Bullismo-giappone

Ijime Boshi Taisaku Suishin Ho: la Legge per la promozione di misure per prevenire il bullismo

Federica Galvani

Il concetto di bullismo in Giappone negli ultimi decenni è cambiato radicalmente passando da quello che una volta era considerato un semplice bullismo da “parco giochi” a una minaccia vera e propria che deve essere rilevata e combattuta.

Fino alla fine degli anni ‘80, infatti, il bullismo in Giappone era considerato quasi come un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta e non era ritenuto un problema sociale serio (Sugimori 2013).

Una diversa valutazione di questo fenomeno è avvenuta dopo una serie di tragici casi di vittime di bullismo scolastico, in particolare un caso riguardante due studenti che si sono suicidati al secondo anno di scuola media, uno a Tokyo nel 1986 e l’altro nella Prefettura di Ehime nel 1994. Questi eventi hanno determinato un cambiamento significativo nell’idea generale di bullismo, nonché un cambiamento nell’atteggiamento del Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia (ibidem).

Dal 1985 al 1994, i tre fattori di “disuguaglianza di potere”, “continuità” ed “angoscia” erano necessari per definire un determinato comportamento come bullismo. Nel 2007 il governo giapponese ha eliminato i due fattori di “disuguaglianza di potere” e di “continuità” dalla definizione di bullismo e si è concentrato solo sul fattore di “angoscia”. In altre parole, “il bullismo si verifica quando un bambino è consapevole di essere vittima di bullismo”: questo, di conseguenza, ha ampliato la definizione di questo fenomeno (ibidem).

 

Fig 1. Sugimori 2013

 

Fino a quegli anni, inoltre, nonostante esistesse un manuale di condotta nazionale non ufficiale, le scuole e gli insegnanti non ammettevano che ci fossero episodi di bullismo. Rilasciavano spesso dichiarazioni alla stampa in cui negavano la relazione causale tra il bullismo e il suicidio di alunni. Nelle cause civili veniva data la responsabilità di dimostrare questo nesso causale alle famiglie colpite da questo tremendo lutto che si trovavano ad affrontare difficoltà insormontabili. Per questo, nelle cause civili, i tribunali hanno ripetutamente negato qualunque legame tra gli episodi di bullismo e i casi di suicidio (Nagata, 2021, p. 2).

A seguito di questi tragici eventi legati al bullismo e anche ad altri avvenimenti che hanno scosso la società giapponese (il terremoto di Kobe e l’attentato alla metro di Tokyo, entrambi avvenuti nel 1995) è cambiato l’atteggiamento verso le vittime, anche quelle del bullismo.
Sempre più persone, infatti, sono arrivate a credere che le vittime debbano essere protette, rispettate, sostenute e curate (Nagata, 2021, p. 3).

Nei primi anni del XXI secolo, nel sistema di giustizia criminale giapponese sono state emanate e modificate molte leggi per proteggere e supportare maggiormente le vittime di crimini. Nessuno statuto finalizzato a proteggere le vittime di bullismo, però, è stato emanato in quegli anni e questo perché se la visione della società giapponese verso il bullismo era molto cambiata, non era ugualmente cambiato l’atteggiamento delle scuole e degli insegnanti (Nagata, 2021, p. 3).
E’ solo dopo il caso della città di Otsu, nell’Ottobre 2011, che il Parlamento giapponese ha deciso di emanare la Legge per la promozione di misure per prevenire il bullismo (Ijime Boshi Taisaku Suishin Ho) che richiede alle scuole di adottare misure specifiche per prevenire il bullismo e consentirne la scoperta precoce.
Questa legge è stata emanata dopo le proteste pubbliche riguardanti la gestione del caso di bullismo verificatosi nella città di Otsu e sfociato nel suicidio della vittima. Il ragazzo era stato sottoposto a continue e ripetute vessazioni a scuola. Gli insegnanti sapevano ciò che stava accadendo ma non presero alcuna contromisura per fermare tutto ciò.  La scuola aveva inizialmente negato i fatti e poi aveva tentato di insabbiare il caso e il suo legame con la morte del bambino avvenuta a casa. Il tribunale, però, in quella occasione riconobbe il legame causale tra il bullismo e il suicidio della vittima.

Questa legge, emanata nel settembre 2013, è il primo atto legislativo in Giappone specificatamente diretto a contrastare il bullismo nelle scuole. La legge è costituita di 6 capitoli e 35 articoli:

  • Il Capitolo 1 contiene le disposizioni generali (articoli 1-10)
  • Il Capitolo 2 tratta le politiche di base (articoli 11-14)
  • Il Capitolo 3 tratta le misure di base (articoli 15-21)
  • Il Capitolo 4 tratta le misure per la prevenzione, scoperta precoce e gestione del bullismo (articoli 22-27)
  • Il Capitolo 5 si riferisce alla gestione dei casi gravi (articoli 28-33)
  • Il Capitolo 6 comprende disposizioni varie (articoli 34 e 35)

I contenuti principali della legge e dei suoi capitoli sono i seguenti.

Capitolo 1 – Disposizioni generali

1. SCOPO DELLA LEGGE: lo scopo della legge è quello di promuovere misure e sforzi efficaci per la prevenzione del bullismo.

2. DEFINIZIONE DEL BULLISMO: la legge definisce il bullismo scolastico (ijime) come “il comportamento di uno studente di influenzare un altro studente mentalmente o fisicamente, anche attraverso Internet. La vittima ha un rapporto personale con il bullo e, per questo, prova angoscia mentale o dolore fisico” (articolo 2, comma 1). Questa definizione non tiene conto delle intenzioni dei bulli ma pone l’accento sulle vittime di bullismo e sulla percezione del dolore inflitto dalla condotta dei bulli.

Grazie a questa definizione ufficiale il bullismo in Giappone viene riconosciuto da un numero più alto di scuole.
La legge stabilisce il principio base secondo il quale il bullismo dovrebbe essere prevenuto sia all’interno che all’esterno delle scuole (articolo 3, comma 1). La legge afferma che “gli studenti non devono bullizzare nessuno studente”‘ e che il bullismo è illegale (articolo 4). Tuttavia, la legge non prevede alcuna sanzione per i bulli.

Capitolo 2 – Politiche di base

Secondo la Legge, il governo nazionale, i governi locali, le scuole, la comunità locale, le famiglie degli studenti e le altre parti interessate devono collaborare per contrastare il problema del bullismo (articolo 3, comma 3).
La Legge specifica che, in primo luogo, il governo nazionale e quelli locali sono responsabili della formulazione e dell’attuazione delle misure per la prevenzione, l’individuazione precoce e il trattamento del bullismo nelle scuole (articoli 5 e 6).
Afferma che il Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia deve stabilire una politica nazionale di base per promuovere in modo completo ed efficace misure per prevenire, individuare precocemente e gestire il bullismo (articolo 11). Nell’ottobre 2013 il Ministero ha recepito i principi della Legge e ha elaborato la Politica Nazionale di base.
La Legge dice anche che i governi locali devono definire politiche locali di base (articolo 12). Ad oggi circa il 90% dei governi locali ha stabilito le proprie regole locali.
La Legge poi stabilisce anche che la scuola sarà ritenuta responsabile dell’adozione delle misure necessarie per prevenire e combattere gli atti di bullismo (articolo 7). Ogni scuola, quindi, deve attuare politiche scolastiche mirate al problema (articolo 13). Molte politiche scolastiche, ad esempio, disciplinano come gli insegnanti debbano gestire i casi di bullismo.
La legge, infine, sottolinea il ruolo dei genitori che devono affrontare il problema con i propri figli.

Capitolo 3- Misure di base

Secondo la Legge, le scuole devono fornire sistematicamente agli insegnanti gli strumenti necessari, compresa una adeguata formazione, per prevenire, rilevare precocemente e gestire il fenomeno del bullismo (articolo 18, comma 2) non solo nelle scuole ma anche quello attuato attraverso Internet (articoli 15 e 19, comma 1).

Tra i vari strumenti adottati c’è, ad esempio, la distribuzione periodica di questionari tra gli studenti (articolo 16, comma 1); in particolare, in molte scuole in Giappone l’anno scolastico è suddiviso in tre semestri e di solito viene distribuito almeno un questionario sul bullismo ogni semestre.

Oltre ai questionari la Legge invita le scuole anche a fornire a studenti, genitori e insegnanti consultazioni sul bullismo (articolo 16, comma 3 e 4), comprese opportunità per studenti, genitori e insegnanti di confrontarsi con professionisti come consulenti scolastici e assistenti sociali.

Il governo nazionale e i governi locali sono, quindi, tenuti a sviluppare sistemi che garantiscano che le scuole (a) stiano adottando misure appropriate per gestire il bullismo, come fornire supporto agli studenti vittime di bullismo o ai loro genitori, fornire consulenza ai bulli o dare consigli ai genitori dei bulli (articolo 17) e (b) applichino queste misure in modo appropriato sulla base delle conoscenze degli esperti (articolo 18, comma1).

Capitolo 4 – Misure per la prevenzione, scoperta precoce e gestione del bullismo

L’articolo 22 della Legge stabilisce che le scuole devono istituire una task force che intraprenda azioni concrete contro il bullismo. Questa organizzazione dovrebbe essere composta da insegnanti, psicologi e da tutte le figure professionali interessate al benessere degli studenti. In molte scuole, queste organizzazioni includono anche i consulenti scolastici, gli assistenti sociali scolastici e persino gli avvocati scolastici.

Tra i compiti di queste organizzazioni c’è anche quello di organizzare, in caso di un episodio di bullismo o di un suo sospetto, i colloqui per ascoltare gli studenti coinvolti e capire se e in che forma sono avvenuti gli atti di bullismo (articolo 23, comma 1 e 2).

Se ciò è realmente avvenuto la scuola è obbligata ad intervenire immediatamente.
Le organizzazioni, inoltre, hanno un ruolo importante nel prevenire il reiterarsi di questi comportamenti, fornendo un supporto alle vittime o ai loro genitori e fornendo consulenze ai bulli e consigli ai genitori (articolo 23, comma 3).

La task force deve quindi non solo coordinare le varie figure professionali coinvolte per garantire alle vittime di bullismo una vita scolastica sicura per il futuro ma deve anche aiutare i bulli e i loro genitori ad analizzare il problema.

La Legge suggerisce che, nei casi in cui la scuola lo ritenga necessario, si debba fare in modo che i bulli studino in aule separate dagli studenti vittime di bullismo (articolo 23, comma 4) facendo comunque in modo che la scelta non sembri un atto punitivo nei confronti dei colpevoli.

In passato, quando gli studenti vittime di bullismo provavano disagio quando si trovano nelle stesse classi dei bulli, hanno fatto ricorso allo studio in luoghi diversi dalle aule, come ad esempio la biblioteca, l’infermeria, l’ufficio del preside o persino i magazzini della scuola. Tuttavia, questa soluzione non era corretta perché le vittime dovevano subire un’altra forma di violenza dovendo rinunciare ai loro posti in classe.
La Legge è intervenuta anche su questo punto introducendo un cambiamento epocale, poiché stabilisce che siano i bulli a lasciare l’aula e non le loro vittime.

Quando le scuole forniscono il supporto, la guida o i consigli di cui sopra, le informazioni sul bullismo dovrebbero essere condivise con i genitori delle vittime e i genitori dei bulli (articolo 23, comma 5). La legge richiede anche che le scuole condividano le informazioni sull’accaduto sia con le vittime sia con i bulli. Tenere informate tutte le parti ha un grande significato per la risoluzione dei casi di bullismo.

Se la condotta dei bulli costituisce un reato, la scuola deve gestirla in collaborazione con la polizia (articolo 23, comma 6). Alcuni esempi sono: (a) quando i bulli rubano denaro o beni di proprietà delle loro vittime (furto); (b) quando i bulli prendono denaro o beni di proprietà minacciando le loro vittime (ricatto); (c) quando i bulli usano violenza contro le loro vittime (aggressione), con conseguente lesione alle vittime (lesione); (d) quando i bulli usano violenza sessuale contro le loro vittime (aggressione sessuale); e (e) quando i bulli danneggiano la reputazione delle vittime diffondendo false informazioni su di loro, anche via Internet (diffamazione).

In questi casi la scuola deve denunciare i fatti alla polizia se le vittime desiderano perseguire l’atto di bullismo sul piano penale. Naturalmente le vittime possono anche sporgere denuncia direttamente alla polizia. Se c’è un rischio per la vita, l’incolumità o di danno alle proprietà causato da atti di bullismo, la scuola è obbligata a denunciare immediatamente alla polizia e richiedere l’assistenza adeguata.

Il consiglio di istruzione deve inoltre adottare tempestivamente le misure necessarie per garantire agli studenti vittime di bullismo e ai loro compagni di classe di poter studiare in tranquillità (articolo 26). Nello specifico, il consiglio di istruzione è incaricato di ordinare la sospensione dei bulli dalla scuola, ai sensi degli articoli 35 (1) e 49 della legge sull’istruzione scolastica, o di trasferire i bulli in una scuola diversa.

Capitolo 5 – Gestione dei casi gravi

La Legge definisce due tipi di casi gravi: (a) “gravi casi che mettono a rischio vita, corpo, mente e proprietà” (articolo 28, comma 1 (ⅰ)); e (b) “casi gravi che impediscono alle vittime [di bullismo] di frequentare la scuola” per paura di ulteriori molestie o aggressioni (articolo 28, comma 1 (ⅱ)).

Per questi casi gravi, la scuola e i suoi fondatori sono tenuti a istituire tempestivamente un gruppo investigativo per gestire la questione e per sviluppare un piano di prevenzione affinché non si ripetano altri casi simili. Devono essere condotte indagini per chiarire i fatti relativi al caso grave con mezzi adeguati, compreso l’uso di questionari (articolo 28 paragrafo 1). Dopo il completamento dell’indagine, viene quindi richiesto alla scuola di fornire alle vittime tutte le informazioni ottenute relative al caso (articolo 28, paragrafo 2). Le scuole devono inoltre segnalare eventuali casi gravi ai capi dei governi locali o ad altri soggetti disciplinati dalla Legge (articoli. 29 comma 1, 30 comma 1, 30 comma 2, 31 comma 1, 32 comma 1 e 5).
I capi dei governi locali e/o tutte le persone che hanno ricevuto la segnalazione quando lo ritengono necessario possono a loro volta indagare sui risultati dell’indagine (riesame) mediante la costituzione di un ente affiliato o con altra modalità (articoli 29 comma 2, 30 comma 2, 31comma 2, 32 comma 2 e 5).
Ad esempio, nella scuola pubblica, il capo del governo locale può avviare una nuova indagine ai sensi dell’articolo 30, paragrafo 2.

I capi dei governi locali dovrebbero considerare l’avvio di una nuova indagine nei seguenti casi (cfr. Titolo 1 delle Linee guida):
(i) Sussistono dubbi circa l’equità e la neutralità dei membri del gruppo investigativo (vedi Titoli 4 e 5 delle Linee Guida).
(ii) Si è verificato un grave problema con la procedura investigativa.
(iii) Il gruppo investigativo non ha indagato a sufficienza sulle informazioni che aveva confermato con le vittime prima dell’indagine (Titolo 5 delle Linee guida).
(iv) L’organizzazione investigativa non ha condotto un’indagine sufficiente sulla gestione dell’incidente di bullismo da parte della scuola (vedi articolo 28 (1) della Legge).
(v) Sono stati scoperti nuovi e importanti fatti che l’organizzazione investigativa non ha trovato o a cui non ha avuto accesso.

Se non è possibile risolvere un caso grave attraverso un unico riesame, il capo del governo locale può condurre una terza indagine.

Capitolo 6 – Disposizioni varie

Come descritto sopra, “bullismo” ai sensi della Legge è inteso solo bullismo “scolastico”

(Articolo 2, comma 1 e 2), dove per “scuola” si intende una scuola elementare, una scuola media o una scuola superiore. Gli istituti tecnici non sono inclusi tra le scuole coperte dalla Legge, come previsto dall’articolo 1 della legge sull’istruzione scolastica. Pertanto, una condotta equivalente al bullismo che si verifica in un istituto tecnico non costituisce “bullismo” ai sensi della legge.

Secondo la Legge, tuttavia, anche gli istituti tecnici dovrebbero adottare le misure necessarie per prevenire, individuare precocemente e gestire comportamenti equivalenti al bullismo (Articolo 35).

Riflessioni finali

Anche se la Legge per la promozione di misure per prevenire il bullismo è stata emanata nel 2013 nell’ultimo decennio la situazione non è molto cambiata.

Nel 2020 in Giappone sono stati segnalati 517.163 casi di bullismo considerando il totale delle scuole a livello nazionale: elementari, medie e superiori sia pubbliche sia private. Si tratta di una diminuzione del 15,6% rispetto ai dati del 2019 (Nippon.com, 2021) ed è la prima riduzione significativa negli ultimi sette anni. Il dato, tuttavia, può essere falsato dalla pandemia. Il Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia ritiene, infatti, che ciò possa essere dovuto alla chiusura simultanea delle scuole e alla limitazione delle attività dei club scolastici durante la pandemia, il che ha significato meno giorni a scuola e riduzione dei contatti tra gli studenti.

 

Figura 2, Nippon.com

 

“Nessun cambiamento si vede nel campo dell’istruzione” – ha detto il padre della vittima della città di Otsu – nonostante l’emanazione della Legge per la promozione di misure di prevenzione del bullismo.  Questa è “una legge che mio figlio ha creato con la sua vita”, ha detto il padre. “Ho scoperto che il settore educativo non è cambiato negli ultimi dieci anni”, ha aggiunto dichiarando che ancora in molte scuole e consigli di istruzione vengono tenuti nascosti documenti relativi a casi di bullismo (Nippon.com, 2021).

Il framework basato sulla legge purtroppo non funziona in modo ottimale. Molte scuole, in particolare i consigli di istruzione, spesso non rispettano la Legge per la promozione di misure per prevenire il bullismo, la Politica nazionale di base e le Linee guida emanate. Molte scuole, inoltre, hanno spesso ignorato le politiche di base locali e le politiche di base scolastiche che hanno loro stesse stabilito. Per esempio, le denunce da parte delle vittime in certi casi sono state minimizzate o ignorate dalle scuole oppure i membri delle organizzazioni investigative non erano equi, neutrali o competenti oppure ancora le scuole hanno respinto i risultati delle indagini e si sono rifiutati di gestire le situazioni in conformità con i risultati ottenuti.

Lo stesso Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia ha riconosciuto che nella gestione di casi gravi da parte delle scuole, ci sono state in tutto il Giappone numerose violazioni della Legge, della politica di base nazionale e delle linee guida.

Per migliorare questa situazione il professor Nagata della Kansai University propone tre soluzioni (Nagata, 2021, p. 24).

La prima opzione sarebbe fornire delle procedure investigative dettagliate e rigorose modificando la Legge attuale o creando una nuova normativa. Attualmente la Legge non prevede, infatti, specifiche procedure investigative.

La seconda opzione sarebbe quella di modificare la Legge in modo che le violazioni della legge o delle regole della procedura investigativa possono essere punite.

La terza opzione (e probabilmente la più efficace) sarebbe quella di modificare la Legge per consentire ad un’organizzazione indipendente di condurre tutte le indagini su fatti di bullismo. Sono necessari tempo e impegno per creare una nuova organizzazione investigativa che comprenda figure  terze giuste, neutrali e professionali. Le attuali organizzazioni investigative, inoltre, non hanno l’autorità necessaria per raccogliere prove sufficienti e i risultati del loro lavoro di solito non sono legalmente vincolanti. Sembra quindi probabile che il modo migliore per risolvere il problema delle carenze investigative possa essere quello di stabilire un organismo professionale, dedicato specificatamente alle indagini sul bullismo e anche alla prevenzione. L’organismo più appropriato potrebbe essere un tribunale di famiglia. In Giappone, i tribunali di famiglia hanno giurisdizione sui casi di delinquenza giovanile e sui casi di relazioni domestiche. Il loro personale include agenti inquirenti con competenze in diritto, psicologia, sociologia e formazione scolastica.

I tribunali di famiglia sarebbero superiori ai comitati costituiti da figure terze nelle indagini sui casi gravi di bullismo perché hanno una comprovata esperienza di equità, neutralità, competenza, tempestività dei giudizi, autorità per la raccolta delle prove e autorità nelle decisioni legalmente vincolanti. Pertanto, la Legge dovrebbe essere modificata stabilendo che i tribunali di famiglia diventino i principali organi di indagine nei casi gravi di bullismo.

Bibliografia:

Nagata, Kenji (2021), “Japan’s Act on the Promotion of Measures to Prevent Bullying: Handling Serious Cases of Bullying”, in Kansai University review of law and politics, Volume 42, pagine 1-26.

Sugimori, Shinkichi (2013), Anatomy of Child Bullying in Japan 1: Definition of Bullying and Its Transformation, https://www.childresearch.net/papers/school/2013_01.html

Act for the Promotion of Measures to Prevent Bullying (2013), https://www.japaneselawtranslation.go.jp/en/laws/view/3748/en

Nippon.com (2021), School Bullying Drops by 15.6% in Japan During Pandemic, https://nippon.com/en/japan-data/h01142/

Nippon.com (2021), Father Calls for Law Revision to Eradicate School Bullying, https://www.nippon.com/en/news/yjj2021100900369/

 

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