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Le dimissioni di Abe Shinzō: quale legacy si lascia alle spalle?

Marta Barbieri

Lo scorso 28 agosto, Abe Shinzō si è dimesso dalla carica di Primo Ministro del Giappone per motivi di salute. Con lui si conclude un lungo periodo di stabilità: nessun altro, nel dopoguerra, aveva governato per un periodo tanto esteso. Dopo un primo mandato tra il 2006 e il 2007, Abe era tornato al potere nel 2012, restando alla guida del Paese per 8 anni.

Il suo successore, Suga Yoshihide, intraprenderà probabilmente una politica volta a continuare i punti programmatici del suo predecessore, ma qual è la legacy che Abe si lascerà alle spalle?

Background e controversie

Abe Shinzō viene da una famiglia con una lunga tradizione politica: il padre, Abe Shintarō, fu Ministro degli Esteri dal 1982 al 1986. Il prozio, Satō Eisuke, fu Primo Ministro dal 1964 al 1972 e vincitore del Premio Nobel per la Pace. Il nonno Kishi Nobusuke fu Primo Ministro tra il 1957 e il 1960. Tutti, Abe Shinzō compreso, appartenevano al Partito Liberal-democratico (LDP), il Partito conservatore che, dalla sua nascita nel 1955, ha dominato la scena politica giapponese.

Fin dal primo mandato, Abe è stato al centro di controversie per la sua posizione nei confronti dei crimini di guerra commessi dal Giappone nella Seconda Guerra Mondiale (tra le altre cose, nel 2007 sostenne che le comfort women1 non fossero reclutate contro la loro volontà, anche se successivamente si scusò per queste dichiarazioni)2 e per la sua volontà di revisionare l’articolo 9 della Costituzione giapponese, articolo con il quale il Giappone si impegna a rinunciare alla guerra e al mantenimento di un esercito nazionale.

Il Primo Ministro più “longevo” del dopoguerra: Abe 2012-2020

Abe sarà ricordato per aver restituito stabilità al Giappone dopo un lungo periodo di Primi Ministri che non riuscivano a portare a termine il loro mandato (con la sola eccezione di Koizumi Junichirō, al potere tra il 2001 e il 2006).

Le sue promesse elettorali erano focalizzate su due punti fondamentali: la “resurrezione” dell’economia dopo vent’anni di stagnazione, e il rafforzamento delle Self Defence Forces grazie alla revisione della Costituzione.

Abenomics e Womenomics

In seguito alla crisi finanziaria del 2008 il Giappone, la cui economia era già stagnante, aveva intrapreso una politica monetaria troppo cauta, che aveva portato a tassi di interesse troppo alti e a una moneta troppo forte; tentativi prematuri di alzare le tasse e tagliare la spesa avevano soffocato la ripresa, portando a una contrazione nei consumi.

Per questo motivo, all’inizio del suo secondo mandato Abe cercò di dare il via a una politica economica coraggiosa, che venne denominata Abenomics.

I tre pilastri dell’Abenomics erano:

  • politica monetaria coraggiosa

  • stimolo fiscale

  • riforme strutturali per spingere la crescita e sfuggire alla deflazione

Un altro aspetto fondamentale delle politiche di Abe era la cosiddetta Womenomics, attraverso la quale Abe si impegnava a creare le condizioni per permettere alle donne di conciliare lavoro e famiglia e di accedere a posizioni di leadership. Come dichiarato dallo stesso Abe nel 2013, infatti, le donne sono “la risorsa meno sfruttata del Paese”3 ed è importante puntare su di loro per contrastare l’invecchiamento della popolazione, per incrementare la forza lavoro e per far ripartire l’economia.4

In un primo momento, le misure di Abe hanno funzionato: l’economia è migliorata rispetto agli anni precedenti, l’inflazione è rimasta bassa ma positiva, la disoccupazione è scesa sotto il 2,5% e si è registrato un aumento nell’occupazione femminile.

Abe, però, non è riuscito a implementare le riforme con la forza necessaria, a causa delle pressioni del suo stesso Governo. Il momentum positivo è quindi terminato definitivamente già nel 2014, quando, in seguito alla decisione di aumentare la tassa sui consumi, il Giappone è entrato in recessione tecnica. La stessa situazione si è ripetuta nel 2020, esacerbata dalla crisi causata dal covid-19.

Anche per quanto riguarda la condizione femminile, i successi di Abe sono stati solo parziali. È vero che 3,5 milioni di donne sono entrate o tornate nel mondo del lavoro dopo l’inizio del suo secondo mandato. I due terzi di queste, tuttavia, lavora part-time o con contratti a tempo determinato, spesso in posizioni non specializzate, e si trova quindi in posizioni meno “sicure” rispetto ai colleghi uomini. La crisi causata dal covid-19 non ha fatto che rendere ancora più critica la situazione di precarietà di molte donne lavoratrici; nel solo mese di aprile 2020, in Giappone si sono persi 970 000 posti di lavoro: di questi, 710 000 erano occupati da donne.5 Le donne sono quindi i veri shock absorbers del Giappone, terza economia mondiale. Le madri single sono la categoria maggiormente colpita nel Paese, e molte si trovano a vivere sotto la soglia di povertà.

Si può dire, quindi, che le misure adottate da Abe con Abenomics e Womenomics abbiano rappresentato un punto di partenza per rivoluzionare l’economia e il mondo del lavoro giapponesi, ma non siano riuscite a agire con forza sufficiente. Il problema del Giappone, dunque, non è l’Abenomics, ma il fatto che questa non venga implementata con la forza e il coraggio necessari.6

Abe e la revisione della Costituzione giapponese

La Costituzione del Giappone entrò in vigore nel maggio del 1947, sulla base di una bozza stilata dal Comandante Supremo delle Forze Alleate, Douglas MacArthur, e dalle forze di occupazione alleate nel Giappone dell’immediato secondo dopoguerra. I due punti più fortemente voluti dal generale MacArthur nella Costituzione furono: il riconoscimento esplicito dell’Imperatore giapponese come capo meramente simbolico dello Stato, e la rinuncia del Giappone alla guerra e al mantenimento di un esercito nazionale.

Il principio pacifista della Costituzione giapponese è particolarmente controverso, ed è espresso nell’articolo 9, che recita:

“Aspiring sincerely to an international peace based on justice and order, the Japanese people forever renounce war as a sovereign right of the nation and the threat or use of force as means of settling international disputes.
In order to accomplish the aim of the preceding paragraph, land, sea, and air forces, as well as other war potential, will never be maintained. The right of belligerency of the state will not be recognized.”7

Questo articolo, imposto dagli Stati Uniti al termine della Seconda Guerra Mondiale per impedire che il Giappone tornasse a essere una potenza militare e militarista, di fatto vieta al Giappone di possedere un esercito vero e proprio. Al Paese è concesso di ricorrere all’uso delle forze armate solo per autodifesa, qualora venisse attaccato da un altro Paese; può quindi possedere soltanto delle forze di autodifesa, le Self Defence Forces (in giapponese 自衛隊 jieitai).

Nei decenni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il fatto che gli Stati Uniti avessero proibito al Giappone di avere un esercito permise al Paese di concentrarsi sulla ricostruzione e sulla crescita economica, senza venire coinvolto nelle missioni militari internazionali degli Stati Uniti (ad esempio, nessuna truppa giapponese prese parte alla guerra in Vietnam, a differenza di altri alleati degli USA, quali la Corea del Sud).

Dopo la fine della Guerra Fredda, e soprattutto in occasione della Prima Guerra del Golfo, però, furono proprio gli Stati Uniti a iniziare a chiedere al Giappone di assumere un ruolo internazionale più attivo. In occasione della Guerra del Golfo, gli Stati Uniti riuscirono ad assicurarsi contributi finanziari da parte del Giappone, ma non un aiuto militare diretto: le Maritime Self Defence Forces (MSDF) si occuparono soltanto di dragaggio delle mine dopo il termine del conflitto.8

Sempre in questo periodo, però, l’impossibilità di prendere parte a missioni internazionali iniziò a essere vista, da alcuni politici, come un limite: il Giappone non riusciva ad assumere il ruolo internazionale che avrebbe meritato, vista la sua importanza quale potenza economica. Politici come Nakasone Yasuhiro, Primo Ministro tra il 1982 e il 1987, Ozawa Ichirō e Koizumi Junichirō avevano cercato un modo per aggirare questo limite e assicurare al Giappone un ruolo più proattivo a livello internazionale. Con l’inizio della “Guerra al Terrore” nel 2001, il Governo Koizumi “sfidò” la norma pacifista fornendo agli Stati Uniti un supporto non solo economico: le SDF non furono direttamente impegnate nelle operazioni militari, ma furono comunque attive nei luoghi di conflitto per operazioni di “ricostruzione” e, anche in anni successivi, nelle operazioni di peace keeping delle Nazioni Unite.

Il desiderio di far assumere al Giappone un ruolo internazionale più attivo, quindi, non è una idea del solo Abe. Arrivare alla vera e propria revisione della Costituzione pacifista, tuttavia, è da sempre il suo scopo dichiarato. In realtà, sondaggi sembrano evidenziare come i cittadini non considerino prioritario modificare la Costituzione: pur favorevoli alle politiche di Abe in merito alla sicurezza nazionale, molti giapponesi vedono l’articolo 9 come un ottimo pretesto per tenersi fuori dai conflitti internazionali e dalle pressioni esercitate dagli Stati Uniti.9

Modificare la Costituzione, inoltre, non è semplice: serve la maggioranza dei 2/3 in entrambe le Camere, e, in seguito, l’approvazione della modifica tramite maggioranza semplice in un referendum popolare. Abe non riuscì quindi a mettere in pratica quanto si era ripromesso durante il suo primo, breve mandato, ma, negli otto anni tra il 2012 e il 2020, è riuscito a spingere al limite l’interpretazione dell’articolo 9. In un periodo storico in cui la presenza cinese nella regione dell’Asia Pacifico si fa sempre più minacciosa e la Corea del Nord continua con il suo programma missilistico, Abe ha incrementato significativamente la spesa per la difesa, invertendo la rotta dopo anni di declino. Il Giappone ha partecipato a operazioni anti-pirateria nel Corno d’Africa e a esercitazioni militari congiunte insieme agli Stati Uniti. Inoltre, nel 2014 Abe è riuscito a far approvare una risoluzione che, di fatto, “reinterpreta” la Costituzione ed espande lo scopo delle Self Defence Forces a livello internazionale, secondo il cosiddetto principio della collective self defence; ciò nonostante l’opposizione dell’opinione pubblica, secondo la quale le nuove possibilità di azione delle Self Defence Forces sono anticostituzionali. Anche Cina e Corea del Sud hanno protestato contro il nuovo ruolo assunto dal Giappone a livello internazionale, temendo che ciò significasse un ritorno del Paese al suo passato militarista e aggressivo nella regione.10

Nel 2017, quindi, in occasione delle celebrazioni per i 70 anni dell’entrata in vigore della Costituzione giapponese, Abe si è posto ufficialmente l’obiettivo di modificarne l’articolo 9 entro il 2020:11 inserire un riferimento esplicito alle Self Defence Forces toglierebbe ogni dubbio circa la loro costituzionalità.12

Con le elezioni del luglio 2019, l’LDP ha ottenuto la maggioranza in entrambe le Camere. Tuttavia, mentre alla Camera Bassa ha ottenuto la maggioranza di 2/3 dei seggi (che avrebbe potuto assicurargli l’appoggio necessario a far approvare la modifica alla Costituzione), nella Camera Alta ha ottenuto “solo” 141 seggi su 245, mancando l’obiettivo dei 2/3 dei seggi.13

Pertanto, Abe non è riuscito a revisionare la Costituzione neppure entro il 2020.

La revisione vera e propria della Costituzione resterà quindi, presumibilmente, un obiettivo che cercheranno di realizzare i prossimi leader dell’LDP.

Le sfide di Suga Yoshihide

Riassumendo, sono molte le questioni che Abe ha lasciato in sospeso: è riuscito ad aumentare la presenza internazionale del Giappone e gli ambiti di competenza delle Self Defence Forces, ma non è riuscito a revisionare l’articolo 9 della Costituzione. Le sue politiche economiche, basate su politica monetaria coraggiosa, stimolo fiscale e riforme strutturali, non sono state implementate con la forza necessaria. La partecipazione femminile alla forza lavoro è aumentata, ma in ruoli marginali: anzi, nel 2020 il gender gap in Giappone si è addirittura allargato, scendendo dalla 110ma posizione (su 153 Paesi presi in esame) del 2019 alla 121ma posizione del 2020. Inoltre, in Giappone il gender wage gap è il secondo più ampio tra tutti i Paesi dell’OECD, superato solo dalla Corea del Sud.14

Le sfide che il nuovo Primo Ministro Suga Yoshihide si troverà a dover affrontare sono quindi numerose.

Suga è stato portavoce di Abe per otto anni, e la sua nomina come Primo Ministro per portare a termine il mandato di Abe (che scade nel settembre 2021) è stata chiaramente una scelta volta alla stabilità e alla continuità.

Suga è il primo Primo Ministro a non appartenere a nessuna fazione interna al LDP né a una dinastia politica, e questo potrebbe significare che avrà una minore influenza all’interno del Partito stesso. Egli gode però della reputazione di essere un workaholic e un esperto di burocrazia e della politica “giocata dietro le quinte”. Già durante la conferenza stampa tenuta in occasione del suo insediamento, nella serata del 16 settembre 2020, ha dichiarato come prima cosa che proseguirà le politiche del suo predecessore, che porterà avanti la riforma della Costituzione, che farà delle Olimpiadi (rimandate dal 2020 al 2021) un successo, e che continuerà la politica della Abenomics. Al momento, la sua priorità sarà ovviamente quella di gestire la pandemia del covid-19 e il conseguente fallout economico: Suga ha dichiarato di voler espandere i test e procurare al Giappone dosi adeguate del vaccino entro la prima metà del 2021; di voler rivitalizzare le economie regionali aumentando le minimum wages, promuovendo riforme agricole e incentivando il turismo; di voler dare priorità all’alleanza con gli Stati Uniti e a mantenere relazioni stabili con la Cina. Anche le relazioni con la Corea del Sud avranno rilevanza: Abe certamente non può essere considerato l’unico responsabile delle tensioni che contraddistinguono i rapporti diplomatici tra Tōkyō e Seoul fin dal dopoguerra. In Corea del Sud, però, Abe sarà ricordato come un leader ostinato, poco sensibile e provocatore. La sua visita del 2013 al Santuario Yasukuni (considerato un simbolo del passato militarista del Giappone, dato che nel Santuario sono sepolti, tra gli altri, anche criminali di guerra di classe A della Seconda Guerra Mondiale) aveva creato fortissime tensioni con Cina e Corea del Sud.15 Per il momento, anche nella questione sudcoreana Suga sembra seguire l’esempio del suo predecessore: durante un colloquio telefonico, avrebbe riferito al Presidente sudcoreano Moon che spetta a Seoul creare l’opportunità, per i due Paesi, di ritornare a relazioni costruttive, per quanto i due si siano mostrati d’accordo a collaborare su questioni sensibili come la questione nordcoreana e la necessità di permettere i viaggi d’affari tra i due Paesi nonostante la pandemia.16

I prossimi mesi ci riveleranno come Suga e il suo Governo affronteranno le molte questioni lasciate aperte dalle dimissioni di un Primo Ministro influente e longevo come Abe Shinzō, e anche se, con le dimissioni di Abe, si tornerà o meno a un periodo di instabilità politica, in cui i Governi non arrivavano mai a concludere il loro mandato.

(Featured Image Source: Wikimedia Commons)

Note:

1“[…] former so-called ‘comfort women’ (ianfu), from Korea and other (mainly Asian) nations, who had been forced to serve as prostitutes for the Japanese armed forces during the war. As more and more evidence emerged of how widespread and degrading this practice had been, the Government resisted demands for apology and compensation” J. A. A. Stockwin, “Governing Japan” Blackwell Publishing 1999, p. 89

3Diana Magnay. “Can ‘womenomics’ save Japan?” CNN Business 2013. https://edition.cnn.com/2013/05/21/business/japan-women-economy-womenomics/index.html

5 Yamamitsu, Eimi e Sieg, Linda. “Women bear Brunt of Japan’s Recession as Pandemic unravels Abe’s ‘Womenomics’.” The Japan Times (2020). https://www.japantimes.co.jp/news/2020/06/12/business/economy-business/coronavirus-pandemic-womenomics/

6 “Japan’s Problem is not enough Abenomics.” Financial Times (2020). https://www.ft.com/content/17607a42-517a-11ea-8841-482eed0038b1

7“The Constitution of Japan”, The Prime Minister of Japan and His Cabinet. https://japan.kantei.go.jp/constitution_and_government_of_japan/constitution_e.html

8Hook, Glenn D. “Japan’s International Relations” Routledge Series 2001, p. 110

9 Sieg, Linda, cit.

10Sieg, Linda, cit.

11Lewis, Leo. “Abe sets 2020 Target to revise Japan’s pacific Constitution.” The Financial Times (2017). https://www.ft.com/content/a4d2aaa0-2fd9-11e7-9555-23ef563ecf9a

12 “Abe laments missing Goal of amending Japan’s Constitution by 2020.” The Japan Times (2020). https://www.japantimes.co.jp/news/2020/05/03/national/politics-diplomacy/japan-shinzo-abe-amending-constitution-2020/

13 Berkofsky, Axel e Sciorati, Giulia. “Elections in Japan: Abe wins, but constitutional Revision becomes a No Go.” ISPI (2019). https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/elections-japan-abe-wins-constitutional-revision-becomes-no-go-23563

14 Zahidi, Saadia e Eda, Makiko. “How to narrow Japan’s widening Gender Gap.” World Economic Forum (2020). https://www.weforum.org/agenda/2020/03/international-womens-day-japan-gender-gap/

15“Japan PM Shinzo Abe visits Yasukuni WW2 Shrine.” BBC News (2013). https://www.bbc.com/news/world-asia-25517205

16“Japan’s Yoshihide Suga urges better Ties during first Talks with South Korea’s Moon Jae-in”, South China Morning Post (2020). https://www.scmp.com/news/asia/east-asia/article/3102904/japans-yoshihide-suga-urges-better-ties-during-first-talks