Rassegna settimanale 12 - 18 febbraio: Sud est asiatico

Rassegna settimanale 12 – 18 febbraio: Sud est asiatico

12 febbraio, ASEAN – Come la crisi di Marawi ha influenzato la sicurezza della regione

Sono numerosi i paesi del sud est asiatico che durante la loro storia hanno dovuto far fronte al terrorismo islamico. Tuttavia, la cooperazione sulle questioni di sicurezza è sempre stata molto complicata.

Dopo una serie di attacchi negli anni 2000, portati avanti dai gruppi islamisti Jemaah Islamiyah in Indonesia ed Abu Sayyaf nel sud delle Filippine, il blocco ASEAN decise di impegnarsi ad eradicare il problema. Queste dichiarazioni ben intenzionate, volte a promuovere una struttura di contro-terrorismo multilaterale, hanno avuto come risultato una serie di accordi e protocolli non vincolanti.

L’assedio della città di Marawi durante lo scorso anno ha totalmente cambiato la situazione. Centinaia di militanti hanno cercato di prendere con la forza una città di 200.000 abitanti e farne il centro di una nuova provincia dello Stato Islamico. La vicenda di Marawi ha riportato al centro delle attenzioni una vecchia minaccia e ha costretto le autorità a prendere delle decisioni.

Il sud est asiatico è stato afflitto da molti anni dalla presenza di gruppi terroristici locali, regionali e transnazionali. A Mindanao, l’isola dove si trova Marawi, è in corso sin dagli anni 1970 un conflitto contro una milizia islamista. Il conflitto riguardava inizialmente l’autonomia della regione, prima che i vari gruppi si trasformassero gradualmente in movimenti radicali come Abu Sayyaf e Bandsamoro Islamic Freedom Fighters (BIFF). Tra gli anni 1990 e 2000, l’Indonesia ha sofferto una serie attacchi da parte di militanti del Jemaah Islamiyah (JI). I membri del JI sono nati e si radicalizzati all’interno del paese e hanno potuto godere del supporto delle cellule di Al-Qaeda. La presenza di questi gruppi ha creato importanti preoccupazioni in Malesia e Singapore.

I gruppi terroristici sono stati capaci di impiantarsi nel sud est asiatico, traendo vantaggio dalle frontiere marittime ed intere aree poco sorvegliate, per costruirci campi e basi per formare i propri soldati e pianificare gli attacchi. In particolar modo nelle zone remote dell’arcipelago indonesiano e filippino nella zona del Mare di Sulu e Mare di Celebes. Nel 2002, più di 200 persone sono state uccise da attacchi suicidi del JI nelle discoteche sull’isola di Bali. Due anni dopo Abu Sayyaf fece saltare un’imbarcazione nella baia di Manial uccidendo 116 persone.

Questi attacchi post 11 settembre hanno spinto l’ASEAN ad introdurre varie misure per combattere il terrorismo. La più importante di queste è stato l’ASEAN Convention on Counter-Terrorism (ACCT), prevista per “sostenere un sistema di cooperazione regionale per combattere, prevenire e sopprimere il terrorismo sotto ogni forma”, e “migliorare la cooperazione tra le forze di sicurezza”. Tuttavia, la convenzione non è stata ratificata da tutti i membri fino al 2013 e rimane un insieme di linee guida non vincolanti. Altri accordi regionali come l’ASEAN Comprehensive Plan of Action on Counter-Terrorism (CPACT) del 2009 hanno avuto un impatto del tutto marginale.

L’influenza molto limitata di queste misure è dovuta ad una serie di fattori. L’abitudine dell’ASEAN di prendere le proprie decisioni sulla base del consenso e della non interferenza è stata duramente critica. Inoltre, l’uso di un linguaggio molto vago e la mancanza di accordi vincolanti non ha reso possibile l’adozione di misure concrete per poter combattere contro il terrorismo. L’organizzazione è spesso stata descritta come un forum di discussione piuttosto che un blocco capace di spingere i propri membri a prendere determinate decisioni.

La diseguaglianza sia a livello di minaccia che di capacità militari e finanziarie degli stati portato altre difficoltà per la cooperazione. Per esempio, paesi come le Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore devono far fronte ad una minaccia elevata e possiedono risorse militari relativamente importanti. Dall’altra parte, Cambogia Laos e Vietnam non devono praticamente far fronte a nessuna minaccia e potrebbero portare un contributo abbastanza limitato. Inoltre, la riluttanza delle nazioni ASEAN a condividere le proprie informazioni di intelligence o permettere a truppe straniere di attraversare le frontiere ha posto numerosi limiti nell’ambito del contro-terrorismo.

Storicamente, i membri ASEAN hanno preferito rafforzare le leggi nazionali e firmare accordi bilaterali, considerando il terrorismo come una minaccia locale piuttosto che regionale o globale e per questo non prendere in considerazione una risposta multilaterale.

Questo, però fino a quando i Jihadisti hanno preso d’assalto la città di Marawi lo scorso maggio. La minaccia che era rimasta dormiente dopo il declino del JI verso al fine degli anni 2000 è bruscamente riemersa in una forma chiaramente regionale vista la volontà dello Stato Islamico di voler creare un califfato nel sud est asiatico. I capi di stato e di governo hanno rapidamente realizzato la necessità di maggiore cooperazione per prevenire altri episodi violenti. Ci sono parecchi timori che gli attacchi abbiano ispirato altri ribelli ad attraversare le frontiere.

Prima della fine dell’assedio di Marawi nel mese di ottobre, i leader della regione si sono riuniti in diverse occasioni per discutere delle risposte da portare di fronte alla minaccia. Il presidente indonesiano Joko Widodo ha descritto gli eventi di Marawi come “un campanello di allarme” per la minaccia alla quale deve far fronte il sud est asiatico, mentre il primo ministro malese Najib Razak ha riaffermato l’impegno del proprio paese a combattere il terrorismo in tutta la regione. A settembre, gli alti ufficiali per la sicurezza degli stati ASEAN si sono riuniti per un convegno intitolato “La crescita della radicalizzazione e dell’estremismo violento”. Il tema del terrorismo è stato anche al centro del trentunesimo summit ASEAN condotto al presidente filippino Rodrigo Duterte.

Le discussioni hanno avuto come risultato di rafforzare gli accordi bilaterali e trilaterali tra gli stati maggiormente colpiti. A giugno Indonesia, Malesia e Filippine hanno iniziato a condurre pattuglie marittime nel Mare di Sulu per limitare i movimenti dei Jihadisti diretti o in fuga da Mindanao. Questi accordi sono stati successivamente rafforzati da pattuglie aeree per individuare attività sospette. Indonesia e Filippine si sono anche accordati per stabilire una linea diretta per avvertirsi reciprocamente in caso di minacce lungo la frontiera in comune.

Di recente, sono state stabilite due iniziative multilaterali e regionali incentrate sul contro-terrorismo. Questo sembra indicare una maggiore volontà da parte dell’ASEAN di aprire canali cooperazione vincolanti.

A metà novembre, il Southeast Asian Counter-Terrorism Financing Working Group (SACTFWG) è stato creato per tagliare i fondi dei gruppi terroristici legati allo Stato Islamico. In questa nuova agenzia verranno incluse le forze di sicurezza del sud est asiatico e seguiranno al guida del Philippines Anti-Money Laundering Council e dell’Australia’s Transaction Report and Analysis Centre.

Inoltre, sei membri ASEAN – Brunei, Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Tailandia – hanno firmato un accordo storico per condividere le proprie informazioni di intelligence battezzato “Our Eyes”. L’accordo dovrebbe facilitare la cooperazione tra gli stati e alti ufficiali per la difesa dei rispettivi paesi di incontreranno due volte al mese per condividere le proprie informazione e così creare un database di tutti i militanti conosciuti o sospettati.

Durante la sua inaugurazione, il viceministro della difesa malese, Mohd Johari Bahrum, ha dichiarato che l’iniziativa è cruciale per permettere una risposta collettiva di fronte alle minacce che sono “complesse e trans-nazionali per natura”. È auspicabile che gli atri quattro stati ASEAN entrino a far parte del gruppo, così come attori esterni con certi interessi nella regione quali Australia, India, Giappone e Stati Uniti.

La crisi di Marawi ha certamente portato i leader regionali a riflettere a come usare meglio le proprie risorse per combattere la crescente minaccia terrorista. Tuttavia, non ha ancora portato ad una strategia comune delle dieci nazioni ASEAN. Un tale piano sarà sempre difficile da raggiungere a causa della natura abbastanza diversa delle minacce alle quali far fronte e le diverse capacità e priorità dei paesi.

Ciononostante, le risposte da parte dei paesi maggiormente preoccupati da questo fenomeno hanno portato ad una cooperazione senza precedenti nella regione. Indonesia, Malesia e Filippine hanno deciso di lavorare insieme per trovare una risposta pragmatica e multilaterale di fronte problema più importante al quale devono far fronte.

Con una serie di accordi bilaterali, trilaterali e multilaterali, l’integrazione dell’ASEAN nella sfera del contro-terrorismo è stata sensibilmente aumentata.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/02/marawi-pushed-asean-nations-join-forces-tackle-terrorism/#l2tYgm7X5jIqrB3L.97

13 febbraio, Malesia – Un articolo sugli omossessuali crea scalpore nel paese

Un articolo in un giornale malese che spiega come individuare chi è gay o lesbica ha creato scalpore suoi social media. La comunità LGBT viene regolarmente denigrata e perseguitata in un paese alle prese con una crescente radicalizzazione islamica. Nel paese la sodomia è considerata un reato e il governo ha preso varie misure per cercare di “lottare” contro gli omosessuali e i transgender.

Nell’articolo si può leggere che i gay avrebbero una preferenza per “le magliette attillate e far vedere i propri addominali”. Inoltre, sarebbero estremamente attenti alla loro capigliatura e i più “effemminati” spalancherebbero gli occhi appena visto un uomo attraente. Le lesbiche invece si riconoscerebbero alla loro estrema gelosia e voler tenersi per mano in pubblico.

Nel paese era stato censurato il film della Bella e la Bestia degli studi Walt Disney per via di un “episodio gay”. Nel 2015 la corte suprema del paese ha vietato il cross-dressing.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/malaysia-newspaper-draws-flak-over-piece-on-identifying-gays-lesbians

14 febbraio, Bangladesh – I Rohingya rischiano una “crisi umanitaria all’interno della crisi umanitaria”

I Rohingya che abitano all’interno dei giganteschi campi di rifugiati devono far fronte a condizioni di vita estremamente dure. La stagione dei monsoni è aspettata per il prossimo mese e secondo alcune stime questo potrebbe risultare in un’ulteriore catastrofe umanitaria. L’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi ha parlato di una possibile “crisi all’interno della crisi”, “le loro vite sono in grande pericolo”.

Sarebbe infatti una corsa contro il tempo per rimuovere circa 86.000 persone da zone ad alto rischio di alluvioni e frane. Il Bangladesh ha dispiegato importanti risorse per assorbire quasi un milione di rifugiati che si sono presentati nel paese per fuggire le persecuzioni in Birmania. Numerosi gruppi per la difesa dei diritti umani hanno parlato di genocidio mentre l’ONU ha menzionato il termine di pulizia etnica. Secondo Medici Senza Frontiere circa 7.000 Rohingya, tra i quali 730 bambini sotto i 5 anni sarebbero stati uccisi.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/02/flood-rohingya-bangladesh/#SUjWXBxsmuGLQPdC.97

15 febbraio, Filippine – Manila promette una guerra alla droga meno violenta

La polizia filippina ha adottato una serie di misure speciali per rendere meno violenta la guerra alla droga lanciata dal presidente Duterte lo scorso anno. Le autorità non si aspettano ad una campagna totalmente senza violenze, ma formazioni aggiuntive e l’uso di telecamere da parte delle forze di polizia dovrebbero sensibilmente ridurre il numero di morti. Questa dichiarazione avviene cinque giorni dopo l’annuncio di un’inchiesta preliminare da parte della corte penale internazionale.

Ufficialmente il numero di persone uccise durante questa campagna sarebbero più di 4.000, però secondo alcune fonti bisognerebbe aggiungere altre 8.000 uccisioni extra giurisdizionali. Secondo i difensori dei diritti umani la polizia avrebbe direttamente assoldato degli assassini e fabbricherebbero le prove per giustificare i propri omicidi. Il presidente si è però difeso dall’aver dato alla polizia qualsiasi ordine illegale.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/manila-vows-less-violent-drug-war-amid-icc-probe

16 febbraio, Filippine – Duterte promette una ricompensa per ogni ribelle comunista ucciso

Dopo la controversia causata dal presidente filippino Rodrigo Duterte per aver consigliato ai militari di sparare alle donne ribelle comuniste nella vagina, il capo di stato ha dichiarato che chiunque ucciderà un ribelle comunista avrà una ricompensa del valore di circa 500 dollari americani. “Adesso metto una ricompensa. Okay, (pagherò) 25.000 PHP. Se doveste avventurarvi nella foresta, dovreste sicuramente avere la possibilità di sparare ad uno di loro. Se riuscite a sparare ad un uccello sopra di voi cosa ne dite di sparare ad un (ribelle) la cui testa è così grossa”.

Dopo la liberazione della città di Marawi, brevemente caduta tra le mani di un gruppo di ribelli affiliati all’ISIS, Duterte ha deciso di proseguire l’offensiva militare in corso sull’isola contro i ribelli comunisti. Negli ultimi mesi i rapporti tra governo e ribelli si sono notevolmente inaspriti ed il presidente ha messo fine ad un accordo raggiunto qualche anno fa per un cessate il fuoco.

Secondo Human Rights Watch, il presidente filippino starebbe attivamente “incoraggiando crimini di guerra”. Duterte è già accusato di crimini contro l’umanità nella sua guerra alla droga e la corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta preliminare nei suoi confronti.

Fonte: Asian Correspondent
Link: https://asiancorrespondent.com/2018/02/duterte-offers-tribes-500-communist-rebel-can-kill/#7efh96i9T2xQ1LSy.97

17 febbraio, Mar Cinese Meridionale – Pechino e Manila si accordano per delle esplorazioni comuni nel Mar Cinese Meridionale

Il ministro degli esteri filippino Alan Peter Cayetano ha dichiarato che Cina e Filippine si sono accordate per delineare un piano di ricerca comune di gas e petrolio nel Mar Cinese Meridionale. L’accordo dovrebbe essere concluso nei prossimi tre mesi. I due paesi si sono accordati per lasciarsi alle spalle le tensioni del passato così come la sentenza del tribunale internazionale del 2016.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/philippines-says-in-talks-with-china-for-joint-sea-exploration

18 febbraio, ASEAN – Cina e ASEAN si impegnano a rispettare l’accordo sul Mar Cinese Meridionale

Il ministro della difesa di Singapore, Ng Eng Hen, ha dichiarato che la Cina e l’ASEAN si impegnano a rispettare l’accordo sul Mar Cinese Meridionale. Durante la Munich Security Conference, il ministro ha dichiarato che l’approccio dei membri ASEAN fosse pragmatico e che per raggiungere l’accordo del 2002 ci vollero oltre 5 anni.

Fonte: The Straits Times
Link: http://www.straitstimes.com/asia/se-asia/china-and-asean-committed-to-s-china-sea-code

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