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Rassegna settimanale 4-10 aprile 2022: Sud-est asiatico

4 aprile, Filippine – Mar Cinese Meridionale: i candidati in corsa alle presidenziali chiedono una posizione più dura nei confronti di Pechino

I candidati alla presidenza nelle Filippine vogliono che il Paese assuma una posizione più dura nei confronti di Pechino riguardo alle controversie territoriali nel Mar Cinese Meridionale.

Il vicepresidente Leni Robredo ha affermato nel corso di un dibattito che le Filippine dovrebbero riunire i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) per stabilire un codice di condotta da seguire nei confronti della Cina, facendo leva sulla vittoria del 2016 all’arbitrato dell’Aia che ha respinto la richiesta di Pechino di legittimare le sue rivendicazioni sull’area secondo la suddivisione territoriale prevista dalla cosiddetta linea dei nove tratti. L’ex segretario alla Difesa Norberto Gonzales ha affermato che l’ASEAN dovrebbe passare all’adozione di un sistema di votazione a maggioranza, anziché basarsi sul consenso, poiché alcuni membri dell’Associazione sono schierati con la Cina.

Il sindaco della città di Manila Isko Moreno, nel frattempo, ha detto che chiederà alle Nazioni Unite di riconoscere la sentenza dell’Aia “perché i nostri paesi vicini hanno i loro interessi personali”.

La Cina e l’ASEAN stanno lavorando a un codice di condotta che risolva la questione del tratto di mare conteso da ormai quasi 20 anni.

Nel corso del dibattito elettorale, è stato anche chiesto ai candidati al voto di esprimersi sulla situazione del Myanmar, con Lacson che ha affermato che le Filippine – che hanno sperimentato la legge marziale sotto il defunto dittatore Ferdinand Marcos – dovrebbero unirsi se non addirittura guidare l’ASEAN nella condanna delle violente repressioni portate avanti dalla giunta militare.

Altri argomenti del dibattito hanno incluso i diritti umani, le riforme politiche e il cambiamento climatico.

Fonte: South China Morning Post
Link:https://www.scmp.com/news/asia/southeast-asia/article/3172994/south-china-sea-philippine-presidential-candidates-call

5 aprile, Vietnam – L’Australia esorta il Vietnam a liberare un sostenitore della democrazia attualmente in carcere

Il governo australiano sta esortando il Vietnam a liberare per motivi di salute un australiano di 72 anni nato in Vietnam che sta scontando una pena detentiva di 12 anni per aver sostenuto un gruppo pro-democrazia.

Un tribunale di Ho Chi Minh City ha condannato Chau Van Kham nel 2019 con accuse per terrorismo legate al suo sostegno al gruppo democratico Viet Tan.

Il ministro degli Esteri Marise Payne ha affermato di aver richiesto il rilascio di Kham in una conversazione con il primo ministro vietnamita Phạm Minh Chính ad Hanoi lo scorso anno e in una telefonata con il ministro degli Esteri vietnamita Bùi Thanh Sơn la scorsa settimana, adducendo come motivazione le condizioni di salute e l’età avanzata.

Il veterano dell’esercito sudvietnamita viveva in Australia dall’inizio degli anni ’80. È un fornaio in pensione di Sydney ed era stato arrestato durante una visita in Vietnam nel 2019.

Il quotidiano Tuoi Tre ha riferito che Kham è stato dichiarato colpevole di “terrorismo per essersi opposto all’amministrazione popolare” dopo un processo durato mezza giornata, e che anche altri due vietnamiti, Nguyen Van Vien e Tran Van Quyen, sono stati condannati rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere con la stessa accusa.

Il giornale ha descritto i tre uomini come membri del Viet Tan, che il governo comunista del Vietnam ha definito “terroristi” nel 2016. Stando a quanto riportato, Kham era responsabile della filiale australiana del gruppo ed era stato incaricato di raccogliere fondi per finanziare delle cosiddette “attività reazionarie” in Vietnam.

Viet Tan ha definito le accuse “infondate” e ha affermato che il procedimento legale era una farsa.

Il quotidiano ha riportato anche che Kham era stato arrestato quando ha attraversato il confine dalla Cambogia al Vietnam utilizzando documenti d’identità falsi e che  verrà espulso dopo aver scontato la sua pena detentiva.

Human Rights Watch ha affermato che Kham ha ricevuto “quella che è essenzialmente una condanna a morte” a causa della sua età e delle sue condizioni fisiche. I familiari dicono che i suoi problemi di salute includono glaucoma, ipertensione, colesterolo alto, problemi alla prostata e calcoli renali.

Fonte: AP News
Link: https://apnews.com/article/australia-vietnam-democracy-terrorism-e5cb67e6320bfefb0a3d313be787b71f

6 aprile, Indonesia – L’Indonesia condanna al carcere un membro di un gruppo islamista con l’accusa di militanza

Un tribunale indonesiano ha condannato un membro anziano di un gruppo islamico fuorilegge a tre anni di carcere per “aver aiutato consapevolmente gli attori del terrorismo”.

Il caso che vede imputato Munarman, ex segretario generale e portavoce dell’Islamic Defenders Front (FPI), segue l’arresto dello scorso anno del leader dell’FPI, Rizieq Shihab, per aver diffuso false informazioni sul COVID-19. I seguaci della controversa organizzazione hanno affermato che i casi sono motivati politicamente.

L’FPI è stato dichiarato fuori legge dal governo del presidente Joko Widodo nel 2020, mentre stava guadagnando influenza politica nel paese a maggioranza musulmana.

“(Noi) dichiariamo che l’imputato è stato ritenuto colpevole di aver commesso atti di terrorismo”, ha affermato il giudice che presiede il tribunale di Jakarta in un’audizione trasmessa in streaming dal canale di notizie Kompas TV. Si è scoperto infatti che Munarman ha favorito “attori del terrorismo nascondendo informazioni su atti di terrorismo”, stando a quanto ha aggiunto un altro giudice.

Nel corso degli anni, l’FPI si era guadagnato la reputazione di assaltare bar e bordelli e di confrontarsi con le minoranze religiose tramite metodi violenti. Ma ha anche ricevuto il sostegno di alcuni cittadini a basso reddito per il suo lavoro di beneficenza come la distribuzione di aiuti durante i disastri naturali. Il potere detenuto da questo gruppo è emerso nel 2016, quando Rizieq ha guidato massicce proteste contro Basuki Tjahaja Purnama, conosciuto come Ahok, l’allora governatore di Jakarta, un cristiano che è stato successivamente incarcerato per aver insultato l’Islam.

Quel caso ha messo in luce le profonde spaccature religiose e politiche identitarie in Indonesia, un paese con una lunga storia di pluralismo.

Poco dopo quelle proteste, il presidente Jokowi ha promesso di “colpire” qualsiasi gruppo che minacciasse di distruggere quella tradizione di pluralismo e di Islam moderato.

I pubblici ministeri avevano accusato Munarman, arrestato l’anno scorso, di aver raccolto sostegno per lo Stato islamico e chiesto una condanna a otto anni. Munarman ha negato le accuse.

Fonte: Reuters

Link: https://www.reuters.com/world/asia-pacific/indonesia-jails-senior-member-islamist-group-militancy-charges-2022-04-06/

7 aprile, Indonesia – L’Indonesia sta valutando gli appelli per estromettere la Russia dalla partecipazione al G-20

L’Indonesia sta valutando le richieste degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali di rimuovere la Russia dal Gruppo dei 20 (G20) in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

La nazione del Sud-Est Asiatico, che quest’anno detiene la presidenza del gruppo, ha dichiarato giovedì 7 aprile che rivelerà la sua posizione quando sarà il momento. “Attualmente stiamo esaminando la questione. In effetti, richiede una considerazione molto attenta da parte nostra come presidenza del G20 in merito a come rispondere. Comunicheremo (la nostra posizione) al pubblico quando sarà il momento”, ha affermato il dott. Dedy Permadi, consigliere speciale del ministro delle comunicazioni e dell’informazione, in un briefing online.

Le sue osservazioni erano in risposta alla domanda di un giornalista sulla dichiarazione del segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen secondo cui gli Stati Uniti non parteciperanno alle riunioni del G20 se vi prenderà parte anche la Russia. “Il presidente Biden ha chiarito, e sono certamente d’accordo con lui, che non può essere normale per la Russia continuare normalmente le sue attività nell’ambito delle istituzioni finanziarie”, ha detto Yellen alla Commissione per i servizi finanziari della Camera. “Ha chiesto che la Russia fosse rimossa dal G20 e ho chiarito ai miei colleghi in Indonesia che non parteciperemo alle prossime riunioni se i russi saranno presenti”.

Il Segretario del Dipartimento del Tesoro si riferiva al vertice dei ministri delle finanze del G20 previsto per questo mese e agli incontri dei governatori delle banche centrali, di quelli della Banca mondiale a Washington, nonché alle riunioni dei deputati associati, secondo il Tesoro degli Stati Uniti.

Il vertice finanziario di aprile si terrà sia in presenza che virtualmente e non è al momento ancora chiaro se la Russia vi parteciperà o meno. Mosca ha affermato che il presidente Vladimir Putin intende prendere parte al vertice del G-20 a Bali e la Russia ha ricevuto il sostegno della Cina affinché possa rimanere nel gruppo.

Fonte: The Straits Times
Link: https://www.straitstimes.com/asia/se-asia/indonesia-evaluating-calls-to-remove-russia-from-g-20

8 aprile, Thailandia  – Nonostante la loro vita sia a rischio, la Thailandia rimanda indietro i profughi del Myanmar

Sebbene le leggi internazionali sui rifugiati vietino il ritorno di persone in paesi in cui le loro vite potrebbero essere in pericolo, la Thailandia ha comunque rimandato a casa migliaia di persone fuggite dall’escalation delle violenze da parte dell’esercito birmano, secondo le interviste con i rifugiati, i gruppi di aiuto umanitario e le stesse autorità thailandesi. Ciò ha costretto molti rifugiati del Myanmar a “rimbalzare” tra le due sponde del fiume al confine tra i due paesi, costruendosi ripari di fortuna e piantando tende, mentre i combattimenti nei loro villaggi d’origine continuano ad infuriare intervallati solo da brevi momenti di pace.

“È una sorta di ping-pong”, afferma Sally Thompson, direttrice esecutiva di The Border Consortium, che è stato a lungo il principale fornitore di cibo, alloggio e altro supporto ai rifugiati del Myanmar in Thailandia. “Non si può continuare ad andare avanti e indietro attraverso il confine. Bisogna che si installino da qualche parte dove la situazione sia stabile… E al momento non c’è assolutamente stabilità in Myanmar”.

Dalla sua acquisizione di potere lo scorso anno, l’esercito del Myanmar ha ucciso più di 1.700 persone, ne ha arrestate più di 13.000 e torturato sistematicamente uomini, donne e bambini.

La Thailandia, che non è firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite sui Rifugiati, insiste affinché i rifugiati del Myanmar facciano volontariamente ritorno in patria. Il governo thailandese insiste anche sul fatto di aver rispettato tutte le leggi internazionali sul non respingimento, che impongono che i rifugiati non debbano essere rimpatriati in paesi dove potrebbero essere vittime di torture, punizioni o altri danni alla loro persona. “Con il miglioramento della situazione sul lato birmano del confine, le autorità thailandesi hanno facilitato il ritorno volontario sul lato birmano”, afferma Tanee Sangrat, portavoce del ministero degli Affari esteri thailandese. “La Thailandia rimane impegnata e continuerà a sostenere la sua lunga tradizione umanitaria, compreso il principio di non respingimento, nell’assistere i bisognosi”.

Somchai Kitcharoenrungroj, governatore della provincia thailandese di Tak, dove migliaia di persone provenienti dal Myanmar hanno cercato rifugio, ha detto che molti hanno attraversato illegalmente il confine quando non c’erano combattimenti in corso. “Abbiamo dovuto rimandarli indietro come previsto dalle leggi”, afferma Somchai. “Quando hanno affrontato le minacce e sono venuti qui, non ci siamo mai rifiutati di aiutarli. Abbiamo fornito loro sussistenza per tutti i bisogni primari secondo i principi internazionali del diritti umani”.

Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), più di mezzo milione di persone sono state sfollate all’interno del Myanmar e 48.000 sono fuggite nei paesi vicini da quando le forze armate hanno preso il potere. L’UNHCR afferma che fonti del governo thailandese stimano che circa 17.000 rifugiati del Myanmar abbiano cercato sicurezza in Thailandia, ma solo circa 2.000 vivono attualmente sul lato thailandese del confine, secondo le stime del Thai-Myanmar Border Command Center.

“L’UNHCR continua a sostenere con forza che i rifugiati in fuga da conflitti, violenze generalizzate e persecuzioni in Myanmar non dovrebbero essere rimpatriati con la forza in un luogo in cui le loro vite e le loro libertà potrebbero essere in pericolo”, ha affermato l’agenzia.

La maggior parte di coloro che fuggono dagli scontri tra i militari e i gruppi armati delle minoranze etniche lungo il confine devono guadare i fiumi che dividono i due paesi, con effetti personali e bambini in bilico sulle spalle. Coloro che raggiungono la Thailandia non possono stabilirsi nei campi profughi, vecchi di decenni, che costellano la regione e ospitano le già quasi 90.000 persone che avevano lasciato il Myanmar anni prima del golpe, ma sono invece stati relegati in stalle affollate o tende instabili costruite con teloni e bambù. Nel momento in cui c’è una pausa nei combattimenti, affermano i rifugiati e i gruppi di aiuto, le autorità thailandesi li rimandano indietro, nonostante i militari del Myanmar abbiano preso il controllo dei villaggi, bruciato case e piazzato mine antiuomo.

Nelle regioni di confine del Myanmar, i gruppi armati delle minoranze etniche combattono da decenni il governo centrale nel tentativo di ottenere una maggiore autonomia, con un aumento degli scontri dopo il colpo di stato militare. Nonostante alcune pause, testimoni lungo il confine thailandese affermano che i combattimenti ora sono i peggiori degli ultimi decenni. A volte, gli spari, i bombardamenti e il frastuono degli aerei da combattimento sono udibili fin dalla Thailandia e persino le case sulla sponda thailandese del fiume al confine tremano per le esplosioni.

La maggior parte degli aiuti ai rifugiati è arrivata da gruppi della comunità thailandese locale. Phoe Thingyan, dell’Overseas Irrawaddy Association, afferma che il suo gruppo invia mille scatole di riso ogni mattina e ogni sera ai rifugiati, ma ha dovuto chiedere all’esercito thailandese il permesso di accettare donazioni.

L’esercito thailandese non vuole nemmeno riconoscere l’esistenza dei rifugiati del Myanmar in Thailandia perché solo questo potrebbe turbare i leader militari del Myanmar, afferma Patrick Phongsathorn, specialista in diritti umani del gruppo asiatico Fortify Rights. “I militari thailandesi sono intenti a controllare la situazione, a controllarne la narrazione, perché ovviamente rivestono una parte politica nel gioco, in quello che sta accadendo in Myanmar”, ha affermato Phongsathorn, “Sono molto vicini alle autorità della giunta birmana”.

Somchai, il governatore thailandese, sembrava accennare a questo: “Quando i combattimenti si sono fermati, sono dovuti tornare indietro”, ha detto riferendosi ai rifugiati, “Altrimenti, potrebbe essere una questione delicata per le relazioni tra i due paesi”.

Coloro che rimangono in Thailandia finiscono in un limbo non solo fisico ma anche legale, ritrovandosi vulnerabili allo sfruttamento. Un rifugiato del Myanmar in Thailandia che ha parlato con l’AP ha affermato che le “carte della polizia”, documenti non ufficiali che consentono agli sfollati di evitare l’arresto o la deportazione, vengono acquistate mensilmente tramite intermediari per un costo medio di 350 baht thailandesi ($ 10). Le carte sono contrassegnate da una foto o da un simbolo che mostra che i titolari hanno pagato l’ultima tangente mensile. Senza le carte, i rifugiati rischiano ulteriori molestie o un possibile arresto da parte delle autorità thailandesi.

Tanee, il portavoce degli Affari Esteri, ha affermato che il governo “nega categoricamente” l’esistenza di qualsiasi forma di estorsione o corruzione.

Fonte: AP News
Link: https://apnews.com/article/only-on-ap-united-nations-thailand-myanmar-indonesia-21128b761ef13e31465f0a537a1b0b18

9 aprile, Filippine – Giappone e Filippine cercano un accordo per un’ulteriore cooperazione nel campo della difesa

Il Giappone e le Filippine hanno concordato l’avvio di colloqui per un possibile accordo di difesa che consentirebbe una più stretta cooperazione tra i loro eserciti in mezzo alle tensioni regionali con la Cina e all’invasione russa dell’Ucraina.

Il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi, il ministro della Difesa Nobuo Kishi e i loro omologhi filippini, Teodoro Locsin e Delfin Lorenzana, nel loro primo incontro cosidetto “2+2” in materia di sicurezza, hanno concordato di avviare discussioni formali su un possibile accordo di accesso reciproco, un patto di difesa che consentirebbe alle loro truppe di visitare i rispettivi paesi per l’addestramento e di scambiarsi attrezzature per la difesa per aumentare l’interoperabilità e la cooperazione.

Giappone e Filippine, entrambi alleati degli Stati Uniti, negli ultimi anni hanno intensificato le esercitazioni congiunte e la cooperazione in materia di difesa. Nel 2020, Tokyo e Manila hanno concordato l’esportazione di sistemi radar aerei giapponesi verso le Filippine.

Sabato, i quattro ministri si sono opposti fermamente ad “azioni che potrebbero aumentare le tensioni” nel Mar Cinese Orientale e Meridionale e hanno affermato il loro impegno per un approccio basato sulle regole per risolvere le rivendicazioni contrastanti ai sensi del diritto internazionale. Hanno anche affermato che l’aggressione della Russia in Ucraina colpisce non solo l’Europa ma anche l’Asia secondo l’ordine internazionale, che non accetta alcun cambiamento unilaterale ai confini internazionalmente riconosciuti che sia effettuato con la forza.

L’accordo tra Giappone e Filippine è arrivato un giorno dopo che il presidente cinese Xi Jinping ha detto al presidente filippino uscente Rodrigo Duterte che Pechino e Manila hanno gestito correttamente le loro controversie nel Mar Cinese Meridionale e che “la sicurezza regionale non può essere raggiunta rafforzando le alleanze militari”, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa ufficiale cinese Xinhua.

Fonte : AP News
Link : https://apnews.com/article/russia-ukraine-philippines-japan-europe-china-f640db9ed03defa9e4a3394ad201afdc

10 aprile, Singapore – Una nave da guerra inglese dislocata nella regione dell’Indo-Pacifico attracca a Singapore

Due navi da guerra inglesi, la HMS Tamar e la HMS Spey, sono state dislocate nell’Indo-Pacifico per la prima volta in cinque decenni e la loro missione si concentrerà sulla promozione degli interessi commerciali, diplomatici e umanitari della Gran Bretagna nella regione.

L’HMS Tamar è attraccata a Singapore per manutenzione, di ritorno dall’esercitazione militare “Bersama Shield”, che ha coinvolto anche Australia, Malesia, Nuova Zelanda e Singapore. Il suo ufficiale esecutivo, il tenente comandante Matt Millyard, ha dichiarato che sia la Tamar che la Spey saranno di stanza nell’Indo-Pacifico per almeno i prossimi cinque anni, diventando così la prima presenza navale permanente della Gran Bretagna nella regione da quando gli inglesi si sono ritirati dall’est del Canale di Suez nel 1971.

La nave pattuglia lunga 90 metri ha anche un ruolo nella costruzione dell’immagine della Gran Bretagna nell’era post-Brexit e nello sviluppo delle relazioni estere. Nel 2021, cinque anni dopo che la Gran Bretagna aveva votato per lasciare l’Unione Europea, il governo britannico ha annunciato una nuova politica chiamata “inclinazione Indo-pacifica”, in base alla quale la Gran Bretagna ha cercato di approfondire il coinvolgimento nella regione. Il ruolo principale della nave pattuglia è la sicurezza marittima, stando a quanto afferma Millyard. Prima di arrivare a Singapore, aveva sostenuto la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un embargo contro la Corea del Nord impedendo l’importazione illegale di petrolio raffinato nel paese.

La nave, che si trova nella regione anche per motivi umanitari, sarà dotata di forniture di soccorso in caso di calamità. Predispone infatti di una sua gru da 16 m, che le consente di caricare e scaricare merci in autonomia quando le strutture portuali non sono disponibili.

Sebbene la HMS Tamar non abbia avuto bisogno di utilizzare queste sue dotazioni finora, la sua gemella HMS Spey ha al contrario supportato la nazione insulare di Tonga con l’approvvigionamento di acqua, forniture mediche e sanitarie dopo lo tsunami di gennaio. Sebbene non sia pesantemente armata come le navi da guerra più grandi, l’HMS Tamar è ancora equipaggiato con armi come un cannone da 30 mm e parteciperà ad esercitazioni congiunte con vari paesi del Pacifico.

Sia il Tamar che lo Spey non avranno base in alcun porto specifico, ma rimarranno in mare per un massimo di sei settimane alla volta per poi attraccare in diversi porti del Pacifico per le operazioni di manutenzione.

Fonte: The JakartaPost
Link:https://www.thejakartapost.com/world/2022/04/10/british-warship-deployed-to-indo-pacific-region-docks-in-singapore.html

 

(Featured image source: Flickr brett Vachon)