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Il caso di Fukushima Dai-ichi: le azioni intraprese per ripristinare la sicurezza alimentare dopo l’incidente nucleare

Fiorella Monzòn

Il cibo è da sempre considerato uno strumento fondamentale per comprendere e studiare a livello antropologico e culturale una società, proprio in virtù dell’importanza che questo ricopre per gli esseri umani, non solo nell’ambito della propria sopravvivenza, ma anche come elemento di unione e condivisione in grado di creare un senso di comunità.

Proprio in considerazione di ciò, la sicurezza alimentare rappresenta un tema sempre più sentito a livello globale, generando discussioni e studi di crescente rilievo e con l’approfondimento di vari aspetti ad essa collegati. In particolare, lo sguardo è sempre più mirato su un utilizzo migliore e più consapevole delle risorse a nostra disposizione, poiché la richiesta alimentare è destinata a crescere rapidamente nei prossimi decenni, tanto è che le previsioni degli studiosi indicano un potenziale incremento della popolazione mondiale di almeno un terzo entro il 2050.

L’annosa questione di come garantire un approvvigionamento alimentare equo e solidale nel mondo si è aggravata ulteriormente negli ultimi anni a causa della pandemia provocata dal Covid-19, del cambiamento climatico sempre più marcato e dei sempre nuovi conflitti armati. L’attuale sistema di produzione alimentare stesso contribuisce in molti casi all’aumento delle emissioni di gas serra, come ad esempio nel caso dell’allevamento del bestiame e del consumo della carne. Alcuni esperti ritengono, dunque, che un’alternativa più ecosostenibile possa essere quella di ricavare le risorse necessarie dall’oceano, portando così a un incremento della pesca e dei prodotti dell’acquicoltura: le previsioni indicano, infatti, che ci sarà un aumento di tali risorse tra i 21 e i 41 milioni di tonnellate entro il 2050, con un aumento previsto tra il 36% e il 76% rispetto alle produzioni attuali.

Dal punto di vista della sicurezza alimentare, tuttavia, l’approvvigionamento tramite le risorse ittiche non è esente da rischi o pericoli, come dimostrato purtroppo dai casi di inquinamento e contaminazione degli organismi marini conseguenti a incidenti provocati dagli esseri umani. Oltre all’impatto ambientale e alla riduzione delle risorse a disposizione, un’ulteriore conseguenza potrebbe essere anche il potenziale cambiamento della percezione dei consumatori nei confronti dei prodotti provenienti dal mare. La diminuzione della fiducia sulla sicurezza alimentare del pescato a causa del rischio percepito di una contaminazione microbica, chimica o radioattiva porterebbe dunque a un calo dei consumi, anche nel caso in cui il potenziale rischio venisse smentito da studi e analisi scientifiche.

L’incidente nucleare di Fukushima e gli effetti sulla sicurezza alimentare

Per meglio comprendere la connessione tra percezione e consumo in tema di sicurezza alimentare, risulta utile analizzare il caso del disastro della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi (“Fukushima numero uno”), di proprietà della TEPCO (Tokyo Electric Power Company), avvenuto a seguito dei danni provocati l’11 marzo 2011 sui reattori attivi da parte di un terremoto di magnitudo momento 9.0 e da uno tsunami con onde alte più di 10 metri.

L’incidente causò, infatti, la fuoriuscita di materiale radioattivo che andò a contaminare l’area, come rilevato dalla stessa International Atomic Energy Agency (IAEA), e portò il governo giapponese a dichiarare lo stato di emergenza nucleare poiché categorizzato come incidente di livello 7 della International Nuclear and radiological Event Scale. Nelle settimane successive al disastro, i rilevamenti mostrarono livelli di radioattività decisamente superiori rispetto ai limiti legalmente consentiti nell’acqua e nei vegetali di Fukushima, come indicato dalle analisi dell’Agenzia sulla Sicurezza Nucleare e Industriale del Giappone (Japanese Nuclear and Industrial Safety Agency o NISA): infatti, si calcola che ingenti quantità di cesio-134, cesio-137 e di iodio-131 furono rilasciati nell’ambiente a causa dell’incidente.

La contaminazione di cesio radioattivo interessò tutta l’area costale circostante, soprattutto nelle acque poco profonde a sud della centrale, e fu identificato negli organismi marini della Prefettura di Fukushima immediatamente dopo l’incidente, ma con un netto calo a partire già dal 2012. Gli studi condotti tra aprile 2011 e ottobre 2012 dimostrano che l’andamento del declino progressivo della radioattività variava a seconda della specie considerata e della distribuzione geografica della concentrazione stessa di cesio radioattivo lungo le coste della Prefettura – ad esempio, i risultati delle analisi mostrarono un calo più graduale per le specie ittiche pelagiche, per invertebrati e alghe di diverso tipo. Gli studi sottolineano, comunque, che la presenza di cesio radioattivo si ridusse nei prodotti ittici, tra cui i pesci demersali, nei cinque anni successivi al disastro nucleare grazie alla diminuzione esponenziale della concentrazione di cesio-137 nei pesci da preda (per esempio, invertebrati bentonici) e nei sedimenti. Già a partire da giugno del 2012 iniziarono delle operazioni di pesca di prova nell’area di Sōma (a 50 km a nord rispetto alla centrale di Fukushima Dai-ichi), le quali si espansero poi nel corso degli anni fino a comprendere tutte le aree ad eccezione di quella nel raggio di 20 km a dicembre del 2015. Queste operazioni permisero di monitorare le condizioni della fauna marina e i livelli di contaminazione, anche grazie alla compilazione di una lista di specie sicure e di una lista con quelle proibite da parte del governo giapponese.

È infatti importante considerare che, se in un primo momento i pericoli dell’esposizione esterna e diretta a causa della fuoriuscita del materiale radioattivo rappresentarono il principale motivo di preoccupazione, successivamente il rischio di contaminazione attraverso l’ingestione di prodotti alimentari radioattivi diventò la principale fonte di ansietà per la popolazione. L’esposizione interna si verifica quando radionuclidi vengono introdotti e assorbiti dal corpo e, dunque, l’ingestione di cibo contaminato diventa la modalità di assunzione di radionuclidi più impattante per le persone. Dopo il disastro di Fukushima Dai-ichi si impose, di conseguenza, la necessità di osservare attentamente i livelli di contaminazione dell’acqua, del latte, delle verdure e del pesce per garantire la sicurezza alimentare per i cittadini.

Proprio a tale scopo, strutture specializzate della Prefettura iniziarono a svolgere studi costanti e approfonditi sui prodotti agricoli e sul pescato. Ad esempio, il Fukushima Agricultural Technology Centre, ossia il Centro Provinciale di Tecnologia Agricola, (Fukushima-ken nōgyō sōgō sentā, 福島県農業総合センター) si occupa della promozione dei prodotti locali della prefettura attraverso il monitoraggio della loro sicurezza e lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate ed ecosostenibili grazie alla ricerca scientifica. Tra le varie sezioni del Centro, la Agriculture Safety Promotion Division (anzen nōgyō suishin-bu, 安全農業推進部) è riservata all’ispezione e analisi delle sostanze chimiche, dei fertilizzanti e dei foraggi, e soprattutto di sostanze radioattive contenute nei prodotti agricoli. Allo stesso modo, il Centro sperimentale ittico di Fukushima (suisan shikenjo, 水産試験場) – situato nella città di Iwaki presso il porto di Onahama, ma dotato di strutture anche nella città di Sōma – ricopre un ruolo fondamentale nel monitorare la sicurezza alimentare di pesci e molluschi e per la ripresa delle attività di pesca nella prefettura. Il Centro si occupa, infatti, anche di rilevare quale sia la densità radioattiva nel pescato, tanto che fu l’istituto stesso a comunicare che dall’aprile 2015 non era stata superata in nessun caso la soglia di 100 Bq/kg fissata a livello nazionale, grazie ai test svolti in collaborazione con il Fukushima Agricultural Technology Centre. Tuttavia, è utile ricordare anche che spesso furono le cooperative di pescatori stesse a stabilire dei sistemi di automonitoraggio (grazie alla distribuzione di macchinari di rilevamento) e a sottoporsi volontariamente ai test quotidiani nei vari mercati ittici sul pesce colto in giornata per rassicurare i consumatori.

La percezione pubblica e lo scarico delle acque reflue: le nuove sfide della sicurezza alimentare

Un problema da contrastare diventò, quindi, la percezione negativa riguardo alla sicurezza dei prodotti alimentari provenienti dalla prefettura, sia a livello nazionale che internazionale, come dimostrato dai divieti di esportazione e limitazioni sul commercio. Per questo motivo, il Giappone e la Prefettura di Fukushima hanno lavorato congiuntamente per ristabilire la fiducia dei consumatori e ripristinare la propria immagine attraverso la dimostrazione scientifica della sicurezza alimentare di questi prodotti. Di conseguenza, Stati Uniti, Israele e Singapore hanno rimosso tutte le proprie restrizioni post-Fukushima sulle importazioni dei prodotti giapponesi nel 2021, e Regno Unito e Indonesia hanno fatto lo stesso nel 2022.

Anche l’Unione Europea, la Norvegia e l’Islanda ad agosto 2023 hanno rimosso le ultime restrizioni per i prodotti alimentari da alcune aree del Giappone – ossia Fukushima, Miyagi, Yamagata, Ibaraki, Gunma, Nīgata, Yamanashi, Nagano, Iwate e Shizuoka – che avevano imposto dopo il disastro del 2011. Ciò significa che al Giappone non sarà più richiesto di effettuare test per la presenza di radionuclidi e fornire certificazioni sulla sicurezza di prodotti ittici e agricoli specifici per le prefetture coinvolte. La decisione dell’UE è stata presa, in particolare, durante il summit del 13 luglio 2023 a Bruxelles con il Giappone, in presenza del Primo Ministro Fumio Kishida, sulla base dei risultati scientifici presentati, ma rilasciando comunque una dichiarazione in cui si richiede al governo giapponese di continuare a monitorare i livelli di radioattività dei prodotti nazionali e di continuare a rendere i risultati pubblici. Questa decisione, inoltre, segue la pubblicazione delle conclusioni dell’IAEA sul piano del Giappone di versare nel mare l’acqua radioattiva trattata, attualmente conservata in serbatoi presso la centrale nucleare di Fukushima, secondo i propri standard di sicurezza internazionali – una scelta che ha creato molte discussioni e polemiche a livello globale.

Il Giappone ha dato inizio a questa operazione decennale il 24 agosto 2023, la quale prevede che attraverso il processo ALPS (Advanced Liquid Processing System) vengano trattati quasi 1,34 milioni di tonnellate di acqua contenuta in circa 1.000 serbatoi per rimuovere quasi ogni elemento radioattivo – ad eccezione del trizio, che ha le stesse proprietà dell’acqua di mare e viene quindi diluito per ridurne la concentrazione – e per lo smaltimento nell’oceano. Questa decisione si è resa necessaria perché i serbatoi presso la centrale erano ormai pieni al 98% della propria capacità e avrebbero esaurito lo spazio entro la metà del 2024. Nel febbraio 2020, il Ministero del Commercio e dell’Industria ha presentato il programma di scarico delle acque reflue trattate con il processo ALPS come la soluzione più sicura, ricevendo l’approvazione scientifica e tecnica da parte dell’ IAEA.

Dopo due anni di lavoro e di analisi da parte di una Task Force composta da propri specialisti ed esperti del nucleare provenienti da undici Paesi, l’Agenzia ha infatti rilasciato un report dove si conclude che l’impatto radiologico dello scarico delle acque trattate sulle persone e sull’ambiente sarebbe “trascurabile”, essendo graduale e controllato in base ai piani elaborati dalla TEPCO. Inoltre, l’Agenzia ha confermato che continuerà a mantenere la propria presenza in loco per monitorare l’andamento dell’operazione negli anni a venire, poiché questo lavoro proseguirà per i prossimi 30-40 anni; TEPCO dovrà invece dichiarare alla fine di ogni anno fiscale il piano di scarico per l’anno successivo, tenendo in considerazione la concentrazione dei livelli di trizio nell’acqua ancora da rilasciare. Nei giorni successivi al primo scarico, il Ministero dell’Ambiente giapponese ha dichiarato che i test sull’acqua di mare vicino alla centrale non hanno rilevato tracce di radioattività: i campioni prelevati in undici punti nell’area mostravano concentrazioni di trizio al di sotto del limite di 7-8 Bq/l.

Nonostante tutto ciò, le preoccupazioni dell’industria ittica locale e della comunità internazionale sulla sicurezza del processo di trattamento sono ancora forti in molti casi e richiedono un’attenzione particolare. Ad esempio, il governo giapponese ha intenzione di stabilire due nuovi fondi (uno di 30 miliardi di yen e uno di 50 miliardi di yen) per aiutare l’industria ittica a gestire eventuali perdite economiche dovute a questa operazione. Proprio per il timore di vedere nuovamente rovinata la reputazione dell’industria dopo gli sforzi fatti dopo il disastro del 2011, circa 150 persone, tra pescatori e cittadini di Fukushima e di prefetture vicine come Miyagi, hanno deciso di intraprendere un’azione legale presso la Corte Distrettuale di Fukushima contro TEPCO per fermare lo scarico delle acque reflue a settembre 2023. Sugie Tanji, membro del segretariato del gruppo di querelanti, ha spiegato che questa politica ignora la forte opposizione delle cooperative di pescatori non solo di Fukushima, ma anche da parte di cooperative in tutto il Paese. I querelanti ritengono che questa scelta rappresenti una minaccia per la salute pubblica dei cittadini e per l’attività commerciale dei pescatori e, per questo motivo, chiedono che l’approvazione dei regolatori nucleari venga annullata e sia posto il divieto sul rilascio.

Forti polemiche e indignazione sono state espresse anche dalle vicine Cina e Corea del Sud, andando così a creare nuove complicazioni nei rapporti diplomatici con queste nazioni. Ad esempio, diversi uffici governativi, aziende commerciali e scuole giapponesi sono stati bombardati di telefonate moleste da parte di numeri cinesi: il solo municipio di Tokyo ha riportato di aver ricevuto 34.300 chiamate tra il 24 e il 31 agosto 2023. In risposta a questa situazione, il viceministro degli Esteri, Masataka Okano, ha contattato l’ambasciatore cinese Wu Jianghao chiedendo di fermare la diffusione di notizie non attendibili e disinformazione che contrastano con le prove scientifiche sulla sicurezza del processo. La reazione più forte da parte della Cina è stata, comunque, l’introduzione di un divieto sull’importazione del pesce da tutto il Giappone, e non solo da alcune aree, a dimostrazione della tensione crescente tra i due Paesi. Già prima dell’inizio del rilascio delle acque reflue della centrale, diversi brand di sushi cinesi avevano dichiarato di non utilizzare ingredienti provenienti dal Giappone o promesso di disfarsene, sottolineando la percezione negativa dell’opinione pubblica cinese riguardo alla questione. Un portavoce del governo giapponese ha però commentato riguardo alla possibilità che il Giappone presenti un reclamo formale presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) in merito a tale divieto.

Si sono così intensificate le tensioni tra Cina e Giappone, tanto che, secondo il professore di diplomazia cinese presso l’Università di Tokyo Shin Kawashima, le possibilità di un incontro bilaterale tra Kishida e il Presidente Xi Jinping si riducono proprio a causa di questa diatriba, nonostante inizialmente il Primo ministro giapponese avesse intenzione di rafforzare in questo modo i rapporti tra le due nazioni. Kawashima ritiene che lo scarico delle acque reflue fornisca alla Cina un pretesto utile per fomentare la divisione e fare pressione sul governo giapponese, rafforzando allo stesso tempo la percezione negativa che l’opinione pubblica giapponese ha del Paese e rendendo più difficile per Kishida l’avvicinarsi alla Cina in questo clima.

La reazione della Corea del Sud appare, invece, più contenuta, nonostante si siano verificate proteste pubbliche contro la decisione del Giappone. A differenza della Cina, il governo sudcoreano non sostiene o approva la scelta di versare le acque della centrale nell’oceano, ma si fida dell’opinione scientifica dell’IAEA a riguardo. Secondo un sondaggio in Corea del Sud, pubblicato il 1° settembre 2023, più del 70% dei partecipanti erano effettivamente contrari o preoccupati riguardo allo scarico delle acque di Fukushima. Nonostante ciò, il presidente Yoon Suk Yeol non sembra intenzionato a sfruttare temi legati al rapporto con il Giappone per ricevere consensi in vista della prossima campagna elettorale, ma piuttosto a promuovere le relazioni internazionali della Corea del Sud. Non è dunque un caso che, durante un evento in occasione di un think tank a Washington ad agosto 2023, l’ambasciatore sudcoreano Cho Hyun-dong abbia parlato dell’intenzione della Corea del Sud di riprendere gli incontri trilaterali con Giappone e Cina dopo una pausa di ben quattro anni.

Conclusioni

Come è possibile osservare nel caso del disastro di Fukushima, la sicurezza alimentare è strettamente connessa alla percezione stessa che le persone hanno dei prodotti e delle risorse alimentari, la quale poi si riflette sulle decisioni dei consumatori e sulle politiche di importazione ed esportazione su larga scala di ciascuna nazione. È anche per questo motivo che la sicurezza alimentare è sempre più spesso oggetto di studi e analisi a livello globale e che la corretta comunicazione dei dati e delle prove scientifiche a disposizione si rivela indispensabile per garantirne la comprensione da parte dell’opinione pubblica.

Ad esempio, molti hanno recentemente espresso dubbi sull’efficacia della comunicazione della TEPCO e del governo giapponese, così come della comunità scientifica internazionale, riguardo allo smaltimento delle acque reflue della centrale di Fukushima, poiché i tentativi di trasmettere all’opinione pubblica e alle altre nazioni le informazioni scientifiche sulla sicurezza del processo di trattamento si sono rivelati insufficienti. Il risultato è stato così il diffondersi di preoccupazioni in molti casi infondate e di disinformazione, andando a ledere la fiducia pubblica sui piani elaborati dal Giappone e sulla sicurezza alimentare dei suoi prodotti, persino al proprio interno.

Di conseguenza, Kishida stesso ha parlato del rilascio delle acque trattate della centrale ai leader del G20 riuniti per un summit a Nuova Delhi lo scorso settembre, citando anche diverse questioni legate all’economia globale e alla sicurezza alimentare. Il Primo ministro ha, infatti, spiegato che i dati tracciati dal primo scarico delle acque sono stati resi pubblici nell’ottica di una sempre maggior trasparenza e che il Giappone continuerà a lavorare con l’IAEA per fornire alla comunità internazionale le prove scientifiche raccolte nel tempo. La sfida del Giappone nei prossimi decenni, quindi, continuerà ad essere quella di rendere la propria comunicazione sempre più efficace e trasparente sulla questione, proprio per via dell’importanza che la sicurezza alimentare dovrà rivestire nella propria agenda politica, sia a livello nazionale sia internazionale.

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(Featured image source: Pexels Greta Hoffman)