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Africa/アフリカ/ 非洲: Giappone e Cina nel continente africano

Federica Galvani

L’Asia e l’Africa, due continenti a prima vista così lontani e diversi, vantano invece delle relazioni profonde e importanti sulla scena internazionale.
Questi due continenti sono sempre più legati da relazioni economiche e commerciali, da progetti di cooperazione e di sviluppo, da movimenti migratori e da rapporti culturali e oggi Paesi come la Cina e il Giappone giocano un ruolo centrale nel continente Africano. Le relazioni tra questi due Paesi e l’Africa, però, sono controverse e sono spesso al centro di dibattiti nell’ambito delle Relazioni Internazionali.
Entrambi consci del ruolo chiave che l’Africa ha ed avrà in un futuro prossimo sul piano economico e geostrategico, vantano un crescente impegno sul continente e sono decisi a non lasciarsi sfuggire quei benefici e quei vantaggi che le relazioni con questo continente possono portare.
Le relazioni di Cina e Giappone con l’Africa e i loro relativi approcci sul continente, però, nonostante abbiano alcune analogie, sono caratterizzati da profonde differenze.

Tra i punti in comune di queste due grandi potenze Asiatiche i più significativi sono senza dubbio gli scopi che hanno motivato un impegno sempre maggiore nel continente. Entrambe, infatti, hanno guardato all’Africa per l’ottenimento del seggio permanente nelle Nazioni Unite e per l’interesse verso le materie prime e il mercato africano.

La Cina[2] occupa il seggio permanente dal 23 novembre 1973. Con l’approvazione della risoluzione 2758 (25 ottobre 1971), dove decisivo fu il peso giocato dai 26 voti favorevoli espressi dai delegati africani, si decideva di espellere immediatamente i rappresentanti della Repubblica di Cina (Taiwan) dal posto che avevano illegittimamente occupato nelle Nazioni Unite dal 1945[3].
La Repubblica Popolare Cinese riuscì ad avere la meglio su Taiwan proprio grazie all’appoggio delle nuove nazioni indipendenti in via di sviluppo e soprattutto grazie ai Paesi africani, nei quali era stata realizzata una massiccia propaganda ed erano stati forniti cospicui aiuti economici. La principale preoccupazione di Pechino era, infatti, quella di mostrare ai suoi alleati la generosità della Cina e di divulgare l’idea che la Repubblica Popolare, a differenza dagli altri attori impegnati in Africa, Taiwan compreso, agiva esclusivamente per un senso di giustizia e fraternità. Fu per questo che i cinesi investirono in Africa ingenti risorse senza ottenere un ritorno economico e milioni di dollari furono spesi esclusivamente per conquistare la fiducia dei governi africani. Sono quindi i numerosi investimenti in territorio africano e la diffusione dell’immagine di Paese amico e disinteressato che hanno permesso alla Cina di entrare nelle Nazioni Unite.
Anche il Giappone, potenza di soft power, ambisce al Seggio Permanente e punta all’Africa e al suo supporto per ottenerlo. Il continente africano, infatti, ha un ruolo strategico cruciale nella questione: con i suoi 50 membri su 192 nell’Assemblea dell’ONU esso rappresenta un supporto fondamentale per l’ambizione nipponica.

Altro aspetto in comune sono i profondi interessi commerciali ed economici che sia Cina sia Giappone hanno in Africa.
L’Africa è un continente ricco di materie prime e di risorse naturali; il Giappone la cui sicurezza deriva principalmente dal benessere della sua economia, dipende dalle importazioni soprattutto di materie prime e per questo ha da sempre fornito aiuti e investimenti proprio a quei Paesi africani che avrebbero potuto fornire vantaggi riguardo l’approvvigionamento energetico.
Anche la Cina con il suo ritmo di crescita elevato e con la sua necessità crescente di materie prime, primo fra tutti il petrolio[4], ha incrementato la sua presenza sul territorio africano adottando una particolare strategia; questa consiste nel finanziare enormi progetti d’infrastrutture che le permettono di “acquisire” l’appoggio della classe dirigente e allo stesso tempo un accesso alle concessioni petrolifere.
L’Africa, inoltre, sembra essere in grado di offrire un nuovo mercato ideale per i commerci dei due Paesi asiatici: l’intero continente conta 900 milioni di persone e ha un’economia combinata pari a 172 milioni di dollari, con il potenziale di un mercato comune e di una cooperazione monetaria ancora da realizzare.
Entrambi i Paesi, quindi, alla costante ricerca di nuovi mercati per i propri prodotti, rivolgono ancora una volta il loro interesse all’Africa, soprattutto a seguito della crisi economica degli anni ’90 e della crisi finanziaria Asiatica del 1997.

Un altro aspetto che accomuna Cina e Giappone è la filosofia dell’aiuto.
Entrambe le potenze hanno passato l’esperienza di ricevere e accettare prestiti agevolati e quindi sanno cosa significhi essere beneficiari di aiuti o essere Paesi in via di sviluppo. Per questo entrambi sottolineano l’importanza del mutuo beneficio e della fiducia in sé stessi che gli stati africani devono avere.
Entrambi i Paesi, poi, vogliono tenersi fuori dalle questioni di politica interna africane: se l’aiuto giapponese è request-based quello cinese è legato al concetto di “non- interference in internal affairs”.
Gli aiuti non devono creare un peso per i beneficiari o renderli dipendenti ma piuttosto devono permettere loro di ottenere buoni risultati rapidamente, creare delle entrate e accumulare capitale.
Ciò che per entrambi deve essere centrale è una cooperazione economica basata sul concetto “win-win” e non l’idea generica della riduzione della povertà; il Giappone mette il focus sull’importanza della crescita economica mentre la Cina sul ruolo del commercio e della cooperazione economica bilaterale.

Le differenze dei due approcci, però, sono molto più numerose delle somiglianze.
Lo stesso periodo di inizio delle relazioni fra i due Paesi è diverso.
La Cina ha cominciato a intavolare stretti rapporti con il continente africano a partire dal secondo dopoguerra. La Cina, infatti, conscia del ruolo chiave che l’Africa avrebbe giocato nella questione del seggio permanente, ha cominciato sin dagli anni ’50 a finanziare lo sviluppo di industrie, opere idrauliche ed energetiche, trasporti e telecomunicazioni, progetti culturali, educativi, sanitari così come infrastrutture economiche e sociali.
Il Giappone, invece, nonostante abbia cominciato a stringere rapporti col continente a partire dagli anni ’60[5], ha svolto un ruolo davvero attivo solo con la fine della guerra fredda e l’inaugurazione delle Ticad[6] (la prima risale al 1993). La sua presenza sul suolo africano, quindi, è ben più recente e per questo meno capillare.

La Cina è presente in Africa in numerosi settori (quelli più importanti sono quello petrolifero, quello minerario e quello dei lavori pubblici) e in quasi tutti gli Stati; si può quasi definire onnipresente. La Cina investendo in quasi tutti i settori economici africani e puntando a mantenere relazioni con la maggior parte dei Paesi africani è ormai un partner di grande importanza nell’Africa Subsahariana.

Un altro elemento che differenzia le relazioni commerciali tra Cina ed Africa e che le rende uniche è la presenza sul mercato africano di numerosi prodotti di consumo made in China, venduti a prezzi molto bassi e popolari. Le popolazioni africane, quindi, hanno spesso un primo contatto con la realtà cinese proprio attraverso questi prodotti di uso quotidiano (è da notare che non si limitano alle “paccottiglie” ma anche ai prodotti di alta tecnologia).
Altra differenza con il Giappone è che l’Africa accoglie a braccia aperte gli investitori cinesi e alcuni Paesi offrono loro delle condizioni preferenziali, di cui i partner giapponesi non godono[7].

Anche il numero di aziende presenti in Africa è completamente diverso.
Il numero di aziende nipponiche sul suolo africano è ancora molto limitato nonostante gli incentivi forniti dal governo per stimolare gli investimenti privati nel continente. Questo perché in Africa non si è ripetuto il trasferimento dei siti di produzione delle grandi imprese giapponesi che era avvenuto negli anni ’80-’90 nel Sud est Asiatico. L’Africa continua a rimanere per le aziende giapponesi un continente sconosciuto, distante e rischioso per condurre degli affari.
Completamente diversa è la situazione per la Cina. Molte società cinesi si sono stabilite sul continente, piazzando i loro fondi sia nei settori portanti, come le miniere, la telefonia o la pesca, ma anche in quelli completamente abbandonati dagli Occidentali. Oggi le aziende operanti sul suolo africano sono stimate essere intorno alle 1600, tra le quali un centinaio sono aziende statali[8].

La Cina e l’Africa, inoltre, sono legate non solo da relazioni economico- commerciali ma anche da un intenso flusso migratorio. Negli ultimi anni, infatti, non solo un numero sempre più alto di cinesi si reca nel continente africano ma anche numerosi africani cominciano ad aprire attività in Cina.
A partire dagli anni ’90 le migrazioni cinesi verso il continente sono diventate sempre più intense e si sono spesso trasformate in insediamenti permanenti. Si comincia così a parlare di “invasione cinese”. Nel 2007 il numero di cinesi in Africa si stima fosse tra i 270.000 e i 540.000.

Il Giappone, invece, dal punto di vista delle migrazioni è e rimane una società chiusa.

Anche il numero di africani in Cina sta aumentando considerevolmente dal momento in cui questo Paese con la sua stabilità economica offre migliore garanzie dell’Europa o degli USA. Tra il 2003 e il 2007, infatti, si è registrato un aumento di migranti africani pari al 30-40% l’anno.

La modalità di aiuto cinese nel continente africano è stata in parte influenzata da quella giapponese praticata negli anni ’80-’90 nel Sud est Asiatico e nella stessa Cina.
Il modello base è proprio quello giapponese di cooperazione economica degli anni ’80-’90 basato su: APS-Aiuto Pubblico allo Sviluppo (che è la forma ufficiale di aiuto definita dal DAC- Development Assistance Committee[9]), altri crediti non abbastanza agevolati da essere qualificati come aiuti e flussi privati.
L’aiuto cinese, però, ha delle caratteristiche molto diverse da quello giapponese in Africa.

Prima di tutto l’aiuto giapponese nel continente africano è diverso da quello che aveva adottato in Sud-est asiatico e in Cina.
In Africa il Giappone è riuscito solo in tempi piuttosto recenti, a seguito dell’avvio della Ticad I (1993), ad avere un “suo” approccio[10]; la sua modalità di aiuto è stata ed è ancora molto influenzata da numerosi fattori esterni, primo fra tutti l’appartenenza alla DAC. Le iniziative di coordinazione e armonizzazione dell’aiuto tra i Paesi membri della DAC hanno modificato le modalità di aiuto e l’aiuto legato (caratteristica distintiva dell’aiuto giapponese) è stato presto condannato come una pratica scorretta.
La DAC e le altre agenzie Occidentali, quindi, hanno progressivamente spinto il Giappone a slegare i suoi prestiti agevolati e ad adottare approcci sector- wide[11] e il direct budget support[12], visioni molto lontane dall’approccio giapponese tradizionale.

Il Giappone in Africa, quindi, agisce come un “membro responsabile” della comunità internazionale mentre la Cina, più indipendente da questa, ha da sempre gestito il suo aiuto e i suoi investimenti in modo più libero. All’inizio  l’aiuto cinese si è focalizzato sulle infrastrutture e soprattutto in quegli stati ricchi di materie prime come Nigeria, Angola, Sudan e Guinea. Oggi si sta espandendo in nuovi settori come l’agricoltura, le telecomunicazioni e la sanità.
Generalmente l’aiuto cinese per le infrastrutture è dato sotto forma di prestito preferenziale da parte della Export-Import Bank of China (China Exim Bank)[13] con l’uso da parte degli imprenditori cinesi sotto il formato “risorse per le infrastrutture”, anche conosciuto come “Angola mode”.
Nonostante i termini reali dei contratti non siano certi sembra però che i tassi di interesse che la Cina offre siano molto bassi rispetto a quelli minimi definiti dalla DAC; per questo molti donatori hanno criticato l’atteggiamento cinese come “imprudente” dal momento in cui offre prestiti alle stesse condizioni anche a quei Paesi non caratterizzati da “good governance”. Questo atteggiamento nel lungo periodo potrebbe portare a una crisi di debito con un serio problema di sostenibilità di questo ultimo.
I prestiti cinesi, inoltre, vengono concessi più velocemente dei prestiti tradizionali occidentali e senza nessuna “condizione politica”; in breve sono più flessibili.
A prima vista, quindi, sembrano essere prestiti molto positivi per i Paesi africani e finalizzati esclusivamente alla promozione di progetti richiesti dai Paesi africani stessi.
Il problema, però, è che si tratta spesso di aiuti legati: è stato affermato che i contratti di aiuto cinese contengono un accordo che stabilisce che, per quanto riguarda i contratti di costruzione e ingegneria civile, dovrebbero essere assegnati fino al 70%  alle compagnie cinesi. In più stipulano che almeno il 50% dell’apparecchiatura, del materiale e della tecnologia necessari per i progetti finanziati dai cinesi dovrebbe provenire dalla Cina stessa[14].
Alla fine, quindi, i vantaggi sono spesso più per la Cina che per i Paesi africani. I Cinesi portano in Africa i loro lavoratori anche per svolgere compiti molto semplici e questo esclude ogni possibilità di partecipazione dei lavoratori locali che così non possono né imparare il mestiere né ricevere una formazione adeguata.
Il Giappone, invece, ha sempre dato molta importanza al ruolo degli insegnamenti dati dai suoi esperti nei progetti di aiuto. Grazie al Japanese Overseas Cooperation Volunteer (JOCV) ogni anno un numero elevato di esperti viene inviato nei Paesi in via di sviluppo per cooperare direttamente con i locali nel loro sforzo di miglioramento della loro condizione economica e sociale.
Un altro problema è la struttura della governance che caratterizza le imprese statali cinesi; questa le spinge a mettere in primo piano i loro interessi di breve termine, spesso incompatibili con le aspirazioni di sviluppo a lungo termine e con gli interessi degli stakeholder africani.
Cina e Giappone, quindi, sono entrambi presenti sul continente e decisi ad acquisire un ruolo centrale e a non lasciarsi sfuggire quei benefici e quei vantaggi che le relazioni con l’Africa potrebbero portare. Allo stesso tempo, però, il loro atteggiamento non è lo stesso e il rapporto fra le due potenze asiatiche sul continente potrebbe cambiare nel prossimo futuro.
Il Giappone potrebbe sedersi dalla parte dei Paesi della DAC e criticare la Cina per minare l’agenda per lo sviluppo africano costruita con attenzione da parte dell’Occidente.
Il Giappone, però, potrebbe allo stesso tempo voler dare più spazio al modello asiatico di sviluppo e rendersi conto che questo potrebbe essere rafforzato dalla cooperazione con la Cina e decidere, quindi, di cominciare ad allinearsi e armonizzarsi con i progetti cinesi.


[1] Per Africa si intende l’Africa subsahariana ovvero tutta la parte a sud del Sudan dal momento in cui l’Africa settentrionale (Egitto, Sudan, Libia, Tunisia, Marocco) per il Ministero degli Affari Esteri giapponesi fa parte della diplomazia del Medio Oriente.

[2] i.e. Repubblica Popolare Cinese

[3] La Repubblica di Cina (Taiwan) fu uno dei membri fondatori delle Nazioni Unite e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza fin dalla sua creazione nel 1945.

[4] La Cina ha aumentato la sua domanda di petrolio passando dall’essere il secondo Paese esportatore mondiale nel 1996 al secondo importatore nel 2005.

[5] Nel 1961 fu creata all’interno del Ministero degli affari esteri la divisione degli Affari Africani. Si può, quindi, cominciare a parlare di diplomazia giapponese in Africa solo a partire da questo anno.

[6] Ticad (Tokyo International Conference on African Development -アフリカ開発会議 Afurika Kaihatsukaigi) è un forum che si riunisce ogni cinque anni con l’obiettivo di promuovere il dialogo tra i leader africani ed i vari partner che si occupano dello sviluppo. La Ticad è un’iniziativa regionale per l’Africa, nata dalla collaborazione tra il Giappone, l’Ufficio delle Nazioni Unite della Consulenza Speciale sull’Africa (UN_OSAA, United Nations Office of the Special Advisor on Africa), il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP, United Nations Development Programme) e la Banca Mondiale. Fino ad oggi ci sono state quattro Ticad (1993, 1998, 2003 e 2008), l’ultima delle quali ha portato all’adozione del Yokohama Action Plan che ha lo scopo di tracciare le linee guida per il supporto della crescita e dello sviluppo africano sotto il processo Ticad. Nel tempo la Ticad è diventata un elemento centrale nell’impegno giapponese di lungo termine per incrementare la pace e la stabilità in Africa e un mezzo attraverso cui il Giappone ha potuto  mostrare al mondo la sua voglia di collaborare allo sviluppo africano e di aiutare, almeno sulla carta, tutti i Paesi africani indistintamente e senza interessi.

[7] Un esempio è la Nigeria che offre una tariffa zero su un centinaio di prodotti cinesi come frigoriferi, biciclette, trasformatori…

[8] Fonte: NISSANKE, Machiko- SÖDEBERGER, Marie, “The Changing Landscape in Aid Relationships in Africa: 
Can China’s Engagement Make a Difference to African Development?”, UI Papers, 2011/2.

[9] La DAC dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) è un forum per stati membri scelti per discutere questioni riguardanti l’aiuto, lo sviluppo e la riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo.

[10]La Ticad ha permesso al Giappone di presentare il modello Asiatico di sviluppo all’Africa.

[11] L’ approccio sector- wide è un approccio allo sviluppo internazionale che riunisce i governi, i donatori e gli atri stakeholder in qualsiasi settore. È caratterizzato da un insieme di principi di gestione piuttosto che da un pacchetto specifico di politiche o attività.

[12] Con Direct Budget Support (DBS) ci si riferisce all’aiuto incanalato direttamente nel budget del governo, pagato usando il proprio stanziamento, approvvigionamento e  sistemi contabili.

[13] La Export-Import Bank of China è una delle tre banche istituzionali in Cina che hanno come missione l’implementazione delle politiche statali nell’ambito dell’industria, del commercio estero, della diplomazia e dell’economia e il finanziamento della promozione dell’esportazione di prodotti e servizi cinesi. Fondata nel 1994 è subordinata al Consiglio di Stato Cinese.

[14] Fonte: NISSANKE, Machiko- SÖDEBERGER, Marie, “The Changing Landscape in Aid Relationships in Africa: 
Can China’s Engagement Make a Difference to African Development?”, UI Papers, 2011/2.

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