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Cina post COVID-19: intervista a Beatrice Gallelli

Il Covid-19 ha investito il mondo intero ponendo molti Paesi di fronte a una crisi senza precedenti.
Questa pandemia ha segnato uno spartiacque in molti settori, in poche settimane ha cambiato abitudini e modi di vivere.
La Cina è stata il primo Paese a trovarsi di fronte a questa emergenza sanitaria e il primo a dover sperimentare il lockdown e a dover pensare misure per far ripartire il Paese.
Come è stata affrontata qui l’emergenza? Quali sfide dovrà affrontare la Cina nei prossimi mesi? Quali saranno le principali conseguenze sul piano politico, economico e sociale?
Ne abbiamo parlato con Beatrice Gallelli, sinologa e docente di sociologia e lingua cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Università di Bologna.

1 – La sfida al Covid-19: quali segni di forza e di debolezza ha mostrato della Cina?

A mio parere la Repubblica Popolare Cinese (RPC) – mi riferisco soprattutto al governo cinese – si è dimostrata molto debole e molto forte allo stesso tempo. Debole perché pare non apprendere mai dai propri errori, anche se risalgono alla sua storia recente, e forte nell’esercitare un esteso controllo serrato e capillare, imponendo misure draconiane.

Chi ha vissuto la crisi di SARS del 2002-03 avrà pensato di avere un déjà-vu a gennaio di quest’anno: seguendo un medesimo copione, il governo cinese ha prima soffocato le informazioni circa la presenza di un nuovo virus, ammonito coloro che avevano cercato di dare l’allarme, e si è mosso con netto ritardo su diversi fronti. Da una parte, infatti, negli ultimi giorni di dicembre il governo cinese ha avvisato l’OMS riguardo la presenza di un virus sospetto, ma in quelli stessi giorni costringeva diversi medici a fare “autocritica” per aver diffuso quella stessa notizia. Anche dopo aver lanciato l’allarme, il 20 gennaio, Pechino ha tenuto nascosti diversi dettagli decisamente non trascurabili, quale la trasmissione da uomo a uomo del virus. Non a caso, il solo paese che non si è fidato della Repubblica Popolare Cinese, ovvero Taiwan, la Repubblica di Cina, è quello che è riuscito più di tutti a contenere l’emergenza epidemiologica e a farla rientrare sul nascere senza nemmeno implementare misure draconiane.

In termini di controllo della popolazione, la Repubblica Popolare è decisamente forte. Tale forza è il risultato di molteplici fattori, in primis l’impiego delle nuove tecnologie, ma anche l’organizzazione del territorio urbano. Per esempio, è significativo il ruolo svolto dalle xiaoqu, equiparabili ai nostri condomini, ai quali viene demandata la sorveglianza e il monitoraggio dello stato di salute di tutti coloro che entrano ed escono dall’area abitativa.

2 –  In Cina come è stata raccontata questa emergenza? Quale narrazione è stata costruita da parte dei media? E da parte del governo?

Il settore dell’informazione nella RPC è molto complesso e i giornalisti cinesi si muovono sul filo di un rasoio, dovendo fare i conti, da una parte, con le limitazioni imposte dalla censura e dall’altra con la necessità di sopravvivere in un settore che, come gli altri, è ormai interamente governato dalla logica del mercato. Nel caso specifico dell’emergenza covid-19, si sono alternate delle finestre di allentamento sulla stretta alla libertà di stampa, seguite subito dopo da chiusure e imposizioni ancor più rigide di prima. Per esempio, fermo restando che il sistema politico cinese è e resta un tabù, nel mese di febbraio è stato permesso ai giornalisti di Caixin, un noto gruppo editoriale, di condurre inchieste sull’operato del governo locale dello Hubei, la provincia epicentro della crisi epidemiologica. Però, una volta raccolte le informazioni necessarie e data la parvenza di libertà, il pugno si stringe di nuovo, lasciando spazio solo alla narrazione ufficiale. Quest’ultima viene diffusa perlopiù dai media di stato e mira a mettere in buona luce l’operato del Partito comunista cinese  e a dimostrare la superiorità del sistema politico cinese, attraverso  una – non sempre velata -contrapposizione alle democrazie liberali.

È bene sottolineare che in questa ricostruzione e manipolazione degli eventi operata dai media ufficiali, questi ultimi non sono sordi all’opinione pubblica. Si consideri ad esempio il caso del dott. Li Wenliang, uno dei medici che è stato redarguito dalle autorità a fine dicembre per aver cercato di dare l’allarme sul diffondersi del virus e che il 6 febbraio è deceduto proprio per covid-19. Dopo aver cercato – senza successo – di soffocare la discussione sul Dott. Li, le autorità centrali hanno deciso di cambiare strategia: hanno apertamente celebrato il suo operato, sottolineando ch’egli era membro del Partito; hanno avviato un’indagine sulla condotta degli ufficiali locali; infine, il 2 aprile, Li Wenliang è stato persino dichiarato martire ed eroe nazionale.

D’altra parte, però, coloro che si erano fatti portatori di richieste d’apertura per la libertà di parola sono stati messi sotto accusa e posti agli arresti, o sono persino scomparsi nel nulla. In questi casi, le misure di quarantena per prevenire la diffusione del coronavirus altro non sono che misure di controllo politico, come è stato per Xu Zhangrun, professore della prestigiosa università Tsinghua, il quale aveva denunciato l’accumulo di potere nelle mani di Xi Jinping e le mancanze nella gestione dell’emergenza.

Come se non bastassero le strette sui media cinesi, Pechino ha alzato il cartellino rosso per i giornalisti di diverse testate statunitensi, i quali sono stati costretti a lasciare il paese già nella seconda metà di marzo.

La nuova legge sulla sicurezza per Hong Kong, approvata il 28 Maggio, non promette niente di buono per i media dell’ex colonia britannica, il quali negli ultimi anni hanno già subito pesanti ingerenze da parte di Pechino. La nuova legge sulla sicurezza vieta atti di “secessione, eversione contro lo Stato, terrorismo e interferenze straniere”, una definizione vaga che lascia ampio margine d’azione a Pechino.

3 – Quali sono le principali conseguenze che questa pandemia ha avuto e avrà per l’economia di questo Paese?

La conseguenza più immediata – che non riguarda solo la Repubblica Popolare Cinese – è il decisivo rallentamento della crescita economica, dovuto sia a una contrazione dei consumi interni nei mesi di lockdown sia a un tracollo delle esportazioni, nonché allo stallo del settore terziario. Non a caso, per la prima volta dopo più di vent’anni, il governo cinese non ha fissato degli obiettivi per la crescita del Prodotto Interno Lordo (Pil) del paese. Questo è il più eclatante effetto della pandemia.  Tuttavia, seppur si tratti di un dato importante per capire l’andamento dell’economica cinese, è interessante osservare che abbandonare la pratica di fissare degli obiettivi per la crescita del Pil non è del tutto controproducente all’interno della più ampia strategia di trasformazione degli assetti economici del paese avviata ormai da qualche anno. Tale strategia vuole convertire lo sviluppo economico “quantitativo” del paese in uno di tipo “qualitativo”. In proposito, si consideri l’esperienza di Shanghai, dove già dal 2015 la voce degli obiettivi di crescita è stata eliminata, dimostrando la volontà di progredire da un modello economico guidato dagli investimenti a uno trainato dall’innovazione.

In ogni caso, Pechino ha scelto di mettere da parte i numeri del Pil per concentrarsi su altri punti, in primis limitare la disoccupazione e portare a termine la lotta contro la povertà entro il tempo stabilito, ovvero entro quest’anno.

4 – Pensi che la situazione di emergenza causata dal coronavirus avrà un impatto sulla società? Ci saranno dei cambiamenti?

Gli impatti socioeconomici del covid-19 saranno notevoli in Repubblica Popolare Cinese così come altrove. A farne le spese saranno di certo più i piccoli esercenti e le categorie più deboli, ma è ancora presto per tracciare un bilancio.

D’altra parte, io spero che ci sia un impatto sulla “coscienza sociale”, ovvero che l’esperienza di questa crisi epidemiologica faccia maturare la consapevolezza che questa emergenza è in realtà parte di una più ampia, quella ambientale. Fino a quando verrà perpetrata la distruzione della natura e della biodiversità, e l’uomo continuerà a invadere e distruggere gli habitat delle altre specie animali, non ci potremo definire fuori pericolo, ed episodi di salti di specie di virus si verificheranno.

Negli ultimi anni,  il problema ambientale è entrato nell’agenda politica delle alte sfere del potere nella Repubblica popolare cinese, benché il dibattito politico continui ad essere ancorato a una certa visione dello sviluppo. Ci dànno più speranza, invece, le iniziative “dal basso” che pongono al centro la sostenibilità ambientale e la salute del genere umano, come quella che racconta Battaglia in questo servizio: LINK
Spero dunque che il coronavirus dia impulso ed energia a una trasformazione della società in questa direzione.

5 –  Le misure adottate per il contenimento del contagio da Covid-19 e la gestione della relativa emergenza sanitaria sono state valutate positivamente dai cittadini? Il governo uscirà rafforzato da questa complicata crisi sanitaria e socio-economica?

È molto difficile rispondere a questa domanda. Cogliere il giudizio della popolazione cinese nei confronti dell’operato del governo non è cosa da poco: con un miliardo e quattrocento milioni di persone, la Repubblica popolare cinese è il paese più popoloso del mondo e capire come i cittadini valutano la gestione da parte del governo richiedere uno sforzo notevole. Le incursioni della censura e il timore di ritorsioni (l’autocensura), di certo, non facilitano il lavoro.

È probabile che l’opinione pubblica sia oggi molto frammentata nel suo giudizio sull’operato del governo. Da una parte, non sono mancate critiche nei confronti della gestione dall’alto. In questo, ha fatto scalpore il caso del diario della scrittrice wuhanese Fang Fang, la quale ha pubblicato, con cadenza giornaliera,  delle “note sulla quarantena” su un social media cinese, nelle quali vicende personali si intrecciano a notizie sull’emergenza da covid-19, e dove non sono mancate denunce nei confronti degli errori e delle mancanze del governo. Queste pagine online sono diventate un punto di riferimento per molti e anche dopo essere state censurate hanno continuato a girare in rete grazie a diversi stratagemmi (Fumian ha scritto sul caso Fang Fang: LINK).

D’altra parte, però, non mi stupirei se ci fossero voci che al contrario valutano in modo positivo l’operato del governo, specialmente se messo a confronto con la gestione da parte di altri paesi. In altre parole, l’inadeguatezza dimostrata da altri governi, Stati Uniti in primis, giova all’immagine del Partito comunista cinese. Le stesse parole d’accusa di Trump – a volte fondate, a volte un po’ meno – contribuiscono a infiammare il nazionalismo cinese.

(Foto di Serena Calderone)

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