Food Safety e Giappone

Food Safety e Giappone

Federica Galvani

La sicurezza alimentare (Food Safety) è una questione che sta diventando sempre più importante a livello internazionale per le implicazioni che ha sulla salute pubblica, il commercio internazionale, il turismo e la sicurezza globale.

Secondo la World Health Organization l’accesso a una quantità sufficiente di cibo sicuro e nutriente è fondamentale per sostenere la vita e promuovere la buona salute (World Health Organization – Food safety).
Gli alimenti non sicuri contenenti batteri, virus, parassiti o sostanze chimiche nocive possono causare più di 200 malattie diverse, dalla diarrea al cancro. In tutto il mondo, circa 600 milioni di persone – quasi 1 persona su 10 – si ammalano ogni anno dopo aver mangiato cibo contaminato, provocando 420.000 morti e la perdita di 33 milioni di anni di vita in buona salute (DALYs)[1].

La Food Safety, la nutrizione e la Food Security sono strettamente collegate. Il cibo non sicuro crea un circolo vizioso di malattie e malnutrizione, che colpisce in particolare neonati, bambini piccoli, anziani e malati. Oltre a contribuire alla sicurezza alimentare e nutrizionale, un approvvigionamento alimentare sano e sicuro sostiene anche le economie nazionali, il commercio e il turismo, stimolando lo sviluppo sostenibile.
La globalizzazione del commercio alimentare, la popolazione mondiale in crescita, il cambiamento climatico e i sistemi alimentari in rapida evoluzione hanno un impatto sulla Food Safety.

La Food Safety è, infatti, un tema molto complesso che ha un impatto a livello nazionale, regionale e internazionale.
E’ una questione universale che riguarda tutti i Paesi, sia quelli sviluppati sia quelli in via di sviluppo.
La responsabilità di garantire la food safety, inoltre, è condivisa da vari attori: dai governi alle aziende, fino ai distributori, i commercianti e i consumatori.

Sono tanti i Paesi che, nel modo, importano tanto cibo[2] tuttavia, importare una quantità elevata di cibo non significa necessariamente che un paese sia insicuro dal punto di vista alimentare. In realtà, molti dei maggiori paesi importatori di prodotti alimentari sono anche tra i più autosufficienti e ricchi del mondo. Il cibo viene importato per creare più varietà per il consumatore, non per prevenire la fame nella popolazione.
Tra questi però spicca il Giappone, che è tra i Paesi sviluppati quello che ha la minor autosufficienza alimentare, dovendo importare più del 60% del cibo necessario per sfamare la sua popolazione.

In Paesi fortemente dipendenti dalle importazioni come il Giappone la questione della Food Safety diventa ancor più importante e significativa.

Questo dossier vuole trattare il tema della Food Safety focalizzandosi proprio sul Giappone, un Paese che negli ultimi decenni ha mostrato una forte sensibilità verso questo tema. Vuole anche analizzare le similitudini delle politiche di sicurezza alimentare nipponiche con quelle dell’Unione Europea e la cooperazione, attuale e potenziale, tra queste due aree del mondo per quanto riguarda la questione alimentare.

1. Situazione alimentare in Giappone

Il Giappone è tra i Paesi sviluppati quello che ha la minor autosufficienza alimentare, dovendo importare più del 60% del cibo necessario per sfamare la sua popolazione.

La produzione alimentare interna è drasticamente diminuita passando dal 73% del 1965 al 37% di oggi (dati del Ministero giapponese dell’Agricoltura, Selvicoltura e Pesca). Si calcola che attualmente il Giappone riesca a fornire circa 2.000 Kcal giornaliere per ciascun cittadino, poco più di quello che forniva negli anni ’40 e ’50 (Jussaume, Hisano e Taniguchi, 2008, 216).
I motivi di questo declino sono legati sia alla crisi del settore agricolo sia al cambiamento della dieta e delle abitudini alimentari dei giovani giapponesi. I giovani mangiano sempre più carne e derivati animali, che la produzione locale da sola non è in grado di soddisfare. Se negli anni ’40 il consumo di carne in Giappone era praticamente nullo (meno di 3 grammi al giorno) oggi, soprattutto a causa dell’influenza della dieta Occidentale, la porzione giornaliera media di carne è salita a più di 130 grammi e la fonte di proteine favorita è la carne di maiale (Zaraska, 2016).

L’agricoltura è caratterizzata da coltivazioni su piccola scala e dalla presenza di lavoratori anziani (nel 2022 l’età media degli agricoltori era di 70 anni) (Klein, 2024). Tutto ciò ha reso il Giappone fortemente dipendente dalle importazioni di cibo.

Alcune delle dipendenze del Giappone, come il grano (83% importato), la soia (78%) e gli oli commestibili (97%) sono eccezionalmente distorte.

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La scena culinaria per cui il Giappone è famoso – dai negozietti di ramen nelle strade secondarie, classificati dalla Michelin tra i migliori ristoranti del mondo, ai piatti tempura udon venerati dai tradizionalisti e agli specialisti del pane che trionfano nelle competizioni internazionali di panificazione – dipende quasi interamente dal mondo esterno (Lewis e Inagaki, 2022).

Dal momento in cui le importazioni alimentari sono importanti e in aumento, il governo Giapponese e le autorità hanno dato molta importanza al sistema di controllo del cibo e hanno implementato ispezioni e standard più severi alle frontiere.
Il Giappone è, infatti, un case study interessante perché mostra la situazione dei Paesi che sono molto dipendenti dalle importazioni alimentari dove i casi di contaminazione alimentare possono avere un grave impatto sulla sicurezza alimentare di tali nazioni.

Per i consumatori giapponesi, inoltre, la food safety è una questione molto importante. I consumatori giapponesi desiderano, infatti, cibi di alta qualità, nutrienti, gustosi e sicuri a un prezzo ragionevole.
I consumatori giapponesi sono comunque disposti a pagare di più per cibi prodotti secondo i migliori standard di sicurezza. Più che il prezzo, quindi, la fiducia nella salute e nella sicurezza dei prodotti è il principale fattore trainante dell’acquisto (Yang, Takashino e Fuyuki, 2020).

2. Panoramica storica della Food Safety in Giappone

Il cibo è cultura. Questo è particolarmente vero in un Paese ossessionato dal cibo come il Giappone, dove la cucina nazionale riflette unicamente l’ambiente naturale, la diversità regionale e il sistema di valori di questo Paese resiliente. Il cibo giapponese, specialmente la dieta tradizionale basata su pesce, verdure, cibo fermentato e riso, è definito sia dalle sue proprietà salutari sia dalla sua qualità complessiva (Barrett B. e Notaras M., 2012).

Per i consumatori giapponesi la dieta si è sempre basata su ciò che è buono da mangiare, sia in termini di gusto sia di mantenimento della salute personale (Jussaume, Hisano e Taniguchi, 2008, 215).

Con il passaggio a una dieta occidentale di bistecche e hamburger durante il periodo post bellico la situazione è cambiata e si sono alzati i primi campanelli di allarme per la food safety.

2.1 Il periodo post bellico: le questioni della sicurezza alimentare e la nascita della consapevolezza della food safety

La fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 è stato un periodo molto difficile per il Giappone a causa della mancanza di cibo.

Per descrivere la situazione alimentare del Giappone urbano nel periodo 1945-1947 parole come “vicino alla fame”, “sull’orlo della crisi” e “scongiurando per un pelo la carestia” sono spesso usate (Cwiertka 2014, 96).

E’ durante gli ultimi anni dell’Occupazione, quando la popolazione era ancora in difficoltà economica, che è nata la consapevolezza dei consumatori sugli effetti potenzialmente dannosi degli additivi chimici (Maclachlan 2002, 180).

Anche se c’erano ancora problemi di sicurezza alimentare e insufficienza di cibo, con l’inizio delle importazioni alimentari e il cambio della dieta i difensori dei consumatori hanno adottato una serie di misure per cercare di garantire la sicurezza delle forniture alimentari e per alzare l’attenzione dei consumatori su questa questione.
E’ in questo contesto che il 24 Dicembre 1947 viene emanato il Food Sanitation Act, legge globale in materia di igiene alimentare.

Prima della Seconda Guerra Mondiale l’igiene alimentare era controllata dalla Food, Beverage and other Related Goods Control Law del 1900 (Takahashi, 2009). Secondo questa legge solo i Ministeri coinvolti potevano proibire la produzione, vendita, transazione e utilizzo di cibo, bevande e altri prodotti che potevano danneggiare la salute umana.
La Food Safety era quindi regolata da diversi ordini governativi.
La Food Sanitation Law mette tutti questi diversi regolamenti sotto il nuovo sistema legale. Era una legge necessaria per prevenire l’ampia distribuzione di cibo non sicuro durante il periodo di grave carenza alimentare, per garantire la sicurezza alimentare e quindi proteggere la salute dei cittadini.
Nel 1952, inoltre, sempre all’interno della Food Sanitation Law viene introdotto il sistema di ispezione alimentare. Questo perché, a causa della mancanza di cibo, molti alimenti non sani che hanno causato intossicazioni alimentari sono stati importati e distribuiti nel Paese (Foltran 2015, 19).

2.2 Gli anni ’60 e ’70 e la preoccupazione per la food safety

Con la rapida espansione dell’economia negli anni ’60, la stragrande maggioranza dei consumatori giapponesi non dovette più preoccuparsi della disponibilità di cibo.
Si è passati così dalle preoccupazioni su come procurarsi cibo a sufficienza al modo in cui il cibo veniva prodotto. In questo periodo ebbe inizio la cosiddetta “occidentalizzazione” della dieta giapponese. Tra gli altri cambiamenti si segnala una diminuzione del consumo di riso, soia e pesce e un aumento del consumo di carne rossa, latticini e grano (Jussaume, Hisano e Taniguchi, 2008, 217).
In concomitanza con questi cambiamenti la questione della food safety comincia a diventare la preoccupazione principale dei consumatori.

Tra i fattori che hanno contribuito a questo spostamento di preoccupazione hanno avuto un ruolo di primo piano i casi di intossicazione alimentare ampiamente pubblicizzati. Un esempio famoso è stato l’incidente del latte di Morinaga. Nel 1955, la contaminazione da arsenico degli additivi del latte provocò 12.000 casi di avvelenamento e 138 morti. Questo incidente è stato particolarmente tragico perché molte delle vittime erano neonati e bambini piccoli (ibidem, 218).

Le conseguenze politiche di questo incidente spinsero il governo a rivedere la Food Sanitation Law nel 1957.
Considerando che gli additivi alimentari erano ampiamente usati nel cibo processato, nel 1957 le definizioni di additivi alimentari che devono essere regolate dalla legge sono state chiaramente definite ed è stato stabilito lo standard di etichettatura per alimenti, additivi alimentari, ecc.
In più i casi di intossicazione alimentare hanno incoraggiato in questi anni la nascita di alcuni movimenti che chiedevano la produzione di cibo “sicuro” e “non chimico” e hanno spinto la crescita del movimento di agricoltura biologica (ibidem, 218).

Un secondo fattore che ha contribuito allo spostamento delle preoccupazioni verso la sicurezza alimentare è stata la crescente consapevolezza dei cittadini del degrado ambientale e dei suoi effetti sulla produzione alimentare (Nakajima, 1998).
In questo periodo si verificarono diversi episodi di inquinamento che hanno avuto un impatto diretto sulla salute umana in virtù dei loro effetti sulla sicurezza alimentare. Forse il più famoso di questi casi fu quello di avvelenamento di Minamata (prefettura di Kumamoto, 1953), luogo in cui un’industria produttrice di formaldeide scaricava in mare il mercurio che era servito come catalizzatore del processo chimico. Uno sversamento costante, avvenuto ininterrottamente dal 1932 al 1968. Il metilmercurio si depositò nei fanghi, sul fondo del mare, di cui si nutrono numerosi microrganismi alla base della catena alimentare. La sostanza fu quindi assorbita anche da crostacei e molluschi risalendo la catena alimentare fino alla tavola degli abitanti del luogo, la cui dieta era (ed è) principalmente a base di pesce (Veronesi, 2016).
Un incidente parallelo si è verificato nella prefettura di Niigata nel 1964.
In entrambi i casi, i contaminanti sono stati trasmessi ai residenti locali attraverso il consumo di frutti di mare raccolti localmente. I residenti a basso reddito erano particolarmente vulnerabili, poiché erano forti consumatori di prodotti ittici locali che loro stessi raccoglievano.

Non solo i consumatori stavano diventando sempre più consapevoli dei rischi associati alla contaminazione alimentare: altri eventi stavano portando i consumatori a considerare come la dipendenza dalle importazioni avrebbe potuto influenzare la futura sicurezza alimentare.
Un importante evento simbolico fu il famigerato embargo sulla soia del 1973 quando il governo americano decise temporaneamente di sospendere le esportazioni di quel prodotto per proteggere la fornitura interna (Jussaume, Hisano e Taniguchi, 2008, 218).

In Giappone i semi di soia non sono solo usati come mangime ma sono alla base di piatti tradizionali come tofu, salsa di soia o miso. Così le persone hanno avuto un periodo difficile durante la situazione tesa di mercato e l’embargo americano ha avuto un significato speciale per i giapponesi, scioccandoli enormemente.

Il governo giapponese, infatti, pensava che l’America avrebbe trattato il Giappone con un occhio di riguardo visto che il Giappone era stato un cliente stabile e di lunga data di soia per gli Stati Uniti e che gli Stati Uniti avevano promesso al Giappone che sarebbero stati una fonte affidabile per l’acquisto di cibo.

Nonostante questo, però, l’amministrazione Nixon non diede un trattamento preferenziale al Giappone e, così, il Giappone, preoccupato e irritato, capì cosa voleva dire essere fortemente dipendente dagli USA.

Eventi come questo hanno portato i consumatori giapponesi ad essere più coscienti della relazione tra la food safety e le questioni commerciali.

2.3 Gli anni ’80 e ’90 e la politica di deregolamentazione

Con l’espansione del commercio alimentare internazionale e la ristrutturazione politica del sistema alimentare globale, nel contesto dei regimi commerciali negoziati come il GATT e il WTO, aumenta la credenza che la protezione del consumatore è più tutelata da un meccanismo di libero mercato.

In Giappone si diffondono gli slogan di autoregolamentazione e responsabilità personale e ci si inizia a fidare del mercato e del fatto che possa stabilire degli standard di sicurezza adeguati (Maclachlan 2002, 187).

Duranti gli anni ’80 il governo giapponese inizia a passare una serie di nuove leggi e politiche finalizzate a deregolamentare la produzione alimentare e la distribuzione del cibo nel Paese.

L’interesse nella deregolamentazione rifletteva sia gli sviluppi internazionali nella lavorazione degli alimenti, sia la pressione Americana per la liberalizzazione del mercato agricolo giapponese (ibidem 188).

I trend internazionali e la pressione esterna (外圧, gaiatsu) avevano avuto un impatto sull’uso di additivi alimentari già prima del periodo di deregolamentazione (anni ’80 e ’90). Ad esempio durante gli anni ’70 il Giappone era stato criticato dagli USA per l’utilizzo degli additivi come barriera non tariffaria e il governo aveva risposto a queste pressioni autorizzando alcuni additivi, alcuni molto controversi (ibidem 188).

Con il governo Nakasone (1982-1987), però, la risposta alla pressione commerciale americana diventa più sistematica.

Poco dopo aver preso il potere, infatti, Nakasone autorizzò una rivalutazione dei controlli normativi economici e sociali che presumibilmente funzionavano come barriere alle importazioni. Nel 1982 per monitorare i feedback dei partner commerciali sulle pratiche commerciali nipponiche decise di istituire il difensore civico del commercio estero[3] e, come prevedibile, vennero registrati moltissimi reclami da parte soprattutto degli USA.

Per quanto riguarda gli additivi alimentari gli USA erano particolarmente preoccupati dal fatto che il Giappone non avesse autorizzato 128 additivi sintetici approvati dalla FAO/WHO e usati moltissimo dalle aziende americane.
Nel 1983 Nakasone decise, quindi, di aumentare il numero di additivi sintetici permessi in Giappone mostrando quindi come fosse più importante il commercio internazionale rispetto alla salute pubblica e alla protezione dei consumatori.

Oltre all’allentamento della normativa sugli additivi alimentari, Nakasone semplificò il sistema di ispezione alimentare del governo (ibidem 198).

Nel 1983 sedici leggi riguardanti i controlli di food safety per il cibo importato vennero modificate e, in più, il Food Sanitation Supervisory Office[4], responsabile per la supervisione delle procedure di ispezione del cibo importato, venne abolito e i suoi compiti trasferiti all’ufficio di quarantena. Come risultato di questi cambiamenti amministrativi il numero di ispezioni sul cibo importato calò drasticamente.

2.4 Gli anni 2000 e la crisi della mucca pazza

Gli anni ’80 e ’90 sono quindi anni in cui non viene data molta importanza alla protezione del consumatore e alla salute pubblica.
La situazione, però, cambia alla fine degli anni ’90 – inizio anni 2000. In questo periodo accadono vari scandali e incidenti che hanno influenzato molto la consapevolezza dei consumatori giapponesi riguardo alla sicurezza alimentare e la diffidenza verso i produttori alimentari (Jonker, Ito e Fujishima, 2004, 6).

I quattro incidenti principali sono stati:

  • Nell’Agosto del 2000 una filiale della famosa azienda lattiero-casearia Yukijirushi ha causato il peggior caso di intossicazione alimentare del Giappone. Più di 14.000 persone, infatti, si sono ammalate a causa del latte venduto dall’azienda, latte vecchio e contaminato dal batterio Staphylococcus aureus. L’azienda è stata criticata per non aver richiamato rapidamente il proprio prodotto e il fatto che l’azienda fosse una azienda domestica conosciuta e fidata ha gettato i consumatori giapponesi nel panico.
  • Nel settembre 2001 è stata rilevata la BSE (encefalopatia spongiforme bovina). Dopo il diffondersi dell’epidemia è servito molto tempo per mettere in piedi un sistema per valutare l’infezione da BSE. Le persone hanno valutato insufficienti le investigazioni fatte per capire la causa dello scoppio dell’epidemia. Si sviluppa quindi una insoddisfazione verso il Ministero dell’Agricoltura, Silvicoltura e Pesca (MAFF) e molta ansia per la BSE tra i consumatori giapponesi.
  • Nel 2002 il governo giapponese annuncia che una agenzia del MAFF avrebbe comprato la carne di mucca nazionale immagazzinata da prima dell’epidemia e l’avrebbe distrutta perché non ci sarebbe stato il tempo e il modo di fare dei controlli approfonditi.
    Un produttore di cibo importante e conosciuto commise una frode facendo comprare all’agenzia un vecchio stock di carne importata.
    La Snow Brand Food Company ha affermato che i dipendenti avevano riconfezionato carne bovina proveniente dall’Australia, fingendo che provenisse dal Giappone, per ottenere il risarcimento dal governo (BBC, 2002).
  • Nel 2002 vengono trovati nelle verdure congelate (principalmente spinaci) provenienti dalla Cina residui in eccesso di pesticidi.

Sicuramente tra questi incidenti quello che ha avuto di più un impatto sulla Food Safety e la relativa legislazione in Giappone è stato quello della mucca pazza.

Il modo in cui il governo e l’industria della carne giapponesi hanno affrontato il problema ha danneggiato ulteriormente la fiducia dei consumatori. Ci vollero, infatti, più di due settimane dalla scoperta del primo caso di mucca pazza per annunciarne la scoperta (McClusey, 2005, 81). In più dopo questo primo caso nazionale, l’industria della carne giapponese aveva assicurato i consumatori che la carne bovina locale era sana ma un mese dopo venne scoperto un nuovo caso e così la credibilità dell’industria venne meno.

Per riconquistare la fiducia dei consumatori divenne necessario riformare la legislazione alimentare e l’amministrazione della food safety.

Il Giappone decise di implementare una nuova legge, la Food Safety Basic Law del 2003, e di istituire una autorità che svolgesse una valutazione del rischio indipendente, la Food Safety Commission of Japan.

Decise di basare la politica sulla scienza, di separare il risk assessment (affidato appunto ad autorità indipendenti) dal risk management (in mano, invece, al Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare e al Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca) e di adottare un approccio “food chain” o “from farm to fork” dove tutti gli operatori del settore alimentare sono responsabili della sicurezza del cibo messo sul mercato. Si decise, inoltre, di dare importanza alla trasparenza, alla comunicazione del rischio e al coinvolgimento dei consumatori nel decision making.

Il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare e il Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca avrebbero condiviso la responsabilità della gestione di future crisi alimentari. Con l’obiettivo di difendere la saluta pubblica il governo nel luglio 2003 decise di istituire la Food Safety Commission all’interno dell’ufficio di gabinetto. Il ruolo della commissione è quello di valutare il livello del rischio e di comunicare queste informazioni direttamente al pubblico. La Commissione è formata interamente da esperti in scienze naturali ed è indipendente dai ministeri che si occupano di gestione del rischio e dalla Agenzia per gli Affari dei Consumatori.

La Food Safety diventa così una importante questione politica e un fattore nelle strategie commerciali e questo ha portato a un rafforzamento del controllo pubblico e a un impegno da parte delle aziende per mostrare ai consumatori la sicurezza dei propri prodotti in modo da conquistare nuovamente la loro fiducia.

Per questo nuove leggi e regolamenti sono stati emanati per controllare il cibo at the borders e il mercato alimentare giapponese è diventato più difficile da penetrare proprio per l’alta qualità degli standard richiesta dagli importatori e dai consumatori.

Le principali leggi che regolamentano l’importazione di cibo in Giappone sono:

  • Food Sanitation Law
  • Domestic Animal Infectious Disease Control Law
  • Plant Protection Law

Sono anche stati rafforzati i sistemi di tracciabilità e di etichettatura dei prodotti[5].

2.5 Dopo Fukushima: una nuova dimensione alla questione della food safety

Il disastro di Fukushima del Marzo 2011 ha intensificato in Giappone le preoccupazioni sulla food safety, in particolar modo per quanto riguarda i livelli di radiazione e le malattie di origine alimentare.

In un sondaggio pubblicato dal gabinetto giapponese il 26% della popolazione era più preoccupato per la sicurezza del cibo rispetto a prima del terremoto e la percentuale aumentava più ci si avvicinava alla zona del disastro (Agri-food Canada 2013, 12).

I Giapponesi si fidavano ciecamente della sicurezza dei prodotti alimentari domestici e questa fiducia era il risultato di un processo costante finalizzato a consolidare la consapevolezza della sicurezza alimentare in Giappone.

La chiave di questo successo era legata a un network di distributori di cibo biologico, rivenditori e soprattutto cooperative di consumatori che hanno lavorato insieme per attrarre una grande sezione della società giapponese (Cwierta 2014, 99).

Il movimento per l’agricoltura biologica, che in Giappone ha avuto una grande crescita a partire dagli anni ’70, insieme alle iniziative del governo come la Food Action Nippop Campaign[6] hanno contribuito alla forte convinzione che i prodotti nazionali fossero sicuri.

L’incidente nucleare di Fukushima, con la conseguente possibilità della contaminazione del cibo, ha messo in crisi questa fiducia.

Dopo qualche giorno dall’incidente nucleare il governo ha condotto dei test che hanno rilevato dei livelli di radiazione più alti negli spinaci e nel latte prodotti vicini alle centrali nucleari (Umeda 2013, 12). In quel momento non c’erano norme giuridicamente vincolanti per i livelli di radiazione nel cibo. La Food Sanitation Law, però, aveva una disposizione che proibiva la vendita, l’uso o la fornitura di alimenti che potevano essere velenosi o nocivi per il consumo umano (Articolo 6, paragrafo 2).
Il 17 Marzo 2011 il MHLW ha annunciato i livelli di radioattività considerati pericolosi: 200 Bq/kg di cesio per acqua, latte e prodotti lattiero – caseari e 500 Bq/kg per verdure, grano, carne, pesce e uova.
Di conseguenza i cibi con valori inferiori potevano essere venduti (Godo, 2014).

Questi valori erano stati stabiliti senza una vera e propria valutazione dei possibili effetti sulla salute umana. I primi valori, benché provvisori, furono quindi molto criticati perché erano troppo alti e permettevano la vendita di prodotti con troppa contaminazione.
A seguito di queste critiche il MHLW ha richiesto alla Food Safety Commission di condurre queste valutazioni. La risposta a questa richiesta è stata la pubblicazione il 29 Marzo 2011 di un “riepilogo urgente dei materiali radioattivi” dove veniva dichiarato che i valori stabiliti non erano inappropriati ma che era necessario fare di più per difendere la salute dei consumatori.
La Food Safey Commission successivamente, nell’Ottobre 2011, ha pubblicato un report sulle conseguenze sulla salute della contaminazione da radiazioni nei cibi. In questo report viene indicato sia che la dose massima per il cibo dovrebbe essere di 100 mSv (millisievert) per tutta la vita di una persona sia che i bambini sono più suscettibili alle radiazioni degli adulti.

A seguito di questo report il MHLW ha richiesto al Consiglio per gli affari farmaceutici e l’igiene alimentare (un consiglio presente all’interno di MHLW) di stabilire i nuovi valori regolamentari per i radionuclidi negli alimenti. Nonostante abbia dichiarato che già i primi valori assicurassero già la sicurezza degli alimenti, per rafforzare la tranquillità (安心、anshin) dei consumatori (Berends 2015, 215) ha preferito indicare dei valori più stringenti.

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Fonte immagine: https://www.pref.fukushima.lg.jp/site/portal-it/it01-03.html

Così facendo si è riusciti a assicurare una maggior food safety e a riportare in tempi brevi i livelli di radioattività del cibo di Fukushima a quelli pre-incidente.

3. Le politiche e l’impatto della Food Safety nelle relazioni Unione Europea-Giappone

Nonostante i Paesi dell’Unione Europea (UE) e il Giappone siano geograficamente e culturalmente distanti fra loro, hanno però un approccio molto simile al tema della food safety.
Entrambi negli ultimi decenni hanno dato importanza e mostrato una forte sensibilità verso questa questione. Sia l’Unione Europea sia il Giappone, infatti, hanno sviluppato politiche di sicurezza molto rigide e hanno dato priorità alla difesa dei consumatori, garantendo loro cibo sano e sicuro.

I sistemi di governance e le politiche di food safety dell’UE, poi, sono stati un modello per il Giappone.
I regolamenti dell’UE in materia sono infatti diventati un esempio virtuoso a livello internazionale e l’UE è diventata uno standard setter globale in materia di food safety. Quando il Giappone, dopo la crisi della mucca pazza, si è trovato a ripensare il suo approccio alla food safety ha guardato naturalmente all’Unione Europea.
Per entrambi, infatti, gli anni del cambiamento sono gli anni ’90 e la crisi della mucca pazza ha segnato per entrambi l’anno zero dei sistemi di sicurezza alimentare.
Sia l’Unione Europea sia il Giappone, infatti, devono riconquistare la fiducia dei consumatori e si trovano costretti a riformare la legislazione alimentare e l’amministrazione della food safety.
Implementano, quindi, nuove leggi (l’UE la General Food Law Regulation – regolamento 178/2002; il Giappone la Food Safety Basic Law del 2003) e istituiscono un’autorità che svolga la valutazione del rischio indipendente (la European Food Safety Authority e la Food Safety Commission of Japan).
Decidono di basare le loro politiche sulla scienza, separano il risk assessment (affidato appunto a autorità indipendenti) dal risk management, adottano un approccio “food chain” o “from farm to fork”, danno importanza alla trasparenza, alla comunicazione del rischio e al coinvolgimento dei consumatori nel decisione making.

Sicuramente la scelta di un approccio simile è dovuta sia al fatto che Unione Europea e Giappone condividono valori e principi (in primis quelli di protezione del consumatore e della salute pubblica) sia all’aumento degli scambi commerciali di prodotti alimentari fra UE e Giappone.

L’Unione Europea e il Giappone sono caratterizzati da una tradizione culinaria che si basa su cibi sani e di alta qualità.
Il cibo è un elemento importante dell’identità culturale degli europei e dei giapponesi e, per questo, è trattato seriamente.
Unione Europea e Giappone, inoltre, sono caratterizzati da una lunga storia di politiche agricole legate al protezionismo, alla difesa delle tradizioni agricole e dei prodotti locali.
Basti pensare al numero di indicazioni geografiche(IG) protette sempre più esteso, che mostra l’importanza della preservazione e della promozione dei prodotti tradizionali e di alta qualità provenienti da entrambe le regioni (Mangimi e Alimenti, 2023).

Qui consumatori, ONG e organizzazioni no profit, produttori locali sono tutti accomunati dall’interesse per un cibo sano, sicuro e sostenibile.

La food safety è poi una questione strategica nelle relazioni Giappone – Unione Europea vista l’importanza degli scambi commerciali di prodotti agroalimentari.

L’Unione Europea è infatti uno dei maggiori, se non il maggiore, esportatore di prodotti agroalimentari a livello internazionale e il Giappone è il quinto mercato per importanza.

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Fonte immagine: https://agriculture.ec.europa.eu/news/eu-agri-food-trade-achieved-record-surplus-2023-2024-04-05_en

I principali prodotti esportati dall’UE in Giappone includono carne suina, vini e distillati, sigari e sigarette, formaggi, cioccolato e confetteria, nonché altri prodotti agricoli trasformati. L’UE dal Giappone importa principalmente zuppe e salse, prodotti vegetali e preparati alimentari a base di cereali.

Il Giappone è il terzo Paese al mondo per importazioni di cibo dopo USA e Cina ma è quello che ha meno autosufficienza alimentare. Deve quindi importare una grossa quantità di cibo dall’estero e ha un chiaro interesse nell’avere dei partner commerciali affidabili e delle regole chiare e condivise.

Giappone e Unione Europea hanno rafforzato le loro relazioni commerciali con l’accordo di partenariato economico entrato in vigore il 1o febbraio 2019. Questo accordo, tra le varie cose, elimina le tariffe e altre barriere commerciali e rende più facile per le imprese di entrambe le parti importare ed esportare.
L’agricoltura è uno dei settori di maggior successo e dal 2018 al 2022 si è registrato un +34% di scambi di prodotti agroalimentari.

L’UE già detiene una buona posizione in Giappone come fornitore di prodotti di alta qualità ed è leader di mercato in alcune categorie di alimenti e bevande.

L’importanza del mercato giapponese per l’Unione Europea e viceversa si può evincere anche da alcune iniziative come la campagna “When EU food meets Japanese food – it is the perfect match!”.

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Fonte immagine: https://rea.ec.europa.eu/projects/when-eu-food-meets-japanese-food-it-perfect-match_en

Questa campagna che avrà luogo dal 7 Marzo 2023 al 31 Gennaio 2026 vuole evidenziare i valori comuni tra Unione Europea e Giappone in materia di alimenti e bevande (sicurezza alimentare, qualità e autenticità, sostenibilità) mostrando quanto possa essere facile abbinare i prodotti dell’UE alla cucina e alla cultura giapponesi.

Quando cibo e bevande provenienti dall’Unione Europea incontrano l’apprezzamento giapponese per l’eccellenza, si crea un abbinamento perfetto, poiché i buongustai giapponesi apprezzano nel cibo le stesse qualità dei loro colleghi europei.

I produttori europei aderiscono a normative rigorose, garantendo che i loro prodotti alimentari e bevande rispettino gli standard più elevati e, per questo, i prodotti europei hanno un ottimo potenziale per aumentare la propria quota di mercato in Giappone ed essere incorporati maggiormente della dieta e cucina nipponica.

In conclusione Unione Europea e Giappone non stanno elaborando norme comuni da proporre a livello internazionale, ma il fatto che abbiamo norme simili deve essere presto in considerazione.

Il fatto di avere un approccio simile alla food safety per ora ha sicuramente avvantaggiato il commercio fra UE e Giappone ma nel futuro potrà avere un maggiore impatto a livello internazionale soprattutto se si considera che sono tra i Paesi che importano più cibo al mondo.
Questo rappresenta sicuramente un incentivo per i fornitori che si devono allineare con le loro norme se vogliono esportare in queste zone; inoltre regole e sistemi simili possono essere fonte di ispirazione per altri Paesi, soprattutto quelli vicini.

 

Bibliografia:

Agri-food Canada (2013), Country Profile: consumers in Japan, https://publications.gc.ca/collections/collection_2014/aac-aafc/A74-2-2013-20-eng.pdf

Assmann S. (2010), Food Action Nippon and Slow Food Japan: The Role of Two Citizen Movements in the Rediscovery of Local Foodways, in Farrer J. (edito da), Globalization, Food and Social Identities in the Asia Pacific Region, Tokyo: Sophia University Institute of Comparative Culture, https://www.researchgate.net/publication/262224943_Food_Action_Nippon_and_Slow_Food_Japan_The_Role_of_Two_Citizen_Movements_in_the_Rediscovery_of_Local_Foodways_in_Farrer_James_ed_Globalization_Food_and_Social_Identities_in_the_Asia_Pacific_Region_Pap

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Note:

[1] Il DALYs (Disability Adjusted Life Years) è una unità che è la somma degli anni di vita persi per mortalità prematura (Years of Life Lost -YLLs) e degli anni di vita vissuti in condizioni di salute non ottimale o di disabilità (Years of Life lived with Disability -YLDs).

[2] Gli Stati Uniti, la Cina, la Germania, il Giappone e il Regno Unito sono tra i Paesi che importano più cibo al mondo.
WorldAtlas – Countries Most Dependent On Others For Food, https://www.worldatlas.com/articles/the-countries-importing-the-most-food-in-the-world.html

[3] 市場開放問題苦情処理推進本部、Shijō kaihō mondai kujō shori suishin honbu.

[4] 食品衛生監視事務所、Shokuhin eisei kanshi jimusho.

[5] Gli elementi che devono essere elencati sulle etichette sono:

  • Sui cibi freschi: il nome del prodotto e il Paese di origine;
  • Sui cibi processati: il nome del prodotto, la lista degli ingredienti, il contenuto netto, la data di scadenza, il metodo di conservazione, il Paese di origine e il nome e l’indirizzo dell’importatore.

[6] Food Action Nippon, è un’iniziativa per promuovere il consumo di prodotti agricoli, forestali e ittici nazionali e ha lo scopo di tramandare cibo in abbondanza alle generazioni future.
L’ambizioso obiettivo di Food Action Nippon è quello di aumentare il tasso di autosufficienza alimentare del Giappone dall’attuale 40% al 45% entro il 2015.

(Featured image source: Canva)