Hong Kong vs Pechino: fino a quando si potrà parlare di "un Paese, due sistemi"?

Hong Kong vs Pechino: fino a quando si potrà parlare di “un Paese, due sistemi”?

Irene Ferri

Hong Kong, che si trova a circa 2000 km a sud di Pechino, affacciata sul Mar Cinese meridionale e sul delta del Fiume delle Perle, è dal 1997 una regione amministrativa speciale cinese.

Dopo la fine della prima guerra dell’Oppio (1839-1842), era stata sottratta al controllo dell’allora Impero cinese diventando, nel 1898, una colonia britannica a tutti gli effetti. Gli accordi stipulati da Cina e Regno Unito prevedevano la cessione dei territori di Hong Kong per 99 anni, fino dunque al 1997. Durante il periodo in cui Hong Kong rimase sotto il controllo britannico, i sistemi economico, legislativo, giuridico e scolastico erano modellati su quelli inglesi.

Alla scadenza della cessione, nel 1997, fu firmata una dichiarazione congiunta sino-britannica che stabiliva che tutti i territori di Hong Kong venissero restituiti alla Cina, la quale si sarebbe impegnata a non imporre immediatamente il sistema socialista e non avrebbe modificato il sistema economico e politico che, quindi, continuarono a rifarsi al sistema britannico.

Si venne così a creare cosiddetto principio “un paese, due sistemi” che,  da un lato, vede il rafforzamento dell’unità territoriale della Cina di cui Hong Kong è parte integrante; dall’altro lato, riconosce la peculiarità di Hong Kong di avere un proprio ordinamento giuridico, politico e legislativo.

Dal punto di vista prettamente politico, questa regione amministrativa speciale è soggetta al monopartitismo cinese e non ha la possibilità di indire libere elezioni: il capo del governo, infatti, non è scelto direttamente dalla popolazione, bensì dal Comitato elettorale (un gruppo molto ristretto di persone), su cui il governo cinese esercita un fortissimo controllo.

Il sistema giudiziario, invece, si basa ancora oggi sul common law britannico e la Legge Fondamentale[1] gli garantisce un alto grado di autonomia.

Dal ritorno dei territori di Hong Kong alla Cina ad oggi, i rapporti dei “due sistemi” non sono mai stati completamente pacifici, anche a causa della propaganda cinese e del fatto che il PCC tenta continuamente di rafforzare la sua presenza nell’ex colonia britannica.

Le proteste iniziate nel mese di giugno non sono le prime proteste che coinvolgono gli abitanti di Hong Kong: nel 2014, infatti, durante le celebrazioni per l’anniversario della restituzione della colonia alla Cina, fu organizzata una manifestazione per chiedere una maggiore autonomia. Tale manifestazione è nota, oggi, come l’avvio della “Rivoluzione degli ombrelli”.

Le proteste iniziarono come proteste pacifiche, durante le quali gli abitanti di Hong Kong espressero la loro contrarietà alla riforma del sistema elettorale. Essa prevedeva l’approvazione da parte del Comitato elettorale vicino a Pechino di un massimo di tre candidati alla carica di Capo di governo. La popolazione avrebbe, quindi, dovuto scegliere uno tra i tre candidati proposti dal governo cinese, che in questo modo rafforzava il proprio controllo sul sistema politico dell’ex colonia britannica.

Con il passare del tempo gli abitanti di Hong Kong iniziarono a chiedere sempre maggiore autonomia, libertà e democrazia e le manifestazioni, dapprima pacifiche, si trasformarono in veri e propri scontri con la polizia. I poliziotti lanciarono spray al peperoncino e lacrimogeni contro le folle che, per difendersi, ricorsero all’utilizzo di ombrelli: proprio da qui deriva il nome con cui è nota la rivoluzione.

Nel 2015 il Parlamento di Hong Kong respinse la legge elettorale proposta da Pechino e le manifestazioni cessarono.

Tuttavia, la Cina non ha mai smesso di interferire nell’autonomia di Hong Kong e ciò ha causato l’insorgere di numerose proteste da parte della popolazione dell’ormai ex colonia britannica, in particolare dopo che nel 2017 è stata eletta a Capo dell’esecutivo Carrie Lam, molto vicina al governo di Pechino e al presidente Xi Jinping.

All’inizio del mese di giugno 2019 ci sono state nuove proteste e manifestazioni che, inizialmente, avevano lo scopo di opporsi all’approvazione di un emendamento alla Legge sull’estradizione. Tale emendamento, una volta approvato, avrebbe permesso alla Repubblica popolare cinese di processare gli accusati di crimini gravi, tra cui omicidio e stupro, provenienti da Hong Kong. In questo modo la Cina si sarebbe inserita a tutti gli effetti nel sistema giudiziario della regione e ciò, a lungo andare, avrebbe portato a un’inevitabile perdita dell’autonomia giudiziaria dell’ex colonia britannica.

I primi scontri con la polizia risalgono al 12 giugno: circa 72 persone sono state ferite e 11 arrestate. Queste proteste, i cui protagonisti erano prevalentemente giovani studenti, hanno spinto il Capo dell’esecutivo, Carrie Lam, a sospendere l’approvazione dell’emendamento da parte del Parlamento, nella speranza che questa decisione potesse calmare le folle.

Gli scontri, tuttavia, non si sono fermati: i protestanti temevano che la decisione di Carrie Lam fosse solamente uno stratagemma messo in atto per prendere tempo e ripresentare la proposta di emendamento nel mese di settembre, all’inizio del nuovo anno legislativo.

Da quel momento in poi gli scontri si sono fatti sempre più violenti e non hanno più coinvolto solamente giovani studenti, ma si sono estesi a fasce di età sempre più ampie. I manifestanti si sono armati di ombrelli, occhiali e mascherine per proteggersi dai lacrimogeni e per evitare di essere ripresi a volto scoperto dalle telecamere, coscienti del pericolo di essere riconosciuti e arrestati. Occhiali e mascherine sono così divenuti il simbolo delle manifestazioni.

Queste nuove proteste sono anche un esempio di come i social media abbiano assunto un ruolo ambivalente nel panorama della nuova società cinese: se da un lato essi sono simbolo di un forte controllo esercitato dal governo nei confronti della società, dall’altro lato sono diventati dei veri e propri strumenti a favore della partecipazione pubblica. Le proteste di Hong Kong, infatti, sono spesso organizzate da piccoli gruppi che si coordinano su piattaforme quali Telegram, Facebook e LIHGK ed è proprio questo uno dei motivi per cui le autorità faticano a prevenirle.

Le manifestazioni hanno portato migliaia di persone a scendere in strada per bloccare il traffico stradale, ferroviario e aereo, arrivando a occupare l’aeroporto internazionale di Hong Kong.

Tuttavia, è solo dal mese di settembre che gli scontri tra manifestanti e polizia sono diventati molto violenti, con barricate nel centro della città che hanno obbligato molti esercizi commerciali a chiudere i battenti.

Il 4 settembre è stata definitivamente cancellata la proposta di emendamento della Legge sull’estradizione, che può essere definita “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” e ha dato avvio alle manifestazioni. Tuttavia, gli scontri non si sono fermati e gli attivisti di Hong Kong continuano a portare avanti quattro richieste principali:

  • L’avvio di un’inchiesta indipendente su ciò che è accaduto nel corso delle proteste;
  • La possibilità di ottenere elezioni libere, senza il controllo esercitato da Pechino;
  • L’abbandono del termine “rivolta” per definire le manifestazioni che continuano da giugno a questa parte;
  • L’annullamento dei capi d’accusa nei confronti di coloro che sono stati arrestati.

Gli Hong Kongers bloccano strade e aeroporti; la polizia risponde facendo ricorso a violenza, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma.

I leader delle proteste sono alla ricerca di supporto internazionale contro l’ingerenza della Cina nella semi autonomia di Hong Kong e cercano di attirare l’attenzione dei media internazionali sulla violenza perpetrata dalle forze dell’ordine nei loro confronti. Alcune organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra cui spicca Amnesty International, hanno già più volte chiesto al governo di aprire delle indagini in merito ai metodi utilizzati dalla polizia per contrastare le manifestazioni, tra cui sono inclusi arresti arbitrari e violenze contro gli arrestati.

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L’apice degli scontri, tuttavia, è stato raggiunto il 1 ottobre, in occasione delle celebrazioni per il 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Mentre Pechino festeggiava l’importante anniversario con una delle parate militari più lunghe della storia, coinvolgendo le truppe di ogni reparto dell’esercito, a Hong Kong le autorità hanno negato il permesso di organizzare manifestazioni. Ciò nonostante, gli attivisti dell’ex colonia britannica non si sono fatti intimorire e hanno invaso le strade della città.

Per la prima volta dall’inizio delle proteste, la polizia ha fatto ricorso all’uso di proiettili veri, sparando a un manifestante di soli 18 anni e, in molte zone della città, le manifestazioni si sono trasformate in veri e propri scontri con episodi di guerriglia urbana. Il bilancio di quanto accaduto il 1 ottobre è decisamente negativo: un giovane ragazzo in bilico tra la vita e la morte, numerosi arresti di giovani tra i 17 e i 25 anni.

Mentre Hong Kong precipitava nel caos, a Pechino si è tenuto l’evento più importante dell’anno per la Repubblica Popolare Cinese che è stato l’occasione, per Xi Jinping, di sottolineare la posizione del Paese nei confronti di importanti e attuali questioni, tra cui spiccano la guerra commerciale sino-americana e la necessità di “continuare a lottare per la completa riunificazione della madrepatria”. Il presidente cinese sembra, quindi, essere convinto che quanto sta accadendo a Hong Kong non possa alterare il principio “un paese, due sistemi” e che nessuna forza potrà impedire alla Cina di fare passi indietro: “Nulla potrà mai scuotere lo status della Cina o impedire al popolo cinese di marciare in avanti” (Xi Jinping, 1/10/19).

Quanto sta accadendo a Hong Kong ha ormai attirato l’attenzione di media e istituzioni internazionali, molti dei quali si sono apertamente schierati dalla parte dei manifestanti, degli “Hong Kongers”.

Il governo cinese è preoccupato per questa “pubblicità negativa”, motivo per cui ha deciso di acquistare le pagine di alcuni giornali internazionali, tra cui Sole 24 Ore, Financial Times, giornali inglesi, tedeschi, canadesi, australiani. L’inserzione pubblicitaria, che occupa un’intera pagina, mira a rassicurare la comunità internazionale e sottolinea che il governo di Hong Kong ha pieno controllo della situazione, che riconosce essere estremamente complessa, e che si sta impegnando per risolverla in modo pacifico e, soprattutto, in autonomia. Emerge, quindi, la richiesta di lasciare che la Cina “lavi i panni sporchi in casa propria”, senza l’intervento internazionale.

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Dopo quanto accaduto il 1 ottobre, le autorità di Hong Kong hanno approvato la norma “anti mascherine”, attraverso lo strumento delle leggi di emergenza. Tuttavia, questo provvedimento non sembra aver raggiunto il suo scopo, ovvero scoraggiare la partecipazione alle manifestazioni: continuano le proteste con mascherine e ombrelli, ormai divenute i simboli del conflitto tra Hong Kong e Pechino.

Mentre a livello internazionale cresce il numero di coloro che si schierano a favore dei manifestanti e che condannano l’atteggiamento del governo cinese, nell’ex colonia britannica gli scontri si fanno sempre più violenti, la situazione economica e sociale della regione peggiora sempre di più e non è chiaro come e quando questo conflitto terminerà. Hong Kong diventerà, come molti sostengono, la nuova Tiananmen?

 

Sitografia:

Amnesty International: torture e abusi da parte della polizia di Hong Kong, in Sicurezza Internazionale, 20 settembre 2019 (https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/09/20/amnesty-international-torture-abusi-parte-della-polizia-hong-kong/ )

Hong Kong tries its best to spoil China’s big anniversary, in The Economist, 1 ottobre 2019 (https://www.economist.com/china/2019/10/01/hong-kong-tries-its-best-to-spoil-chinas-big-anniversary )

Hong Kong si prepara all’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare cinese, in Sicurezza Internazionale, 27 settembre 2019 (https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/09/27/hong-kong-si-prepara-allanniversario-della-fondazione-della-repubblica-popolare-cinese/ )

Hong Kong sconvolta dalle proteste in occasione dell’anniversario cinese, in Sicurezza Internazionale, 1 ottobre 2019 (https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/10/01/hong-kong-sconvolta-dalle-proteste-occasione-dellanniversario-cinese/ )

La crisi di Hong Kong, spiegata bene, in Il Post, 17 agosto 2019 (https://www.ilpost.it/2019/08/17/crisi-hong-kong-spiegata/ )

 

[1] Costituzione di Hong Kong, basata sul common law britannico: stabilisce che la regione goda di un alto grado di autonomia in tutti gli aspetti, tranne che nelle relazioni estere e nella difesa militare

 

(Featured image source: Flickr Frado76)