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Questione “figli contesi” in Giappone: il momento della svolta?

Marta Barbieri  e  Federica Galvani

Primavera 2017: la questione si fa “calda”

Il 2017 è per il Giappone il terzo anno della ratifica della Convenzione dell’Aja. Questa Convenzione riguarda la sottrazione internazionale di minori e gli aspetti civili ad essa legati.

Il Giappone ha visto susseguirsi negli anni un alto numero di controversie fra coppie miste dovute al fatto che il genitore giapponese (molto spesso la madre) porta in Giappone i figli impedendo all’altro di poterli incontrare. Ancor oggi, nonostante la ratifica della Convenzione, il Giappone è considerato il “buco nero” nei casi di sottrazione di minori.

Questo tema è diventato un tema “caldo” dalla primavera del 2017 quando si sono alzate voci di protesta sull’approccio giapponese alla questione che, in tutto il resto del mondo, ricade sotto il termine di “rapimento”. Anche se dal 2014 il Giappone ha sottoscritto la Convenzione, la sottrazione dei figli in Giappone è, infatti, ancora ampiamente tollerata.

Il Membro della Dieta giapponese, Kenta Matsunami (45) ha toccato questo argomento durante due sessioni della Camera dei rappresentanti- commissioni budget e giustizia. Ha chiesto agli ufficiali del governo come mai il sistema attuale affida la custodia dei figli al genitore che li rapisce prima.

Il Primo Ministro Shinzo Abe (62) ha risposto “la custodia viene decisa prendendo in considerazione le circostanze di ogni caso in modo separato”.

Matsunami, però, ha fatto notare che il Giappone dà troppa importanza al “principio di continuità” (ovvero anche se il bambino è stato rapito, dal momento in cui non ci sono problemi con il nuovo ambiente, la priorità è quella di lasciare la situazione così come è). Il governo deve, quindi, riconoscere che, se si continua a dare importanza al principio di continuità i rapimenti continueranno.

Quando Matsunami ha detto che questo approccio viene utilizzato anche nelle coppie miste e che più di una donna giapponese è nelle liste americane di ricercati per aver rapito e portato il figlio in Giappone, il Ministro degli Esteri Fumio Kishida (59) ha replicato dicendo che “ad oggi non c’è stato un singolo caso in cui siano state applicate le sanzioni del Goldman Act[1] e che, quindi, le probabilità che il Giappone venga sanzionato sono molto basse”.

Le voci di protesta si sono alzate non solo da parte di cittadini giapponesi ma anche di cittadini stranieri. Il 22 marzo 2017 un gruppo di genitori abbandonati ha firmato una petizione per implementare delle politiche che fermino e disincentivino i rapimenti. Richiedono che, come nella maggior parte dei Paesi sviluppati, il rapimento dei figli sia trattato come un crimine penale e non una semplice “questione domestica”.

In USA il 6 aprile 2017 c’è stato un dibattito sul Goldman Act presso la sottocommissione per i diritti umani del Congresso e alcuni cittadini americani hanno presentato le storie dei rapimenti dei loro figli in vari Paesi, incluso il Giappone. All’inizio di questo dibattito il presidente della sottocommissione ha definito Fumio Kishida “oltraggioso” e poi si è detto che il Giappone “dovrebbe essere sanzionato” perché non rispetta la Convenzione dell’Aja e che il Presidente Trump deve portare questo argomento sul tavolo delle discussioni del prossimo G7.

Anche in Italia si è iniziato a parlare del tema e diverse testate giornalistiche tra cui La Stampa hanno parlato dei casi di cittadini italiani a cui sono stati rapiti i figli dalla moglie giapponese. Ne abbiamo anche parlato noi qui.

Questo ha generato reazioni e richieste al governo italiano di procedere nei confronti del Giappone.

Di fronte a queste proteste la Divisione per la Convenzione dell’Aja del Ministero degli Esteri Giapponese ha dichiarato che “La Convenzione dell’Aja apre alla possibilità di non far tornare i bambini nel Paese di residenza in caso di rischio grave” e anche che “non tutti i Paesi che hanno ratificato la Convenzione rendono pubblici i risultati ma il Giappone non ha sicuramente fatto meno degli altri con una percentuale del 30% di bambini rapiti riportati nel loro Paese d’origine[2]”.

Secondo la Convenzione i genitori a cui vengono rapiti i figli possono fare domanda di assistenza all’istituzione designata nel proprio Paese (in Giappone il Ministero degli Esteri, pur trattandosi di casi regolati dal Ministero della Giustizia) per fare in modo che i figli tornino nel proprio Paese di residenza. L’istituzione offre assistenza per le negoziazioni fra i coniugi ma, nel caso in cui queste negoziazioni non portino a una soluzione, è il tribunale a decidere. Nel caso del Giappone, anche se la regola è quella che il bambino deve tornare al Paese d’origine, se 1) il bambino si è adattato al nuovo ambiente; 2) il ritorno al Paese d’origine può avere conseguenze fisiche o psicologiche negative sul bambino; 3) il bambino non vuole tornare ecc. eccezioni possono essere fatte affinché il bambino resti in Giappone.

La storia di Pierluigi: un aggiornamento

Tra i vari casi di Italiani vittime di rapimento dei figli[3] uno è quello di Pierluigi (nome di fantasia per tutelare la sua famiglia in vista del processo in corso). Pierluigi è un cittadino italiano che vive e lavora a Tokyo, è sposato con una donna giapponese e padre di due figli rapiti dalla moglie all’inizio del 2016.

Pierluigi e la moglie, dopo alcuni anni in Italia e poi in Germania, nelll’ottobre del 2015 sono andati a vivere in Giappone, Paese di origine della moglie. Appena completato il trasloco a Tokyo, però, la moglie ha deciso di andare a vivere nella sua città d’origine, Nagasaki, insieme con i figli (uno di quattro anni e l’altra di due anni). La motivazione iniziale era la possibilità di accedere più facilmente ai servizi per l’infanzia; a Tokyo le liste di attesa negli asili sono lunghe. Per alcuni mesi Pierluigi ha visto i figli appena poteva raggiungerli. A settembre dello stesso anno, però, ha ricevuto una mail dalla moglie in cui gli veniva comunicato che non avrebbe più potuto rivedere i suoi figli.

Da quel momento si è mosso per far valere i suoi diritti di padre, a partire dal processo presso il Tribunale Familiare di Nagasaki.

Nel corso dell’ultimo anno, si sono succeduti molti eventi nella vicenda di Pierluigi e dell’affidamento dei suoi bambini.

Nel mese di giugno 2017, per la prima volta dal luglio dell’anno precedente, l’uomo ha potuto vedere i propri figli, seppure alla presenza di esaminatori giudiziari. In seguito alla visita, gli esaminatori hanno confermato alla Giudice che ha seguito il caso come Pierluigi sia perfettamente in grado di prendersi cura dei bambini, con i quali ha mantenuto un ottimo rapporto, e come le accuse rivoltegli dalla moglie (compresa quella di violenza domestica) siano prive di fondamento. Per questo motivo, in occasione della quarta udienza del processo, svoltasi alla fine di giugno 2017, la Giudice (che, prima dell’emissione di una sentenza, non può imporre alcun comportamento alle parti in causa) ha esortato la moglie di Pierluigi a collaborare e a permettere gli incontri del marito con i bambini, nell’interesse dei bambini stessi. Di fronte all’inamovibilità della donna, tuttavia, il Tribunale è riuscito a far concedere a Pierluigi solo una conversazione telefonica con i figli, che si è tenuta il mese successivo via Skype e durante la quale i bambini hanno chiesto ben sessanta volte al padre di raggiungerli.

Nel corso dell’udienza dell’agosto 2017, la quinta e l’ultima prima dell’emissione della sentenza, il Tribunale ha esternato delle importanti considerazioni. In primo luogo, la Giudice ha ammesso di non avere ancora capito le vere motivazioni per le quali la moglie di Pierluigi non voglia concedere al marito di vedere i figli (al punto da tenere spento il video durante il collegamento Skype con il marito del mese di luglio, per timore che, vedendo la casa in sui si trovavano, lui riuscisse a capire dove fossero). Inoltre, i servizi sociali di Nagasaki (dove donna e bambini vivono) hanno confermato con i vicini della moglie che sentono i bambini piangere 3-4 volte alla settimana, per più di venti minuti. Ciononostante, la Giudice non sembra avere intenzione di togliere i bambini alla moglie: come spiegato anche dal Deputato Kenta Matsunami del Japan Restoration Party in occasione delle due sessioni della Dieta in cui si era parlato del problema “Nei casi di dispute riguardo la custodia del figli, il Giappone dà troppa importanza al ‘principio di continuità’”.[4] Il sistema giudiziario giapponese riconosce come interesse del minore non tanto mantenere rapporti con entrambi i genitori, quanto avere una vita stabile e priva di sconvolgimenti. Ecco perché il sistema giapponese non riconosce l’istituto dell’affido condiviso.

In seguito alla quinta udienza, il processo che vede coinvolti Pierluigi e la moglie si è concluso, e le sentenze relative al ritorno dei bambini e alle visite che Pierluigi può fare loro sono arrivate nel mese di dicembre del 2017. La Giudice ha confermato ancora una volta la totale infondatezza delle accuse rivolte a Pierluigi, compresa quella di violenza domestica; inoltre, ha confermato che tra Pierluigi e i bambini esiste un ottimo rapporto, e che lui è in grado di prendersi cura di loro. Ciò detto, però, le accuse mosse da Pierluigi circa la non adeguatezza della moglie a crescere i bambini non sono state considerate sufficienti a toglierle l’affido, anche in considerazione del fatto che, nel periodo in cui Pierluigi lavorava in Germania, era la moglie a passare più tempo con il figlio maggiore (la seconda non era ancora nata).

Pierluigi, chiaramente, ha subito fatto ricorso in appello, pur riconoscendo come tale sentenza, in un Paese come il Giappone, sia da essere riconosciuta come una parziale vittoria. La Giudice, di fatto, ha messo la moglie di Pierluigi con le spalle al muro: ha infatti riconosciuto a Pierluigi il diritto a vedere i propri figli due domeniche al mese, per quattro ore alla volta;[5] inoltre, ha esplicitato che, se la madre dovesse continuare a rifiutare al padre le visite che gli spettano, essa non potrà più essere considerata idonea alla custodia dei figli.

Pierluigi, quindi, ritiene che la Giudice abbia cercato di obbligare la moglie a fargli vedere i bambini, sapendo che, nel frattempo, lui continuerà il processo di appello alla Alta Corte di Fukuoka. Se il Tribunale avesse subito affidato a lui i bambini, il ricorso in appello della moglie avrebbe prolungato il processo di un altro anno, durante il quale Pierluigi non avrebbe potuto incontrare i suoi figli. Nel periodo di Pasqua 2018, tuttavia, l’Alta Corte di Fukuoka ha confermato l’affido alla moglie di Pierluigi. I bambini infatti vivono ora una vita stabile con la donna, che si sta anche curando presso una clinica psichiatrica. Non sono quindi stati riconosciuti gli estremi per toglierle l’affido dei figli.

Pierluigi ha confermato il ricorso alla Corte Suprema, ricorrendo alla Convenzione dei Diritti per l’Infanzia.

Cosa hanno fatto le Istituzioni italiane per aiutare Pierluigi in questi mesi?

Nel mese di ottobre 2017 si è tenuta una Interrogazione presso una Commissione del Senato italiano, in occasione della quale il Governo è stato chiamato a rispondere su come si stesse muovendo per risolvere il caso di Pierluigi.

In seguito alla ricezione delle due sentenze del dicembre 2017, ovviamente, Pierluigi ha subito informato l’Ambasciata di Italia a Tokyo.

Sono sette, compreso Pierluigi, i padri italiani che si trovano nella stessa situazione. I bambini italo-giapponesi coinvolti sono invece nove. Il 7 dicembre, questi padri hanno scritto al Presidente Mattarella richiedendo un intervento forte e tempestivo per “salvare diversi bambini italiani rapiti e tenuti in ostaggio per anni da genitori giapponesi”. [6]

Il 4 marzo 2018, gli Ambasciatori di Italia e degli altri Paesi dell’Unione Europea hanno indirizzato una lettera a Yoko Kamikawa, Ministra della Giustizia giapponese, allo scopo di sensibilizzare il Giappone e le Autorità giapponesi all’applicazione delle sentenze nei casi di minori contesi. Sono molteplici, infatti, i casi in cui ai genitori non viene concesso di vedere i figli anche quando le sentenze emesse dai tribunali giapponesi avevano loro riconosciuto questo diritto.[7]

A fine aprile Pierluigi, insieme a altri 11 padri provenienti da Italia, Francia, USA, Canada, Gran Bretagna e Germania, ha inviato alle autorità di tutti i paesi del G7 una lettera per richiedere che il tema sia discusso durante il Summit del G7 che si svolgerà in Canada l’8-9 giugno.

Note:

[1] La legge approvata in USA l’8 Agosto 2014 è la prima legge americana per prevenire i rapimenti internazionali dei figli. Questa legge introduce 8 livelli di sanzioni contro i Paesi che non vogliono cooperare per risolvere i casi di rapimento internazionale che riguardano bambini americani. Queste sanzioni, però, ad oggi non sono mai state utilizzate.
Per saperne di più sul Goldman Act: https://chrissmith.house.gov/lawsandresolutions/the-sean-and-david-goldman-intl-child-abduction-prevention-and-return-act.htm

[2] Dal 2014 il numero di richieste di assistenza per far tornare i figli dal Giappone in un altro Paese sono state 68 mentre 56 quelle per far tornare i bambini da Paesi esteri al Giappone. Tra questi 20 bambini sono stati fatti tornare dal Giappone al proprio Paese d’origine e 19 dal Paese estero al Giappone. Da qui il dato del 30%.
Ci sono però stati 16 casi di bambini non fatti tornare nel proprio Paese d’origine e 8 non fatti tornare in Giappone.

[3] Sono 9 i casi di Italiani a cui sono stati rapiti i figli dalla moglie giapponese.

[4] 親権紛争の際、日本が「継続性の原則, http://www.sankei.com/affairs/news/170415/afr1704150024-n2.html

[5] Stando al racconto di Pierluigi, i padri giapponesi con cui è in contatto e che si trovano in situazioni simili alla sua sono rimasti strabiliati da questo risultato: in genere, ai padri vengono concesse non più di due ore di visita una volta al mese.

[6] Si può vedere il testo della lettera, insieme al caso di Tommaso Perina, simile a quello di Pierluigi, nel video di Sky TG24: https://www.youtube.com/watch?v=HHhPwoqpVmk

[7] Link alla Comunicazione da parte del Consolato italiano di Osaka:  http://consosaka.esteri.it/consolato_osaka/it/la_comunicazione/dal_consolato/minori-contesi-lettera-degli-ambasciatori.html

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