei alla presidenza del Perù

-Ilenia Oldani-

“En el Perú no existen partidos políticos (…). El poder soy yo, es verdad. Pero es un poder que me fue dado por el pueblo. Yo lo represento”. [1]
Alberto Fujimori, 21/6/199

 

In un contesto di forte crisi economica iniziata negli anni ‘80, la popolazione peruviana, in particolar modo gli strati meno abbienti, necessitava di un cambiamento e di un rinnovamento che la aiutasse a superare il periodo buio e pieno di incertezza che stava attraversando. Alberto Fujimori sfruttò questa situazione a suo favore facendo il suo ingresso nel mondo della politica e coltivando una doppia immagine: quella di politico estraneo e incorrotto che stava al di sopra delle questioni partitiche e quella di leader emerso dalla gente comune con l’obiettivo di offrire una fresca alternativa.[2]

Da outsider a presidente

Alberto Fujimori, figlio di immigrati giapponesi, nato a Lima nel 1938, oltre ad essere conosciuto come rettore dell’Università nazionale agraria La Molina, era famoso anche per essere il conduttore del programma televisivo Concertando che trattava di temi nazionali.

Con il suo ingresso in politica, Fujimori optò, come slogan principale di partito, per tre semplici parole che, secondo il suo punto di vista, esaltavano perfettamente i bisogni principali del Perù e, allo stesso tempo, rappresentavano le sue principali qualità personali: “Honestidad, Tecnología y Trabajo”. Honestidad faceva riferimento alla sua assenza di passato politico, pertanto si presentava come candidato “pulito” e volenteroso. Tecnología faceva riferimento, invece, alla formazione tecnica e di studioso, ma allo stesso tempo poteva essere associato a “giapponese”, supponendo che all’elezione del candidato alla presidenza sarebbe corrisposto un coinvolgimento del suo Paese d’origine atto all’incremento dello sviluppo peruviano. Trabajo, infine, richiamava la vicinanza con i lavoratori soprattutto agricoli di tutto il Paese (e quindi con gli strati meno abbienti), nonché con la costanza nel lavoro tipicamente orientale.[3] Come nome dello schieramento politico scelse Cambio 90. Tale espressione racchiudeva esattamente le esigenze dei peruviani, ovvero, un cambiamento istantaneo. Soltanto la parola cambio sarebbe sembrata troppo generica, ma aggiungere 90, sinonimo di “adesso”, la rendeva perfetta.[4]

Nel 1990, di fronte all’enorme fallimento dell’Alianza Popular Revolucionaria Americana (APRA) di Alan García, alla frammentazione della sinistra e alla sfiducia dei partiti tradizionali, Mario Vargas Llosa, l’altro candidato di centro – destra a capo della coalizione Frente Democrático (Fredomo), nei sondaggi effettuati tre settimane prima delle elezioni presidenziali e parlamentari del 8 aprile 1990 era considerato il sicuro vincitore. Nessuno poteva immaginare che un candidato “senza opzioni”, anonimo ed estraneo al mondo politico, avrebbe potuto sconfiggere il famoso candidato del Fredomo, soprattutto se si prendeva in considerazione il fatto che all’inizio del 1990 Fujimori aveva solamente l’appoggio del 2 per cento dell’elettorato.

Fujimori vinse le elezioni focalizzandosi su una campagna politica basata sulla sua persona senza obblighi nei confronti del partito, ossia, un vero e proprio orientamento politico di stampo populista, che faceva appello ai ceti poveri e che per risolvere la crisi nazionale poneva l’enfasi sulla concertazione politica piuttosto che su uno shock neoliberale.

Dopo aver raggiunto il secondo posto con uno stretto margine di differenza rispetto a Mario Vergas Llosa nel primo turno elettorale, Fujimori, nel secondo turno, presentandosi come “salvatore della nazione”, divenne il Presidente della Repubblica con il 62,4 per cento dei supporti iniziando, così, una nuova fase della storia politica del Paese conosciuta come fujimorismo.

Il primo mandato di Fujimori e l’autogolpe

Il successo del Presidente Fujimori dipese principalmente da due fattori: il primo fu la capacità di rilanciare l’economia del Paese attraverso un programma di riforme neoliberali molto rigido (con devastanti ripercussioni sul tenore di vita della popolazione), il quale prevedeva il controllo dell’inflazione, la ripresa del pagamento del debito e la reintegrazione del Perù nei mercati finanziari internazionali;[5] il secondo fattore, riguardò l’abilità di porre fine ai violenti attacchi messi in atto dal gruppo terroristico Sendero Luminoso con la cattura del leader Abimal Guzmán Reynoso nel 1992 e la conseguente sconfitta del movimento.[6] In merito al Congresso, invece, nonostante si fosse pronunciato per lo più a favore delle riforme economiche, in materia di sicurezza nazionale si mostrò meno collaborativo. Il conflitto scoppiò all’inizio del 1992, quando il Congresso dichiarò l’intenzione di revisionare i 20 decreti di urgenza promulgati l’anno prima dall’Esecutivo in materia di Pacificazione e Difesa Nazionale. La maggioranza dei congressisti considerava che questi decreti conferissero troppi diritti ai militari, rappresentando, quindi, un rischio per il rispetto dei diritti umani.[7] Vista la mancanza di cooperazione e l’intransigenza del Congresso, il 5 aprile del 1992, per porre fine allo stallo politico, il Presidente Fujimori sorprese la popolazione con un messaggio televisivo nel quale annunciava lo scioglimento del Congresso, la sospensione della Costituzione del 1979 e l’inaugurazione di un’iniziativa denominata Gobieno de Emergencia y Recostrucción Nacional con l’appoggio delle Forze Armate, specialmente di Vladimiro Montesinos (direttore del Servicio de Inteligencia Nacional, ovvero i servizi segreti).

Con l’autogolpe Fujimori debilitò i partiti politici, il sistema democratico del Paese e incatenò la popolazione a una sorta di paura nei confronti del passato, facendo emergere nell’immaginario popolare l’idea che senza Fujimori alla guida della nazione il Paese avrebbe rivissuto il periodo di insicurezza che aveva caratterizzato la fine degli anni ’80. Inoltre, si fece carico della pienezza del suo ruolo di Presidente e continuò a governare contro e al margine del sistema partitico tradizionale, rimanendo fedele al suo obiettivo di sostituirlo con un sistema autoritario che si focalizzava sul potere della sua persona, definito anche con il termine “democratura”, ossia una dittatura camuffata da democrazia. Pertanto, dopo aver trasferito la sua residenza nel Quartier Generale dell’Esercito, Fujimori sciolse il Tribunal de Garantías Constitucionales, il Consejo Nacional de la Magistratura e la Procuraduría General de la Nación. Nei giorni seguenti, destituì i membri della Corte Suprema, del Jurado Nacional de Elecciones, figura garante della costituzionalità del processo elettorale, e del Banco Central de Reserva.

Le reazioni più dure emersero dall’opinione pubblica internazionale, in particolare, da parte dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), la quale ebbe una reazione di condanna nei confronti del golpe, minacciando il Presidente con sanzioni e inviando in Perù una commissione di osservazione e negoziazione.[8] Fujimori si mostrò disposto ad accettare le proposte dell’ Organizzazione e concordò un piano di ritorno alla democrazia composto da tre tappe: le elezioni nel novembre del 1992 per i delegati del Congreso Costituyente (che formerà il Congreso Costituyente Democrático (CCD)[9] incaricato di redigere la nuova Costituzione), le elezioni municipali del giugno del 1993 e la votazione del referendum costituzionale.

Si può affermare che l’obiettivo di Fujimori era quello di governare in un ambiente più autoritario dal punto di vista politico e più liberale sotto l’aspetto economico, rispetto ai suoi predecessori. La logica del governo stava nel creare le condizioni necessarie per ottenere l’appoggio della popolazione, anche se in maniera non proprio legale, in modo da concentrare il potere necessario per dare origine a un nuovo ordinamento giuridico che gli desse la possibilità di continuare con le linee d’azione, anche al di sopra del consenso dei cittadini.[10]

Il secondo e il terzo mandato: 1995 – 2000

Fujimori ebbe la meglio anche durante le elezioni del 1995, sconfiggendo il suo avversario Javier Pérez de Cuéllar dell’Unión Por el Perú (UPP). Nonostante ciò, poco dopo esser salito nuovamente al potere, a causa degli scarsi risultati della politica economica, si trovò di fronte a mobilitazioni popolari che culminarono con dimostrazioni di massa contro il fujimorismo, accompagnate da numerose critiche provenienti da governi, organismi e mezzi di comunicazione internazionali che sfociarono in una spaccatura delle basi del regime autoritario.[11]

Durante il suo secondo mandato, Fujimori continuò con il suo stile autocratico manipolando i mezzi di comunicazione; in questo modo, alcune azioni politiche controverse venivano celate dietro a notizie sensazionalistiche (in spagnolo cortinas de humo)[12] che si riferivano solitamente a fatti privati dei personaggi del mondo dello spettacolo, agli scandali nei talk show e all’informazione sportiva. Il controllo esercitato sulla stampa permise la censura di notizie scomode per il regime, il travisamento dell’informazione e perfino le menzogne a favore del governo.

Il periodo 1995 – 2000 fu caratterizzato, inoltre, dall’approvazione di una legge di amnistia rivolta a tutto il personale civile e militare che fosse incorso in violazioni di diritti umani negli ultimi 15 anni, annullando i precedenti penali e la possibilità di essere giudicati in futuro. Pertanto i militari del Grupo Colina, tra cui Montesinos, responsabili del massacro di La Cantuta, furono considerati innocenti.[13]

Il 22 novembre del 1999, il Presidente Alberto Fujimori emise il Decreto Supremo n° 40-99 e convocò le elezioni generali per il 9 aprile del 2000. Il 27 dicembre dello stesso anno Fujimori si candidò per la terza volta alle elezioni presidenziali. Questa decisione generò discussioni in merito alla legalità della sua candidatura.[14] Nel 1996 la maggioranza parlamentare promulgò la Legge di interpretazione autentica, attraverso la quale e in accordo con la Costituzione del 1993, il Presidente Fujimori era autorizzato a presentarsi alla rielezione nel 2000. Questa misura fu ampiamente criticata, dato che la Costituzione non conferiva al Parlamento il potere di interpretarla. Venne percepita, inoltre, come una violazione del principio di separazione dei poteri, trattandosi di un intervento legislativo nella funzione giudiziaria. Nonostante queste difficoltà, la campagna elettorale venne messa in atto e fu caratterizzata da abusi e soprusi che causarono una crisi di legittimità dei risultati elettorali. “Fujimori es el único que puede gobernar el Perú” così annuncia lo stesso Fujimori durante tutta la sua campagna elettorale cercando di aumentare la sfiducia nei confronti dei possibili candidati (in particolare Alejandro Toledo a capo del movimento Perú Posible) attraverso il controllo da parte del governo dei mezzi di comunicazione.

Il 28 luglio Fujimori assunse, per la terza volta consecutiva, il mandato presidenziale; ma questa volta non rimase molto in carica.[15] Difatti, appena tre mesi e mezzo dopo, il governo cadde. La fine della presidenza di Fujimori fu causata da alcuni video diffusi dai media, denominati vladivideos, i quali mostravano Vladimiro Montesinos intento a corrompere membri del Congresso con l’obiettivo di indurli a cambiare schieramento politico e appoggiare il Presidente. Inoltre, la scoperta del traffico di armi, sempre ad opera di Montesinos e del Servicio de Inteligencia Nacional,[16] nei confronti della guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, la sua fuga e altre denunce di corruzione, obbligarono Fujimori ad annunciare, il 16 settembre, la convocazione di nuove elezioni generali nelle quali lui non avrebbe preso parte.

Fujimori, invece, approfittando del VIII vertice dell’ APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), abbandonò il Perù e, in seguito, si rifugiò in Giappone dove comunicò il 19 novembre, tramite fax, la sua rinuncia alla presidenza della Repubblica. Due giorni dopo, il Congresso della Repubblica decise di non accettare la sua rinuncia, dichiarando la vacanza della Presidenza per incapacità morale. Fu messo sotto stato d’accusa non solo per corruzione, ma anche per omicidio, sequestro e traffico di armi e stupefacenti, ma il Giappone, concedendogli asilo, respinse la richiesta peruviana di estradizione. Il Presidente del Congresso Valentín Paniagua Corazo assunse temporaneamente la presidenza della Repubblica. L’8 aprile del 2001 i peruviani furono chiamati nuovamente alle urne per eleggere il Congresso e il nuovo Presidente, ponendo ufficialmente la fine del fujimorismo.[17]

L’esilio in Giappone, l’estradizione e il megajuicio di Fujimori

Dal momento della sua fuga dal Perù nel novembre del 2000, Fujimori si auto esiliò in Giappone. Un mese dopo, gli venne confermata la nazionalità giapponese, in quanto nel 1938 i genitori di Fujimori registrarono il figlio al koseki presso il consolato giapponese a Lima, cosa che gli permise di avere la cittadinanza giapponese in qualità di figlio di cittadini giapponesi.

Nel 2002 ebbe inizio la campagna per l’estradizione di Alberto Fujimori. La Corte Suprema di Giustizia peruviana chiese al governo di presentare una richiesta di estradizione alle autorità giapponesi reclamando l’estradizione dell’ex Presidente Fujimori. Il 13 giugno, tale richiesta fu approvata dal Consiglio dei Ministri del Perù. Fujimori, però, si avvalse della sua doppia nazionalità, ottenendo, per cinque anni, la protezione delle autorità giapponesi, le quali non risposero alle continue sollecitazioni dello Stato peruviano in merito alla richiesta d’estradizione in quanto quest’ultima in Giappone era regolamentata dalla legge n. 68 del 1953 e l’articolo 2 di tale legge obbligava il Giappone a non estradare i suoi cittadini a meno che un trattato disponesse diversamente. [18]

Nel 2005, Alberto Fujimori abbandonò il Giappone e si recò in Cile. Secondo alcuni il suo spostamento fu determinato dalla decisione del nuovo governo peruviano di denunciare il Giappone dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, secondo altri invece Fujimori intendeva preparare dal Cile la propria campagna per ricandidarsi alle elezioni del 2006,[19] ma qui venne arrestato in virtù di un mandato di cattura internazionale richiesto dal Perù. Dunque, un importante attore nella vicenda processuale relativa a Fujimori fu la Corte Suprema cilena, chiamata a pronunciarsi sulla domanda di estradizione presentata dallo stato peruviano in relazione all’ex Presidente sulla base del Trattato che le due nazioni avevano firmato nel 1932.[20]

Nel settembre del 2007 la Seconda Sala della Corte Suprema del Cile approvò all’unanimità la richiesta di estradizione, motivata da sette diversi capi d’accusa, due relativi a violazioni dei diritti umani e cinque inerenti a casi di corruzione, revocando di conseguenza la sentenza di prima istanza del giugno del 2007 in cui l’estradizione era stata rifiutata. I casi analizzati furono i seguenti:

  1. Barrios Altos e La Cantuta: Fujimori fu accusato di aver sostenuto, incoraggiato e protetto le azioni del Grupo Colina, i cui membri, nel primo caso provocarono la morte di quindici persone e nel secondo effettuarono la sparizione forzata e il massacro di un professore e nove studenti.
  2. Sótanos SIE: sotterranei del Quartier Generale dell’Esercito utilizzati come prigioni temporanee e come luoghi di tortura con il fine di ottenere informazioni.[21]
  3. Quince millones: Fujimori venne accusato di aver versato questa somma di denaro, prelevata illegalmente da fondi del Ministero della Difesa, a Montesinos, in qualità di ricompensa per la sua attività, prima della fuga di quest’ultimo.
  4. Congresista Tránsfuga: corruzione di 19 membri del Governo con il fine di ottenere il loro voto, come emerso dai famosi vlavidideos.
  1. Interceptación telefónica: l’ascolto e il monitoraggio di conversazioni telefoniche di politici dell’opposizione.
  2. Medios de comunicación: l’acquisto mediante fondi pubblici di Cable Canal CNN – Canal Diez e del quotidiano Expreso, con l’obiettivo di orientare le notizie a favore della sua rielezione.
  3. Allanamiento: abuso di potere e violazione di domicilio ai danni della compagna di Vladimiro Montesinos, al fine di confiscare video e altro materiale che avrebbe potuto danneggiare l’immagine di Fujimori e accusarlo di atti di corruzione e violazione dei diritti umani.[22]

All’esito del procedimento di estradizione, si aprirono, il 10 dicembre 2007, giorno simbolico in quanto si celebra la giornata dei diritti umani, tre diversi processi contro Fujimori dinanzi alla Camera Penale Speciale della Corte Suprema peruviana, il primo dei quali dedicato ai casi di gravi violazioni dei diritti umani, e gli altri due inerenti alle accuse per corruzione.[23] Per quanto concerne il primo processo in merito alle violazioni dei diritti umani, Fujimori fu sottoposto a giudizio per autoría mediata por dominio de la voluntad[24] dei massacri di Barrios Altos, La Cantuta e del caso Sótano SIE, per i quali la Camera Penale Speciale della Corte Suprema della Repubblica del Perù formulò un’accusa cumulativa che comprendeva i seguenti reati: contro la vita, il corpo e la salute – omicidio qualificato e lesioni gravi, reati contro la libertà personale – sequestro di persona.[25] Il 7 aprile 2009, la Corte lo dichiarò colpevole e lo condannò a 25 anni di reclusione, oltre al risarcimento civile di 100 milioni di soles per le vittime dei casi Barrios Altos e La Cantuta e 300.000 soles per entrambe le vittime del sequestro del caso Sótano SIE.[26] Il giorno dopo la prima sentenza, l’8 aprile, il Tribunale Supremo ratificò la condanna a sei anni di carcere per violazione di domicilio e la confisca dei beni ritrovati presso l’abitazione dell’ex moglie di Vladimiro Montesinos.[27]

Il secondo processo riguardò il trasferimento illecito di 15 milioni di dollari di fondi pubblici a Montesinos quando quest’ultimo abbandonò il Perù nel settembre del 2000. Il 20 giugno 2009, Fujimori venne dichiaro colpevole di appropriazione indebita di fondi statali; fu condannato a 7 anni e cinque mesi di reclusione e al risarcimento di 1 milione di dollari. [28]

Il processo relativo al terzo e ultimo giudizio cui fu sottoposto Fujimori per rispondere ai vari reati che gli erano stati imputati si concluse il 29 settembre dello stesso anno. Fu, pertanto, condannato a sei anni di carcere per tre reati quali lo spionaggio telefonico, l’acquisto di mezzi di comunicazione mediante fondi pubblici e la corruzione di deputati.[29]

La sentenza definitiva fu emanata il 3 dicembre 2010 e confermò il verdetto della sentenza del 7 aprile 2009, ovvero la condanna a 25 anni di pena privativa della libertà in quanto autore indiretto dei crimini di Barrios Altos e La Cantuta, così come dei sequestri del caso Sótano SIE. Secondo la sentenza, la reclusione sarà prolungata fino al 20 febbraio 2032, nonostante sia prevista la possibilità di accogliere benefici plenipotenziari che portino a una riduzione della pena, che comunque dovrà essere scontata per almeno 18 anni. Oltre a ciò, il condannato dovrà versare una riparazione civile di 46.800 soles.[30]

Il fujimorismo esiste ancora?

L’epoca del fujimorismo si pensava potesse ritenersi conclusa con la caduta di Alberto Fujimori, ma non fu così. Keiko Sofía Fujimori Higuchi fu una specie di ombra del padre. Il 2006, fu l’anno in cui venne eletta congressista della Repubblica, assumendo il ruolo di leader del gruppo fujimorista. Nel 2009 fondò il partito Fuerza 2011 (successivamente Fuerza Popular) con l’obiettivo di mantenere la promessa del fujimorismo di non rimanere con le braccia conserte dinnanzi al processo dell’ex Presidente. Due anni dopo si presentò alle elezioni presidenziali ma fu sconfitta dal suo avversario Humala Ollanta.

Eppure, tale movimento resiste tutt’oggi, divenendo la principale forza di opposizione nei confronti di Humala e ottenendo l’appoggio di circa il 20 per cento dell’elettorato nazionale, cifra significativa, se si tiene presente che il leader del partito, Alberto Fujimori, dovrà scontare una pena di 25 anni. [31]

Per quanto riguarda il futuro, le elezioni del 2016 saranno una nuova sfida per il fujimorismo. Secondo il sondaggio Pulso Perù effettuato a livello nazionale dal Datum, se le votazioni fossero domani, la capofila di Fuerza Popular, Keiko Fujimori probabilmente passerebbe almeno al secondo turno con il 32 per cento dei voti. Con questi numeri, Fujimori si presenta come la candidata favorita per il 2016.[32]

[1] Quotidiano El Comercio, 21/6/1993, citato in Aldo Panfichi e C. Sanborn, “Fujimori y las raíces del neopopulismo” in F. Tuesta Soldevilla (a cura di), Los enigmas del poder. Fujimori 1990-1996, Lima, Fundación Friedrich Ebert, 1996, p. 41.

[2] Montero, Mercedes García, “La década de Fujimori. Ascenso, mantenimento y caída de un líder antipolítico”, América Latina Hoy, 28, 2001, p. 63.

[3] Guiñazú F. Videla “El Chino según Alberto, Alberto Fujimori como personaje de ficción de su propio discurso político (1990-2000), Tesis de Grado Académico de Magíster, Pontificia Universidad Católica del Perú, 2006, p. 24, citato in Elisa Cairati, “Il reality show di Alberto Fujimori”, tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Milano, 2009, pp. 15-16.

[4] Elisa Cairati, cit., p. 17.

[5] Gustavo Pastor, “Los veinte años del “autogolpe” de Fujimori. El surgimiento del fujimorismo”, Amérique Latine Political Outlook, 2012, p. 2.

[6] Mercedes G. Montero, cit., pp. 62-69.

[7] Gustavo Pastor, cit., p. 3.

[8] Mercedes G. Montero, cit., pp. 68-72.

[9] Organismo lanciato da Fujimori con lo scioglimento del Congresso Peruviano determinato dal golpe. Il nuovo Parlamento servì a dare una parvenza di democrazia ma in realtà si tradusse in un’istituzione politica di appoggio al regime. Elisa Cairati, cit., p. 29.

[10] Mercedes G. Montero, cit., p. 70.

[11] Julio Cotler e R. Grompone, El fujimorismo. Ascenso y caida de un regimén autoritario, Lima, IEP ediciones, 2000, pp. 40-42.

[12]E’ un tipo di distrazione utilizzata per occultare un’azione. E’,dunque, un insieme di fatti con i quali si vuole nascondere vere intenzioni o deviare l’intenzione degli altri.

[13] Ohgushi Kazuo, “Los japoneses y la crisis de los rehenes en Lima, Perú. Una interpretación”, Revista ciencia política, 19, 1998, p. 200.

[14] La Costituzione del 1993 modificò quella anteriore del 1979, la quale stabiliva un mandato presidenziale di cinque anni e senza rielezione immediata. Con la modifica, il mandato poteva raggiungere un massimo di dieci anni consecutivi. Mercedes G. Montero, cit., pp. 74-75.

[15] Ibidem, p. 80.

[16] Montesino nel giugno del 2001 venne arrestato in Venezuela e riportato in Perù, dove fu processato e dichiarato colpevole di “abuso di potere” durante il suo servizio; inoltre, dovette affrontare più di 50 ulteriori accuse, inclusi l’influenza sui giudici, la supervisione del traffico di droga in Perù e il controllo degli squadroni della morte. John McMillan e Pablo Zoido, “How to subvert democracy: Montesinos in Peru”, Journal of Economic Perspectives, 18, 2004, pp. 71-72.

[17] La Costituzione peruviana stabiliva che il secondo vicepresidente sarebbe stato colui che avrebbe sostituito Fujimori. Ciononostante, Ricardo Márquez, sembrava troppo vicino al governo fujimorista. Per questo motivo, Paniagua fu nominato presidente del Congresso e, dieci giorni dopo, presidente temporaneo del Perù dopo la destituzione di Fujimori il 21 novembre per incapacità morale di governare. Mercedes G. Montero, cit., pp. 81-82.

[18] Arnd Düker, “The Extradition of Nationals: Comments on the Extradition Request for Alberto Fujimori”, German Law Journal, 4, 2003, pp. 1167-1169.

[19]Burt, Jo Marie, “Guilty as Charged: The Trial of Former Peruvian President Alberto Fujimori for Human Rights Violations”, The International Journal of Transitional Justice, 3, 2009, p. 395.

[20] Elena Maculan, “La responsabilità per gravi violazioni dei diritti umani tra diritto penale interno e diritto penale internazionale. Considerazioni a partire dal caso Fujimori”, Archivio Penale, 3, 2011, p. 9.

[21] Elisa Cairati, cit., p. 97.

[22] Ronald Gamarra Herrera, “Alberto Fujimori. El juicio final”, Edición 61, 2008, pp. 3-4.

[23] Elena Maculan, cit., p. 10.

[24] Il reato di autoría mediata por dominio de la voluntad non trova un corrispondente diretto nel Codice Penale Italiano, di conseguenza sarebbe errato attribuire una traduzione al termine. Con questa espressione viene indicata la responsabilità di una carica dello Stato riguardo un reato commesso da terzi. Nel caso Fujimori venne individuato questo tipo di reato in quanto, essendo egli a capo dei servizi del SIN e a stretto contatto con i vertici di tale organismo, si ritenne non potesse essere totalmente estraneo ai fatti, al contrario, pur non essendo l’autore materiale del reato, gli venne attribuita una responsabilità pari a quella di un complice nell’attività criminosa. Elisa Cairati, cit., p. 102.

[25] Federación Internacional de Derechos Humanos, “El juicio de Fujimori. ¿El fin de la impunidad?”, cit., pp. 10-11.

[26] Elena Maculan, cit., p. 10.

[27] Elisa Cairati, cit., p. 110.

[28] Jo-Marie Burt, cit., p. 396.

[29] Jaime Cordero, “Fujimori, condenado a seis años de cárcel por corrupción y espionaje”, El País, 30/09/2009, in www.elpais.com.

[30] Elisa Cairati, cit., pp. 110-111.

[31] Alejandro Tapia, “El fujimorismo cambia el mapa político en Perú”, La terzera, 7/02/2015, in http://www.latercera.com/

[32] “Datum: Keiko Fujimori encabeza preferencia para ser presidente en el 2016”, Gestión, 10/11/2013, in http://www.gestion.pe/

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