“ACCESSO NEGATO”. COSA SIGNIFICA ESSERE CORRISPONDENTI STRANIERI IN CINA OGGI

“ACCESSO NEGATO”. COSA SIGNIFICA ESSERE CORRISPONDENTI STRANIERI IN CINA OGGI

Irene Ferri

A differenza di quanto si potrebbe pensare, i rapporti tra stampa internazionale e Partito comunista cinese (PCC) non sono sempre stati conflittuali. La presenza di giornalisti stranieri in Cina, infatti, non è sempre stata considerata negativa e pericolosa da parte del Partito, che si è servito proprio della stampa straniera per veicolare la propria ideologia e le proprie intenzioni durante il periodo precedente alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC). I giornalisti stranieri hanno svolto il ruolo di “cassa di risonanza” per le idee di Mao Zedong, che sono state così diffuse oltre i confini dell’allora Repubblica di Cina. Ne è un esempio Edgar Snow (1905-1972), uno dei primi e più conosciuti corrispondenti occidentali ad arrivare in Cina. Egli ebbe l’opportunità di entrare in contatto e sviluppare una serie di importanti guanxi 关系[1] con scrittori, artisti e importanti esponenti della politica. Snow fu il primo giornalista non cinese a compiere un viaggio nella “Cina rossa”, dove conobbe personalmente e intervistò coloro che avrebbero poi fatto parte della prima generazione di dirigenti del PCC, tra cui spiccano Zhou Enlai e lo stesso Mao Zedong.  Le interviste e i rapporti sull’attività del PCC che Snow pubblicò ebbero un’importanza primaria per la diffusione dell’ideologia maoista al di fuori dei confini cinesi.

Tuttavia, nel corso nel ‘900, la situazione è andata peggiorando sino ai giorni nostri. Oggi, nonostante importanti passi in avanti, persistono molte problematiche, soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani.

Attualmente i reporter stranieri presenti in Cina sono sottoposti a uno stretto controllo da parte delle autorità e sono spesso vittime di violenze e minacce di espulsione.

Si può affermare che, in seguito all’elezione di Xi Jinping a segretario generale del Partito e presidente della Repubblica Popolare Cinese (2012), il controllo sul lavoro della stampa straniera è divenuto sempre più serrato e le condizioni in cui i giornalisti si trovano a svolgere la loro attività sono in costante peggioramento. Numerose sono le denunce di tali condizioni da parte di organizzazioni di giornalisti quali il Foreign Correspondents’ Club of China (FCCC), il Committee to Protect Journalists (CPJ) e Reporters Sans Frontières (RSF), impegnate nella lotta per garantire che ovunque venga rispettata la libertà di stampa e che chiunque, anche in Cina, possa svolgere il proprio lavoro in totale libertà, senza un’eccessiva interferenza da parte del potere politico e, soprattutto, vedendo riconosciuti i propri diritti.

Ogni anno, a partire dal 2008, il Foreign Correspondents’ Club of China realizza e pubblica una relazione sulle condizioni di lavoro dei suoi membri, il cui scopo è rendere noto quanto sia impegnativo svolgere questa professione in Cina. Il report raccoglie le testimonianze dei membri dell’associazione che accettano di rispondere a domande riguardanti le minacce, le interferenze e le violenze subite nel corso dell’anno da parte delle autorità della RPC.

I reporter esprimono preoccupazione riguardo la sempre più frequente violazione della privacy: i telefoni cellulari sono spesso posti sotto controllo e telefonate, messaggi e e-mail vengono intercettati, impedendo di comunicare in completa libertà. Inoltre, la lista di siti bloccati dal Grande Firewall viene costantemente aggiornata: in questo modo la censura ha impedito l’accesso in Cina a siti quali The Economist, The Wall Street Journal, Reuters e The New York Times.

Accade sempre più spesso, inoltre, che i giornalisti vengano fermati dalle autorità, interrogati e arrestati, e anche il numero di coloro che subiscono violenza fisica è in costante aumento.

Più di un giornalista ha affermato con sicurezza di aver notato evidenti segni di infrazione sia a casa che in ufficio, senza mai aver saputo chi fosse entrato e per quale motivo.

Per quanto riguarda l’accesso a conferenze stampa ufficiali, i reporter notano una sempre più crescente manipolazione della stampa internazionale da parte delle autorità. L’accesso, infatti, viene accordato solo ai giornalisti le cui domande sono state precedentemente controllate, modificate e approvate dalle autorità, che giustificano questo atteggiamento come un tentativo di impedire che durante le conferenze vengano poste domande riguardanti questioni irrilevanti.

In generale, si può affermare che le interferenze e violenze più gravi vengono registrate nelle aree più “sensibili” del Paese, in particolare in Xinjiang, in Tibet e nella zona di confine con la Corea del Nord, ma fatti di questo genere hanno luogo anche in città come Pechino, Shanghai e Tianjin, dove la presenza di stranieri al giorno d’oggi è piuttosto elevata.

Dalla lettura e dall’analisi del rapporto pubblicato nel febbraio del 2019, che fa riferimento all’attività svolta dai giornalisti nel corso del 2018, emerge con chiarezza un peggioramento delle loro condizioni di lavoro: si denota un aumento della stretta sorveglianza da parte del governo, così come delle interferenze da parte delle autorità, in particolare in Tibet e in Xinjiang, dove l’accesso degli stranieri è fortemente limitato.

Uno strumento attraverso il quale le autorità cinesi esercitano sempre più spesso forti pressioni sui corrispondenti stranieri è il processo di rinnovo del visto. Le vittime di questa pratica sono i reporter che lavorano per testate internazionali il cui lavoro non è apprezzato dal governo della RPC: la loro permanenza nel Paese sembra, infatti, dipendere dal contenuto dei loro articoli. Oltre ai ritardi nell’approvazione del visto e al mancato rilascio di permessi per viaggiare in determinati territori della RPC, sia nel XX che nel XXI secolo ci sono stati casi di giornalisti il cui visto non è stato rinnovato e che sono stati, a tutti gli effetti, espulsi dal Paese. La loro unica colpa è quella di aver pubblicato articoli o realizzato servizi riguardo temi considerati “sensibili” a cui, secondo le autorità̀, i giornalisti non si dovrebbero interessare.

Così come i corrispondenti esteri, anche la categoria degli assistenti[2] ha un ruolo particolarmente delicato. Per la maggior parte dei giornalisti stranieri la lingua cinese rappresenta un grande ostacolo: i reporter che la padroneggiano sono pochi e, soprattutto nelle città minori e nei paesi della Cina centrale, la maggior parte degli abitanti non parla inglese. È, quindi, necessario assumere assistenti in grado di comunicare efficacemente con la popolazione.

Come sostiene il Committee to Protect Journalist (CPJ), le attività svolte da questi giovani assistenti non si limitano a permettere ai giornalisti di intervistare soggetti che non parlano inglese, ma sono molto più varie: essi spesso vengono chiamati a introdurre i reporter appena arrivati in Cina in un contesto sociale estremamente complesso e diverso da quello a cui sono abituati, supportano e consigliano i corrispondenti nella scelta degli argomenti che vale la pena trattare, costruiscono e mantengono utili guanxi 关系, aiutano i reporter ad affrontare la complessa burocrazia cinese per ottenere permessi e rinnovare il visto e si occupano di analizzare fonti e social network cinesi, come Weibo e WeChat, alla ricerca di materiale che potrebbe rivelarsi utile.

Il rapporto degli assistenti di reporter stranieri con le autorità cinesi è molto complesso, poiché essi vengono spesso additati come “traditori” del popolo. Secondo diversi stereotipi diffusi in Cina, infatti, i media stranieri sono considerati nemici della RPC. Di conseguenza, lavorare per agenzie di stampa e giornalisti internazionali è considerato da molti inaccettabile. Questi stereotipi sono anche uno dei motivi principali per cui la popolazione cinese è spesso restia a rilasciare interviste ai reporter stranieri e preferisce evitare di avere contatti con loro. Come sostiene il CPJ, il gruppo degli assistenti è tanto importante quanto invisibile: se le condizioni di lavoro dei corrispondenti in Cina sono note, in pochi conoscono i rischi che corrono i loro assistenti.

Il CPJ lamenta la mancata esistenza di un’organizzazione che si occupi di difendere i diritti di questi assistenti. Nemmeno nelle moderne metropoli di Pechino e Shanghai è ancora stata creata un’associazione dello stesso stampo del FCCC, che possa supportare gli assistenti, accorrere in loro aiuto e rendere più note al di fuori dei confini cinesi le condizioni in cui essi vivono e lavorano. Secondo il CPJ, è necessario far sì che la situazione di questo gruppo di giovani attiri l’attenzione internazionale e che essi escano dall’invisibilità, poiché molto spesso il lavoro dei reporter stranieri è reso possibile solo grazie alla loro mediazione con la popolazione cinese.

Attualmente nessuno è in grado di prevedere con certezza se e in che modo cambierà la condizione dei giornalisti nei prossimi anni, benché l’atteggiamento verso la stampa straniera del governo in carica non sembri andare incontro ai desideri e alle speranze dei corrispondenti e delle agenzie di stampa straniere nei confronti di un’apertura e di un miglioramento delle condizioni in cui i media internazionali devono svolgere la loro attività nel Paese.

Le prospettive future non sembrano essere radiose e, a questo punto, potrebbe essere legittimo chiedersi cosa spinga i reporter a continuare a svolgere la propria attività̀ nel Paese. In merito a ciò il membro di FCCC Jonathan Watts, al termine di un articolo in cui racconta la sua tanto complessa quanto soddisfacente esperienza di corrispondente in Cina, afferma: «Never have I felt more stress, or more satisfaction, than in the past five years. China is categorized as a hardship posting. But it is a privilege to watch the development of this nation».

 

Bibliografia:

Committee to Protect Journalists (2011), “News assistants in China: an invisible, important group”, Committee to Protect Journalists, 21/04/2011, https://cpj.org/blog/2011/04/news-assistants-in-china-an-invisible-important-gr.php

Foreign Correspondents’ Club of China, “Reporting And Travelling Safely”, Foreign Correspondents’ Club of China, http://www.fccchina.org/reporters-guide/reporting-and- traveling-safely/

Foreign Correspondents’ Club of China (2011), “Sensitive Areas and Topics”, Foreign Correspondents’ Club of China, http://www.fccchina.org/reporters-guide/sensitive-areas- and-topics/

Foreign Correspondents’ Club of China (2016), “Working conditions report of 2016”, Foreign Correspondents’ Club of China

Foreign Correspondents’ Club of China (2017), “Access denied, working conditions report of 2017”, Foreign Correspondents’ Club of China, https://www.dropbox.com/s/95ghn59rl93ceu9/Access%20DeniedFCCC%20report%2020 17.pdf?dl=0

Snow E. (1977), “La mia vita di giornalista: un viaggio attraverso la storia contemporanea”, Giulio Einaudi Editore, Torino

Sue-Lin W. (2017), “China says foreign press welcome, as some media outlets excluded from key event” , Reuters, 26/10/2017, https://www.reuters.com/article/us- china-congress-media/china-says-foreign-press-welcome-as-some-media-outlets- excluded-from-key-event-idUSKBN1CU1OL

Watts J. (2008), “One journalist’s view”, Foreign Correspondents‘ Club of China, marzo 2008, http://www.fccchina.org/reporters-guide/one-journalists-view/

 

Note

[1] Il termine fa riferimento a un fenomeno da lungo tempo caratterizzante la società cinese che influenza non solo le interazioni sociali, ma anche le relazioni commerciali. Definire i guanxi 关系 si è rivelato estremamente complesso; in generale, il termine può essere tradotto come ‘rapporti’ o ‘relazioni’, necessari per avere successo nella sfera sociale.

[2] I “news assistants” sono cittadini cinesi, generalmente studenti ed ex studenti di lingue straniere, che vengono assunti direttamente dai corrispondenti e che ricoprono un ruolo molto importante nel processo di produzione delle notizie.

 

(Featured Image Source: creative commons)