La Cina e la creazione di un proprio sistema di Welfare che mira all’universalismo

La Cina e la creazione di un proprio sistema di Welfare che mira all’universalismo

– Stefania de Gioia –

INTRODUZIONE

Il Welfare in Cina presenta caratteristiche ben precise che, nel tempo, hanno portato gli studiosi a definirlo un modello a se stante rispetto a quello conosciuto come “Welfare dell’Asia orientale”. Nonostante la volontà del governo di garantire un accesso universale e paritario al sistema di Welfare, ancora oggi gioca un ruolo fondamentale lo status sociale dei cittadini.

MODELLO DI WELFARE DELL’ASIA ORIENTALE

Nonostante le numerose caratteristiche condivise, ogni Stato appartenente alla regione dell’Asia orientale ha una propria storia che lo distingue dagli altri[1]. Allo stesso modo, sebbene i sistemi di Welfare utilizzati in queste zone condividano alcuni elementi chiave, non possono essere definiti come regimi omogenei. In questo senso, sarebbe riduttivo e semplicistico parlare di un unico sistema di Welfare dell’Asia orientale. Si possono piuttosto definire tre diverse categorie di Welfare: 1) facilitative, come nel caso di Hong Kong; 2) development-universalist, nel caso del Giappone; 3) developmental-particularist, per quanto riguarda ad esempio Singapore (Holliday, 2000). Da questa classificazione sembrerebbe essere esclusa la Cina, la quale sta sviluppando un ulteriore sistema di Welfare. Nonostante ciò, negli ultimi decenni, si è iniziato a parlare di “sistema di quarto tipo”, per identificare il “Regime di Welfare dell’Asia orientale”. Due sono le chiavi di lettura che cercano di individuare le c.d. “caratteristiche base” di tale Regime: da una parte quella politico-economica, secondo cui il modello asiatico orientale è di tipo “produttivista” e, per certi versi, “basato sullo sviluppo” (development)[2]; e, dall’altra parte, quella più di tipo “confuciano”, basata sui c.d. valori “family-oriented”[3].

REGIME DI WELFARE CINESE

Nel caso cinese, quando si parla di regime di Welfare è fondamentale tenere a mente alcuni punti chiave:

  1. All’interno della letteratura tradizionale di questo Paese sembrerebbe non essere mai utilizzato il termine “Social Welfare”, quanto piuttosto l’espressione “shehui fuli” (社会福利)[4], che nell’usanza comune ha assunto connotazione di “assistenza sociale” (Leung e Nann, 1995);
  2. La Repubblica Popolare Cinese (RPC) adotta, in materia di Welfare, l’approccio c.d. “one country, separate systems”, letteralmente “un Paese, sistemi separati”.[5];
  3. L’accesso ai servizi di Welfare è garantito secondo quattro criteri: luogo di residenza, stato occupazionale, stato di famiglia e caratteristiche personali.

L’idea di provvedere a sistemi di Welfare differenti e di un accesso selettivo ha portato, a definire diversi target di beneficiari, all’interno della società cinese. Nel Libro Bianco in materia di Sviluppo del Welfare Sociale, rilasciato dal Ministero degli affari civili nel 1992 (citato in Wong, 1994, pp.310-311) ad esempio, vengono individuate due categorie di destinatari: gli zui ke ai (最可爱, letteralmente “i più amati”)[6] e gli zui ke lian (最可怜, letteralmente “i più miserabili”)[7].

In generale, si potrebbe affermare che in Cina, i fattori maggiormente incidenti sui diritti sociali siano il lavoro e la residenza dei cittadini, così come l’appartenenza alla famiglia: la questione dello status sociale è l’elemento principe dell’accesso al Welfare.

  • SISTEMA DI REGISTRAZIONE DI RESIDENZA CINESE – HUKOU

Alla base dell’accesso al Welfare, dunque, sembrerebbe esserci lo hukou (户口), ovvero il sistema di certificazione e di registrazione di residenza cinese. Un sistema che non solo classifica ogni individuo fin dalla nascita, ma che regola anche i diritti esercitabili dai singoli cittadini e, quindi, anche l’accesso all’educazione, alla sanità e alla pensione pubblica (Facchini, Lu, Mayda, Zhou, 2019). Secondo tale sistema, i diritti sociali vengono riconosciuti ai singoli esclusivamente nel luogo di residenza, spingendo così la popolazione a rimanere nella propria area di origine (Paiocchi, 2021). In questo modo, l’hukou crea una barriera all’interno del Paese, creando così una forte disuguaglianza nella popolazione. Come affermato da Wang Fei-ling (2005, citato da Colarizi, 2018), a partire dal 1958, lo hukou diviene a tutti gli effetti uno strumento chiave per controllare e, quindi, impedire l’afflusso delle persone tra le città e le campagne[8]. In questo modo, lo Stato riesce anche a contenere la spesa pubblica dedicata al Welfare.

  • UNITA’ DI LAVORO SOCIALISTA CINESE – DANWEI

Stando all’Art, 42 della Costituzione cinese, la RPC segue una politica universale di occupazione permanente che mira alla piena occupazione dei cittadini urbani adulti e abili al lavoro. A partire dagli anni Cinquanta, ciò è stato garantito grazie alla costituzione del sistema pubblico danwei (单位). Si tratta di una specifica forma di organizzazione sociale della popolazione urbana, ovvero un potente strumento capace di influenzare tutti gli aspetti della vita di queste persone nella Cina pre-riforma. Il danwei, infatti, soprattutto in quel periodo, era il principale fornitore di Welfare per il lavoratore urbano e la sua famiglia; ma allo stesso tempo privilegiava una categoria specifica di lavoratori: lo status occupazionale di lavoratore urbano era fondamentale per accedere ai servizi di Welfare nella Cina pre-riforma.

Nonostante in seguito alle riforme economiche e di apertura avute nel Paese negli anni Ottanta, molti danwei sono stati costretti a chiudere o a privatizzarsi, nella Cina contemporanea il loro ruolo continua ancora a essere rilevante.

  • CONCETTO DI FAMIGLIA NEL SISTEMA DI WELFARE IN CINA

Sebbene il Welfare sviluppato in Cina si differenzi da quello dell’Asia orientale, entrambi condividono alcuni aspetti, come ad esempio quelli derivanti dal confucianesimo, tra cui i c.d. valori family-oriented: la famiglia (jia, 家) è l’unità base della società[9]. L’impostazione della famiglia tradizionale riproduce di fatto, a livello micro, l’impianto dello Stato cinese[10] (Hämäläinen et al., 2019); mentre la gestione familiare tradizionale si pone come fondamento della governance del Paese e come avente ruolo chiave nell’ordine sociale cinese (Hämäläinen et al., 2019): famiglie – e villaggi – sono i primi responsabili dell’erogazione dei servizi di Welfare, ovvero del supporto sociale e di cura nei confronti dei soggetti che vertono in condizioni di bisogno (Hämäläinen et al., 2019). In questo senso, si può affermare come in Cina la filosofia del confucianesimo enfatizzi le attività informali di sollievo e supporto, e di come le politiche e le pratiche del Welfare sociale, siano state influenzate da tali ideali (Yi, 2014).

Con il periodo delle riforme economiche e il contestuale processo di modernizzazione, la famiglia inizia a perdere la detenzione del monopolio sull’erogazione di servizi per la persona, a favore dello sviluppo di nuovi settori di Welfare: da una parte si alleggerisce la famiglia dalle responsabilità di cura; dall’altra viene reso possibile un maggior controllo circa l’adeguatezza e la qualità dell’intervento offerto rispetto al bisogno presentato. La scelta di far riferimento a nuovi soggetti erogatori di servizi di Welfare ha, quindi, riscontri positivi in ottica di attenuamento dei compiti di cura.

Nonostante ciò, nel sistema di Welfare cinese sono ancora presenti retaggi dei valori tradizionali, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della famiglia, che continua a essere parte integrante dell’ideologia cinese (Hämäläinen et al., 2019; Qi, 2014). Secondo Qi (2015), si tratta di un’eredità che persiste, sia in mancanza di previdenza da parte dello Stato, sia perché la popolazione preferisce fare affidamento alla rete informale piuttosto che a quella formale.

  • RIVOLUZIONE ECONOMICA E POLITICHE SOCIALI

Dopo la morte di Mao Zedong (1979) e sotto il comando di Deng Xiaoping, la Cina ha attuato una serie di riforme strutturali con l’obiettivo di conciliare gli scopi politici comunisti con le esigenze economiche di libero mercato, tenendo conto soprattutto delle condizioni socioeconomiche cinesi. Nonostante ciò, a partire dal 1979, la Cina ha visto l’emergere di sempre maggiori problematiche sociali. Una politica simile ha portato alla creazione di un forte squilibrio tra la velocità della crescita economica e le esigenze dello sviluppo sociale: le famiglie già in precedenza ricche si sono arricchite ulteriormente e una discreta fetta della popolazione ha raggiunto un buon tenore di vita; allo stesso tempo, però, parte della nazione vive ancora in condizioni di povertà assoluta. In questo senso, in Cina, hanno iniziato ad affiorare nuove problematiche sociali, che potremmo definire, tipiche dei Paesi occidentali economicamente sviluppati, come ad esempio: disoccupazione, migrazione interna di massa, iniquità sociale, left behind children,[11] etc. (Ting e Zhang, 2012).

Ciò che emerge in questo periodo è un cambiamento nella struttura del Welfare cinese e nella fornitura dei servizi per la popolazione (Hammond, 2017): a partire da questo momento, non si fa più riferimento a un regime prettamente centrato sull’unità di lavoro. L’avvento delle riforme economiche ha portato, infatti, al venir meno della natura globale dei benefici aziendali e all’erosione della sicurezza personale (Wong, 1994). Se nelle aree urbane il venir meno del danwei ha svincolato le imprese dalla responsabilità di garanti di Welfare; nelle aree rurali, l’abolizione delle strutture collettive ha portato alla privatizzazione della protezione sociale e medica. Ciò ha portato all’impossibilità di accesso ai servizi sociali e sanitari di base per gran parte della popolazione rurale (UNRISD, 2013).

Questi cambiamenti hanno portato il governo di Hu Jintao e Wen Jiabao a varare le prime riforme in materia di Welfare,[12] con l’obiettivo principale di mantenere l’ordine e la coesione sociale all’interno del Paese e garantire un adeguato livello di protezione sociale. Viene quindi identificato nell’harmonious society il modello di politica sociale più idoneo e nella “dottrina dello sviluppo scientifico” la condizione indispensabile per la realizzazione della “società armoniosa” (Fan, 2006; Onnis, 2018). Quello proposto da Jintao è quindi un “modello di sviluppo diverso che abbia come essenza una visione scientifica, che metta al centro gli interessi delle persone (yirenweiben 以人为本) e che sia globale (quanmian 全面), coordinato (xietiao 协调) e sostenibile (ke chixu 可持续)” (Fietta, 2015, p. 22).

La scelta, per certi versi rivoluzionaria, propone uno sviluppo programmato basato sul metodo, sulla sistematicità e sulla globalità (Marina, 2007): non si rivolge più esclusivamente alla popolazione urbana, bensì all’intera cittadinanza cinese, compresa quella rurale. In questo senso, il governo si impegna a riconoscere i diritti e le esigenze della fetta di popolazione più vulnerabile: il target di beneficiari non è più limitato ai c.d. three nos, ma a soggetti svantaggiati in senso più ampio, ovvero anziani, orfani, disabili, etc.

Benché il governo stia cercando di favorire sia l’equità tra i cittadini sia l’esercizio dei propri diritti, le disposizioni attualmente in vigore nel Paese in materia di Welfare ancora non sono riuscite a colmare alcune lacune, che Ringen e Ngok nel 2013 hanno raggruppato in cinque punti:

  1. L’accesso ai servizi di Welfare non è ancora del tutto universale;
  2. L’obbligo di assicurazione sociale e la partecipazione ai costi da parte dello stato non copre tutta la popolazione lavoratrice;
  3. L’assistenza sociale di base non riesce ancora a garantire un livello di sostegno adeguato al superamento della povertà;
  4. Le disposizioni del governo centrale possono essere surclassate da quelle del governo locale;[13]
  5. In un Paese diversificato e complesso come la Cina, l’erogazione di servizi di Welfare risulta essere difficile anche perché i soggetti deputati a tale compito, ovvero agenzie del governo locale e social worker, spesso non sono accuratamente formati.

CONCLUSIONI

In conclusione, come affermato da Hämäläinen et al. (2019), il sistema di Welfare contemporaneo presente in Cina sembrerebbe essere caratterizzato da un mix di caratteristiche appartenenti ai valori della tradizione confuciana, al socialismo politico e al liberalismo economico. Inoltre, si può affermare che, nonostante le autorità cinesi abbiano iniziato un processo di copertura universale per l’accesso e la fruizione dei servizi di Welfare, attraverso anche l’aumento significativo della spesa sociale; in realtà, si tratta di un sistema tutt’oggi ancorato alla tradizione produttivistica (Art. 14, comma 1 e 3, Cost. RPC) e familistica tipica dell’Asia orientale (Mok e Qian, 2019). Infatti, secondo alcuni studiosi (Leung e Xu, 2015; Mok et al. 2017; Qian e Mok, 2016) il governo locale continua a dare priorità alla crescita economica invece che al miglioramento delle condizioni di vita, e quindi di benessere, della popolazione.

NOTE

[1] Se da una parte condividono i principi di previdenza sociale, il ruolo dello Stato, il graduale aumento delle coperture dei benefici e una forte dipendenza dalle famiglie (Park, 2007); dall’altra si differenziano in termini di: dimensione della popolazione, lingua, religione, sistema politico ed economico (Bunka Sha, 2015), esperienze di colonialismo vissute nel tempo dai vari Paesi, livello di democrazia presente (o meno) in tali contesti, etc.

[2] In generale, viene definito “produttivista” il regime dei Paesi economicamente forti. Tale chiave di lettura pone enfasi sul gap esistente tra la politica economica e sociale, e quindi vede la crescita economica come obiettivo primario da raggiungere: i programmi di Welfare vengono quindi sviluppati in ottica strategica. Il fine è quello di raggiungere, da una parte, gli obiettivi di sviluppo economico del Paese, mentre dall’altra, ottenere il riconoscimento e la legittimazione a livello politico. Ciò che accomuna questi Paesi, dunque, è l’uso della sicurezza sociale come strumento per rivolgersi a gruppi di interesse politicamente importanti (Tang, 2000).

[3] Si fa quindi riferimento a elementi tipici del regime confuciano, ovvero l’individuazione della famiglia come nucleo di Welfare e come unità di base nel garantire servizi sociali. Secondo la dottrina di Confucio (e di Mencio), l’obiettivo principale è quello di onorare i familiari e di dare il proprio contributo all’interno della società ovvero, è dovere morale fornire servizi di Welfare in ottica gruppale e di comunità (network connection). Molta enfasi viene quindi posta sull’idea di solidarietà familiare e sul concetto di responsabilità collettiva (Esping Andersen, 1996).

[4] Nel vocabolario cinese, il termine “shehui” può essere letteralmente tradotto in “società”; mentre “fuli” indica i concetti di “felicità” e “benefici”. Letteralmente “felicità e benefici forniti dalla società”.

[5] Per capire questo sistema è necessario tenere a mente che quando si parla di Cina, sarebbe opportuno riferirsi a essa come “Cine”. Si tratta di una lettura che è frutto dei numerosi cambiamenti economici, politici e sociali avuti negli ultimi anni in Cina, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta. Inoltre, la Cina è uno Stato estremamente eterogeneo a livello geografico e amministrativo; ma anche a livello etnico, linguistico e religioso.

[6] Questa categoria fa riferimento ai maggiori beneficiari del sistema, come ad esempio i soldati (es. in congedo o deceduti), ovvero coloro che si sono sacrificati per la patria.

[7] Rientrano in questo gruppo i c.d. “three nos” nelle zone urbane, e i c.d. “five guarantee households” in quelle rurali. Si tratta di persone che non hanno famiglia, abilità lavorative e mezzi di sussistenza (Wong, 1994), come i disabili e gli anziani. sottolineano che per le famiglie rurali più povere, in Cina, era stato istituito il c.d. “sistema di cinque garanzie” (five guarantee households). Questo era stato fondato dai collettivi rurali per soddisfare quelli che venivano considerati i bisogni fondamentali.

[8] Con tale Sistema, il governo mira a mantenere una netta distinzione tra la popolazione della Cina rurale e quella della Cina urbana. Nonostante l’allentamento della rigidità del sistema hukou degli ultimi anni, i cittadini migranti cinesi provenienti dalle aree rurali continuano ad essere relegati in uno status di “seconda classe” (Gautreaux, 2013), ovvero di popolazione di poca importanza e dunque marginalizzata (Keung Wong, Li e Song, 2007).

[9] L’importanza conferita alla famiglia è riscontrabile anche all’interno della Costituzione cinese, all’Art. 49, comma 3, il quale prevede che “i genitori hanno il dovere di allevare ed educare i figli minorenni; i figli che hanno raggiunto la maggiore età hanno il dovere di sostenere e assistere i loro genitori”.

[10]Tre erano le relazioni sociali di base riprodotte: 1) la relazione matrimoniale era vista come il prototipo della divisione sociale del lavoro, dove il marito rappresentava il capo, mentre la moglie svolgeva compiti di assistenza e di cura della casa. 2) la relazione tra genitori e figli veniva vista come riproduzione della divisione in classi sociali; 3) la relazione tra fratelli, invece, faceva riferimento alle relazioni con amici e coetanei (Ma, 1999, citato in Hämäläinen et al., 2019).

[11] Con il termine left behind children si fa riferimento ai figli dei lavoratori-migranti, che vengono lasciati nei villaggi rurali mentre i genitori si trasferiscono in città per cercare lavoro.

[12]Agli inizi degli anni Duemila, il governo centrale ha varato una serie di leggi e Libri Bianchi (White Paper) in materia di social Welfare e popolazione rurale (Leung, 2015). Ad esempio, nel 2001 è stato ratificato il Libro Bianco sul programma di riduzione della povertà orientato allo sviluppo per la Cina rurale (White Paper on the Development-Oriented Poverty Reduction Programme for Rural China). Tra il 2002 e il 2003 si è dato il via alla sperimentazione dell’Assicurazione pensionistica e medica rurale; mentre dal 2007, vi è l’obbligo di istruzione (gratuita) per tutti i bambini rurali, ad eccezione di quelli migranti. Sempre nel 2007, il governo si è impegnato ad estendere il Livello Minimo Garantito di Sussistenza, non solo nelle città, ma anche nelle campagne cinesi. Tale sistema era già stato introdotto, esclusivamente per la Cina urbana, negli anni Novanta.

[13] Dal 2004 è stato messo in atto un approccio decentralizzato per lo sviluppo del Welfare che ha portato a forti disparità regionali (Mok e Qian, 2019) Infatti, con le riforme degli anni Duemila, il potere decisionale è passato nelle mani delle autorità locali, le quali possono ignorare le disposizioni nazionali. Dunque, i governi locali hanno ampi margini di discrezione: si potrebbe parlare di Welfare Regionalism.

 

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