Rassegna settimanale 3 – 9 dicembre 2018: Sudest asiatico

Rassegna settimanale 3 – 9 dicembre 2018: Sudest asiatico

3 dicembre, Indonesia – Grande raduno islamista a Jakarta

Decine di migliaia di musulmani si sono radunati nel centro di Jakarta. La manifestazione è stata capeggiata da alcuni gruppi conservatori sempre più influenti nella società indonesiana. Tra la folla era presente anche il generale Prabowo Subianto, un politico nazionalista noto per la propria vicinanza con gli islamisti. Esso affronterà il presidente uscente Joko Widodo alle prossime elezioni presidenziali.

“Siamo fieri dell’Islam in Indonesia. Questo perché l’Islam ci unisce e mantiene la pace nel paese” ha dichiarato Prabowo. L’islam radicale era stato messo al bando sotto il regime dell’autocrate Suharto, poi rovesciato nel 1998. Da allora è andato avanti un processo di radicalizzazione all’interno del paese.

Due anni fa, immense proteste popolari hanno obbligato il primo governatore cristiano della storia a dimettersi dopo aver, secondo alcuni estremisti, insultato il Corano. L’uomo è stato successivamente condannato per blasfemia.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/hardliners-hold-large-rally-in-jakarta

4 dicembre, Cambogia – Il governo cambogiano allenta la pressione sull’opposizione ed i media

Il parlamento cambogiano ha avviato una procedura per rivedere le sanzioni precedentemente approvate contro oltre 100 membri dell’opposizione. La decisione è stata annunciata dal ministero degli affari esteri. La notizia fa seguito alle minacce dell’Unione Europea di imporre delle sanzioni economiche al paese ed una possibile esclusione dall’accordo di libero commercio.

Qualche mese prima delle elezioni generali dello scorso giugno, il primo ministro Hun Sen aveva messo al bando il principale partito di opposizione, Cambodia National Rescue Party. Il leader del partito Kem Sokha era stato imprigionato mentre il fondatore si trova attualmente in esilio in Francia.

Inoltre, erano stati chiusi vari giornali e radio critici del governo. La chiusura di Radio Free Asia (RFA) e del sito Voice of America (VOA) avevano particolarmente scosso l’opinione internazionale. Il ministero degli affari esteri ha annunciato che RFA e VOA sono stati autorizzati a riaprire i propri uffici nel paese.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/cambodia-eases-pressure-on-opposition-media-after-eu-sanctions-threat

5 dicembre, Indonesia – L’Indonesia attrae gli investimenti cinesi

Malgrado l’Indonesia sia la maggior economia del sudest asiatico, il paese è rimasto sostanzialmente tagliato fuori dal faraonico progetto noto come “Belt and Road Initiative” (BRI). Il governo indonesiano vorrebbe cambiare tutto ciò, proponendo a Pechino un insieme di progetti infrastrutturali di circa 60 miliardi di dollari.

Lo stato indonesiano ha proposto un serie di progetti sparsi per l’arcipelago, anche se molti analisti si sono dichiarati preoccupati dell’immensa quantità di debiti che legherà Jakarta a Pechino. “Siamo totalmente consapevoli del fatto che questa cooperazione non debba finire male” ha dichiarato Ridwan Djamaluddin, l’addetto agli affari infrastrutturali del ministero del coordinamento degli affari marittimi. “Altri paesi sono stati forzati a pagare indietro i loro prestiti e alcuni hanno dovuto cedere i loro beni. Non vogliamo questo”.

“Siamo consapevoli di non esser stati rapidi quanto gli altri paesi nel firmare questi accordi” ha dichiarato Ridwan. Le trattative tra i due paesi sono state più complesse visto che il governo indonesiano ha voluto porre alcune garanzie per preservare la propria indipendenza finanziaria. Inoltre, gli investimenti cinesi dovranno permettere l’assunzione di lavoratori indonesiani, essere ecosostenibili e permettere il trasferimento di conoscenze tecnologiche.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/Indonesia-woos-chinese-investors-with-belt-and-road-project-worth-up-to-82-billion

6 dicembre, Cambogia – Il governo chiude i campi Rohingya. Inizia la segregazione

Mentre il mondo si è concentrato sugli accordi, falliti, per iniziare il rimpatrio dei Rohingya dal Bangladesh alla Birmania, centinaia di musulmani stavano ancora cercando di scappare dal paese a bordo di imbarcazioni di fortuna.

Il loro tentativo di fuga ha rimesso al centro delle attenzioni i 128.000 Rohingya e le altre etnie di minoranza musulmana ammassati nei campi birmani, sei mesi dopo che la folla buddista ha raso al suolo le loro case.

Il governo di Aung San Suu Kyi, sotto la pressione internazionale, ha dichiarato che avrebbe chiuso i campi all’interno dei quali sono, di fatto, rinchiusi i Rohingya e che avrebbe permesso una migliore integrazione.

Numerose interviste ai residenti dell’area, così come documenti interni delle Nazioni Unite, dimostrano però che lo stato birmano sarebbe solamente intenzionato a costruire nuove case vicino ai campi – piuttosto che lasciarli tornare nelle loro terre – lasciano così la situazione pressoché inalterata.

Coloro che si sono spostati nelle nuove case si trovano nuovamente sotto restrizioni di libera circolazione. Una rete di check point e minacce di violenza da parte della popolazione buddista, impedisce ai Rohingya di circolare liberamente nello stato di Rakhine. Di conseguenza, gli sarebbe negato l’accesso ai beni e servizi di prima necessità, rendendoli dipendenti dagli aiuti umanitari.

“Sì, ci siamo spostati in una nuova casa – è corretto dire che (il campo) sia chiuso” ha spiegato Kyaw Aye, un leader del campo di Nidin. “Ma non saremo mai in grado di cavarcela da soli perché non possiamo andare da nessuna parte”.

Il ministro delle politiche sociali Win Myat Aye ha dichiarato che il governo sta attualmente lavorando con le Nazioni Unite su una strategia per chiudere i campi per coloro che sono stati costretti a spostarsi dopo le violenze nello stato di Rakhine.

Non ci sono restrizioni legali ai movimenti dei rifugiati dello stato di Rakhine dal momento che essi accettino la cosiddetta “national verification card”, che fornisce l’accesso alla sanità e all’educazione, ha dichiarato il ministro.

I residenti musulmani hanno però dichiarato che importanti restrizioni permanevano anche per coloro che avessero accettato la carta, che la maggior parte dei Rohingya si rifiuta di portare. Secondo quest’ultimi, il documento viene visto come un insulto che li considera come stranieri obbligati a dimostrare la propria nazionalità.

Il responsabile per le Nazioni Unite in Birmania, Knut Otsby, aveva anticipato in una nota interna del 24 settembre che la chiusura dei campi “rischia di aumentare la segregazione e negare ai rifugiati i propri diritti”.

L’ufficio di Otsby non ha voluto commentare questa dichiarazione, ha però fatto sapere che l’ONU sta preparando una risposta sulla chiusura dei campi.

Fuga per le vie marittime

I leader dei Rohingya hanno dichiarato che, il miglioramento delle condizioni di vita, è uno degli elementi chiave per convincere la comunità a lasciare i campi in Bangladesh. Ad oggi sono circa 730.000 i musulmani che hanno lasciato le proprie terre – secondo gli investigatori, l’esercito birmano avrebbe lanciato una campagna di omicidi, stupri ed incendi dolosi con “intento di genocidio”. Le autorità birmane hanno respinto tutte le accuse dichiarando che le proprie truppe sono impegnate in uno scontro legittimo contro delle forze terroriste.

I rifugiati hanno respinto un piano per il rimpatrio che sarebbe dovuto iniziare a metà novembre ma secondo quest’ultimi non erano adatte le condizioni.

Intanto, almeno tre navi, ciascuna carica di uomini, donne e bambini, hanno lasciato lo stato di Rakhine nel mese di ottobre, quando sono iniziate le piogge monsoniche, seguendo un percorso marittimo pericoloso per scappare da quella che definiscono una persecuzione da parte dell’esercito.

“Se scelgono di andarsene con delle navi è una chiara prova delle condizioni dei campi” ha dichiarato Khin Maung, un giovane attivista Rohingya in Bangladesh. Il ragazzo è in contatto con altri musulmani che “vivono come dei prigionieri” all’interno dei campi dello stato di Rakhine. “Se queste sono le condizioni di vita perché gli altri dovrebbero tornare indietro?”.

Win Myat Aye ha dichiarato che è in corso un lavoro per migliorare la vita dei rifugiati ancora in Birmania e di coloro che vogliono tornare. “Penso che coloro che lasciano il paese con delle navi lo facciano perché non abbiano pienamente capito cosa abbiamo preparato a livello di abitazioni, sostentamento e sviluppo socioeconomico”.

Investire nella segregazione

Un campo, tra i 18 rimanenti, si trova vicino a Myebon, marcata da violenti scontri etnici nel 2012. I 3.000 musulmani sono stati espulsi dalla città e sistemati nel campo di Taungpaw. Il campo si trova in un’area minuscola tra la città buddista e la Baia del Bengala, in una soluzione che doveva essere temporanea.

Quest’anno le autorità hanno costruito 200 nuove case su delle risaie, malgrado gli importanti rischi di allagamento. Le case sono state effettivamente sommerse dalle acque nel mese di giugno. Nel mese di settembre il governo ha costruito due nuovi edifici che diventeranno delle scuole riservate ai musulmani.

“Questo è il segnale che lo stato di Rakhine sta investendo nella segregazione permanente piuttosto che promuovere l’integrazione” si può leggere in una nota interna delle Nazioni Unite del 30 settembre.

Alcuni musulmani di Meybon possiedono la cittadinanza birmana o la carta di identificazione fornita dal governo. Malgrado questo non sono in grado di entrare nella città, dove le tensioni etniche sono rimaste molto accese. I buddisti hanno più volte bloccato l’accesso degli aiuti umanitari all’interno del campo.

“Anche se hanno fornito alle persone delle nuove case, se non c’è libertà di movimento non c’è nessuna possibilità di affari” ha dichiarato un residente del campo.

Aung Thar Kyaw, leader tra la comunità buddista di Meybon ha dichiarato che le due comunità erano semplicemente troppo diverse per vivere insieme, dichiarando che i musulmani erano “così aggressivi”. “Il governo gli ha già costruito delle nuove case così che non entrino in città” ha dichiarato l’uomo.

Fonte: Reuters
Link: https://www.reuters.com/article/us-myanmar-rohingya-segregation-insight/we-cant-go-anywhere-myanmar-closes-rohingya-camps-but-entrenches-segregation-idUSKBN1O502U

7 dicembre, Filippine – Duterte vorrebbe prorogare la legge marziale nel sud del paese

Il presidente filippino Rodrigo Duterte vorrebbe estendere la legge marziale fino alla fine del 2019. La richiesta del presidente, che potrebbe essere approvata entro la fine della prossima settimana, ha attirato le critiche dei gruppi per la difesa dei diritti che hanno lamentato numerosi abusi di potere e violazioni dei diritti umani.

Il portavoce del presidente ha però dichiarato che la decisione sarebbe necessaria “per proteggere la nazione ed i suoi cittadini”. “Un arresto non farebbe altro che ostacolare i progressi ai quali assistiamo nella regione di Mindanao e potrebbe anche rafforzare la ribellione e propagarla in altri paesi”.

Il presidente aveva proclamato la legge marziale dopo il tentativo da parte di un migliaio di militanti dell’ISIS di formare un nuovo califfato nel sudest asiatico. La città di Marawi si è così trovata assediata dall’esercito per cinque mesi prima di essere liberata. Il bilancio degli scontri è stato particolarmente importante essendo morte 1.200 persone e dislocate 200 mila.

La legge marziale rimane un tema particolarmente sensibile nel paese, essendo stata utilizzata dal dittatore Ferdinand Marco per oltre due decenni. Ciononostante, la popolazione sosterrebbe ampiamente la decisione del presidente, fortemente voluta anche dai capi militari e della polizia del paese

Fonte: South China Morning Post
Link: https://www.scmp.com/news/asia/southeast-asia/article/2176987/president-duterte-seeks-one-year-martial-law-extension?fbclid=IwAR00VtXgkgWjAQBvPhLlP2G0qw9WcgjdfVVLiZ3DSaQBBo1nWvQta_z7FOg

8 dicembre, Malesia – Migliaia di persone contro il trattato ONU

Oltre 55.000 malesi si sono radunati a Kuala Lumpur per festeggiare la decisione del governo di non ratificare il trattato delle Nazioni Unite. Anche se organizzato da gruppi della società civile, il raduno è stato guidato dai due maggiori partiti di opposizione, Umno e Parti Islam SeMalaysia (PAS). Al raduno era presente anche l’ex premier Razak Najib.

“Quando i due più importanti partiti malesi uniscono le proprie forze […] tutto diventa possibile” ha dichiarato il vicepresidente dell’Umno “Per le prossime elezioni ci riprendiamo il Putrajaya (sede del governo malese). L’importante è trovare la giusta formula”. Un membro del PAS ha dichiarato che se l’attuale governo dovesse “nuovamente rinunciare a proteggere i diritti dei malesiani e dell’Islam, il popolo sarà pronto a radunarsi al Putrajaya per rovesciare il governo”.

Il partito di governo Pakatan Harapan ha promesso durante la campagna elettorale di ratificare la International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination (ICERD). Numerose proteste sono però state organizzate contro la decisione che potrebbe mettere in discussione il ruolo dell’Islam nel paese.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/thousands-gather-for-kl-rally-against-un-rights-convention

9 dicembre, Birmania – Attivisti birmani imprigionati per aver organizzato una protesta contro la guerra

Una corte nello stato di Kachin ha condannato tre attivisti per aver “diffamato” i militari organizzando una protesta contro la guerra. I tre organizzatori, Lum Zawng, Nang Pu e Zau Jet, sono stati condannati a 6 mesi di prigione e al pagamento di una multa di 320 dollari americani.

Lo stato di Kachin è in preda ad una delle più lunghe guerre civili della storia, dove da circa 6 decenni si affrontano i ribelli contro il potente esercito birmano. Il centro della disputa riguarda questioni etniche, di identità autonoma e risorse naturali. Gli scontri si sono notevolmente intensificati nell’ultimo anno, costringendo numerose persone a rifugiarsi in campi sovraffollati ed inadeguati.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/myanmar-activists-jailed-over-anti-war-protests

 

 

 

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